11 - Chiarimenti

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I chiarimenti sono necessari per sopravvivere,

perché senza di questi si finisce col vivere nel dubbio.

LUCY

Mi sono alzata presto stamani, devo ripassare matematica.

Mi ritrovo a fissare il muro di fronte a me, mentre sono seduta sul water, e i pensieri volano qua e là prendendo strade diverse, come se mi fossi persa e non sappia più quale imboccare. Cerco di rivivere mentalmente ciò che è successo a scuola con Nash, ma sono confusa; so solo che ogni volta che penso a lui mi sale una vampata di calore e la bile dallo stomaco: ho la nausea.

Ma lui sta bene, è sano, non è suo il sangue. Cerco di convincermi, ma io mi preoccupo lo stesso, come se ciò che ho visto ieri fosse solo un'allucinazione. Non mi fido dei miei occhi, di me stessa. È terribile.

Oggi ho la seconda seduta dallo psicologo e proveremo di nuovo con l'ipnoiterapia; non so bene se sia il caso di agitarmi, d'altronde l'altra volta non è accaduto nulla di strano.

Mi preparo un caffè e tre fette biscottate con miele di castagno: mi piace perché ha un retrogusto amaro. Mi siedo all'isola in direzione della finestra, così che possa guardare fuori. Prendo gli appunti di matematica e faccio un ripasso generale delle espressioni con il simbolo dell'infinito. Poi mi infilo le scarpe, la giacca, e prendo lo zaino, mentre tra le mani reggo l'enorme dizionario di latino che ci servirà per tradurre le versioni.

Mi avvio alla fermata, ancora un po' scossa. Con me aspettano il mezzo una ragazza sui quattordici anni circa, con i capelli biondi raccolti in una treccia, due grandi occhi chiari incorniciati da lunghe ciglia e il naso e le guance ricoperte di lentiggini; seduta sulla panca sotto il tettino della fermata c'è la signora Dickenson, un'anziana con i capelli grigi a caschetto, gli occhi grandi sotto un appariscente paio di occhiali da vista rosso scuro; ha qualche chilo di troppo e sopra le labbra spuntano un paio di peli neri; un evidente neo emerge sulla guancia appena sotto l'occhio.

Salgo sull'autobus e, con mia grande apprensione, di Nash non c'è ancora traccia. È scomparso? Non va più a scuola? Ma ieri l'ho visto! Deve essere successo qualcosa.

Arrivata davanti all'edificio del mio liceo, incontro Markus, che sembra ridotto molto male.

Mi avvicino e gli afferro la mano; gli parlo piano, per non farmi sentire dagli altri studenti che salgono di corsa le scale diretti alla prima lezione della giornata.

«Come?» domanda lui, che non mi ha sentita.

«Uffaaa» sbuffo. «Dov'è Nash?» chiedo a voce un po' più alta.

Mi è uscita come un'urgenza, ma non sono riuscita a trattenermi; le mani stanno iniziando a tremarmi per l'agitazione.

«Ma che ne so!» sbotta lui.

«Chi ti ha ridotto così?» Conosco già la risposta. «Nash?»

«No, lui mi ha difeso.»

«Da chi?» lo guardo sbigottita.

«Da alcuni ladri che hanno provato a derubarmi.»

Sta mentendo, lo so; lo capisco dal suo sguardo perso che è in cerca di risposte da rifilarmi.

«Markus, se ti ha fatto del male, devi dirlo a qualcuno!»

«Non devo, invece. Sto bene, come vedi, e lui mi ha soltanto aiutato.»

«Se lo dici tu...»

Ed eccolo arrivare, con la giacca di jeans, una t-shirt bianca e i pantaloni neri. Ha una sigaretta in bocca ed è dannatamente bello, da lasciarmi senza fiato. Si passa la mano tra i lunghi capelli biondi e ammicca a due ragazze della sua classe.

NASH

La vedo e le sorrido. È in disparte con Markus, probabilmente stanno parlando di ieri.

Chissà se il mio miglior amico le ha detto la verità, o meglio, cosa ha combinato Malek. Comunque lei sembra calma e spensierata, e questo mi fa sentire subito meglio.

Mi avvicino a loro e poggio la mano sulla spalla di lui, che ha un lieve scatto di paura al mio tocco. Stringo la presa per fargli capire di non preoccuparsi.

Non posso dirgli della sindrome di cui soffro, penserebbe che sia pazzo. E farebbe bene. Non gliene parlerò finché non si rivelerà necessario.

Poi sposto gli occhi sulla splendida ragazza che mi sta di fronte. «Lucy» dico, con un cenno di saluto.

«Nash» ricambia lei, ma nel farlo abbassa lo sguardo. È turbata.

«Sarai al porto questo weekend?» le domando con disinvoltura.

«Sono alla casa in campagna.»

«Peccato... potevamo prenderci un gelato insieme.»

«Magari un'altra volta.» Mi rivolge un sorriso tirato e se ne va per raggiungere Karin, che è seduta sui gradini all'entrata della struttura.

Mi rivolgo a Markus stavolta: «Le hai detto la verità?!»

«Che sei uno stronzo patentato?»

«Del fatto che ti ho picchiato...» Lo guardo e mi sento sprofondare.

Sono stato io a ridurlo così; io, io! Non me lo perdonerò mai. Malek non la passerà liscia.

Ma Malek sono io, e io sono lui.

Non ci sarà mai una soluzione a questo dilemma. Questa personalità rovinerà la mia vita. Io costruirò e lui puntualmente distruggerà ogni cosa, annienterà la mia felicità.

Destroy myself just for you – Montell Fish

I'm gonna die one day
I know it, I know it
There's no surprise to this pain
Destroyin', destroyin', destroy

Entriamo attraverso il grande portone in legno e saliamo le scale. Mi apposto fuori dalla classe dove Lucy avrà lezione e, non appena la vedo, le faccio segno di seguirmi.

Lei viene fuori e mi osserva con titubanza. «Che c'è?»

Sembra che voglia prendere le distanze da me. Ha paura?!

«Dobbiamo parlare.»

«E di cosa, esattamente? Di come hai pestato a sangue Markus? Ma che ti dice il cervello?»

«Non è di questo che voglio discutere...» distolgo lo sguardo, perché il suo mi mette con le spalle al muro e mi fa ricordare che mostro io sia.

Non mi toglie gli occhi di dosso e si stropiccia nervosamente il bordo della maglia tra le dita.

«Voglio che dimentichi» le dico di slancio.

«Cosa... cosa dovrei dimenticare?»

«Noi, il bacio, il pranzo, quello che c'è stato.»

«Ok.» La sua voce è un sussurro; abbassa lo sguardo e sembra stia per piangere, perché nasconde gli occhi guardando altrove: non vuole farsi vedere debole da me.

«P...potrei solo sapere perché?» mi domanda di getto, come se la rabbia si fosse svegliata tutta d'un tratto.

LUCY

Le lacrime mi pungono gli occhi e mi sento mortificata.

«Perché mi fai questo?» Lo fisso nelle pupille e non m'interessa che mi veda fragile e con gli occhi lucidi, voglio solo sapere il motivo di questo distacco da parte sua.

«Perché non ti merito, Lucy.»

Ogni parola mi morì in gola.

Ma che va blaterando?

Stavolta sembra che lui abbia difficoltà a trattenersi. Deglutisco e mi sento male, la terra cede sotto i miei piedi, inizio a sudare a freddo. C'è qualcosa che non va, mi viene da vomitare.

Mi porto una mano allo stomaco e corro in bagno; mi infilo in una cabina e do di stomaco, con le mani appoggiate sopra il water. Tutta la colazione galleggia nella poca acqua nel gabinetto. Adesso mi sento meglio, anche se vedo le mie dita tremare sulla ceramica fredda.

Nash bussa alla porta del bagno delle signorine e, anche se mi trovo in uno scompartimento della toilette, lo sento, sento come si preoccupa per me.

«Lucy, come stai? Chiamo aiuto?»

«No, sto bene.» Almeno mi sembra. Mi passo un po' di carta sulla bocca e tiro l'acqua.

«Sei sola?»

Esco dalla cabina e mi guardo attorno. «Credo di sì.»

«Posso entrare?»

«Non credo sia una buona idea» provo a dire, anche se dentro di me muoio dalla voglia di averlo di fronte ai miei occhi. Non so se per prenderlo a schiaffi o per abbracciarlo.

«È suonata la campanella, vuoi che vada ad avvertire la tua professoressa?»

«No, me la cavo», rifiuto il suo aiuto senza pensarci due volte. Perché non mi lascia in pace? Poco fa diceva di dimenticare tutto e adesso salta la lezione per me.

Non lo comprendo. Mi confonde.

NASH

Ho fatto una cosa stupida.

Volevo che lei si dimenticasse di noi due, perché Malek è sempre in agguato. Non sarà mai al sicuro con me in circolazione e io la desidero salva, non voglio che soffra; Malek le farà del male un giorno, lo so. Io devo difenderla da me stesso.

Non conosco questa parte di me, ma da quello che ho capito Malek non è un ragazzo buono e ho paura per lei, anche se desidero abbracciarla con tutto me stesso. E baciarla ancora.

Che si fotta Malek, che mi fotta io.

Sono disposto a rinunciare alla ragazza che mi piace per darle una vita migliore. Malek non farà niente di sbagliato se lei non sarà presente nella mia esistenza, quindi prendo tutto il coraggio che ho e faccio un profondo respiro, poi le dico: «Stammi bene, Lucy, addio».

LUCY

Se n'è andato.

Ma non è così che finiscono le favole: solitamente c'è un "E vissero felici e contenti", non "Stammi bene e addio".

Non ho mai odiato nessuno, ma oggi, in questo momento, posso dire di odiare l'amore. Amare fa soffrire.

È vero, il principe azzurro non esiste.

Buio.

MOON

Luce.

Mi brontola la pancia; sono in bagno e credo di aver vomitato, perché ho uno strano gusto in bocca e puzzo; me la sciacquo, facendo dei gargarismi.

Mi andrebbe una sigaretta adesso, ho come la sensazione che stamani non abbia avuto la mia abituale dose di nicotina. Vado in classe, forse è meglio.

Mi dirigo a passo svelto ma incerto verso l'aula, apro la porta e trovo la professoressa Haidel che sta facendo l'appello.

«Alla buon'ora! Ti sembra questo l'orario di presentarsi a lezione?» si rivolge a me, con tono di rimprovero.

«Credo di non essermi sentita granché bene.»

«Credi?» Mi fulmina con quel suo sguardo verde bosco e il naso appuntito.

«Cazzo, sì, ho dato di stomaco!» Razza di strega dispotica!

«Che linguaggio elegante, signorina Laiden.»

Mi vado a sedere al mio posto, col suo sguardo indagatore sempre puntato addosso, senza dire più nulla: non voglio una nota. Per fortuna anche la professoressa è del mio stesso avviso, e si risiede per continuare l'appello.

Durante la ricreazione, incrocio Malek nel corridoio; faccio per sorpassarlo ma lui mi blocca per il polso, costringendomi a voltarmi.

«E comunque, non me l'avresti mai data» mi dice, con quel suo sorrisetto da schiaffi.

«A un bastardo come te? Mai. Sei stato un coglione, Rainbow. Accettalo.»

«Se non sono un coglione, sono uno stronzo. Decidi tu cosa ti piace di più.»

«Preferisco di gran lunga il primo aggettivo.» Stavolta sono io a sorridere.

«Allora ci sono vicino» ride, e quel suono mi solletica la mente.

Finisce la pausa, mentre ci guardiamo ancora intensamente, e sento il basso ventre bruciare. Maledetto lui e questa assurda sensazione!

«Dovrei andare» dico con serietà.

«Ci si becca!» Fa un cenno col capo e mi lascia libera.

Ma prima di staccare le sue dita dal mio polso, sento che col pollice mi sfiora il dorso della mano, come voglia accarezzarmi. Mi ritraggo; quel contatto mi ustiona la pelle. Mi volto e continuo a camminare verso l'aula della prossima lezione.

Ces petits rien – Stacey Kent

On ne se souvient de rien, puisqu'on oublie tout.
Rien c'est bien mieux, rien ne c'est bien mieux que tout.

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