XXI. L'INCUBO

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Un vento gelido le tagliava la pelle. Dorina avrebbe voluto tornare indietro. Nicalla però avanzava, il passo spedito, i capelli che le sferzavano sulle spalle, l'abito cremisi che le frusciava intorno. –Oh, non può essere lontana- si fermò, la mappa tra le lunghe dita –sono certa che si trovi vicino- arricciò il nasino. 

-Sei certa che la strada sia questa?- gelava. Nessuna risposta. E una nebbia densa avvolgeva tutto. Alzò lo sguardo e...

Non c'era Nicalla davanti a lei, ma Kaas. Il cuore le esplose.

-Tu... -

Kaas si erse su di lei. Imponente, vestito di nero, con un ampio mantello che veniva mosso dal vento. Il viso era in penombra, ma gli occhi grigi brillavano. Stelle nel buio.

-Kaas-  gemette Dorina.

Lui sorrise. Un sorriso crudele. E si lanciò su di lei.

Dorina si svegliò, un grido tra le labbra, il corpo madido di sudore. Un incubo. L'ennesimo. Singhiozzò. In che guaio era finita? Perché tutto sembrava sbagliato?

Si girò e si rigirò nel letto. Non riusciva a prendere sonno. Provò su un lato, sull'altro, a schiena in giù e in su. Nulla. Il sonno non voleva arrivare. E le dita dell'incubo sembravano premere su lei.

Il giorno seguente Dorina si svegliò tardi, la nausea che le capovolgeva lo stomaco. La sensazione del sogno le faceva girare la testa. Non riusciva a togliersela di dosso. La giornata però era destinata a peggiorare.


Incontrò la  sua nemesi in biblioteca. Dorina c'era andata con la speranza di leggere qualcosa d'interessante. L'altra canticchiava, un libro stretto al petto.

Caterina. C'era sempre Caterina con cui fare i conti. La sua immagine la perseguitava da sempre. Da quando erano solo delle bambine che giocavano nel giardino. Caterina composta e vivace, Dorina timida e impacciata. Se c'era da scegliere, beh, nessuno avrebbe mai scelto lei. Troppo problematica. Dorina non era mai stata bella o intelligente o affascinante. Non come Caterina perlomeno.

La fissò muoversi con eleganza. I capelli sciolti tanto biondi da brillare alla luce del sole che filtrava tra le pesanti tende. Indossava un lungo abito bianco. Come una sposa. O una vergine pronta per essere sacrificata. Magari a un vampiro. Il pensiero la fece sorridere. Caterina avrebbe saputo interpretare alla perfezione anche quel ruolo. Se la immaginava con gli occhi sgranati, le labbra spalancate, i capelli scompigliati dal vento. Una vittima perfetta. Come la odiava! Eppure avrebbe voluto essere come lui. Non desiderava altro.

-Dorina, che bello vederti!- le andò incontro, superando il tavolo di legno scuro in un fruscio di stoffe e sospiri. -Che fortuna!-

La ragazza riuscì a sorridere. Avrebbe dovuto fingere. Almeno per un po'. Fino a quando non fosse stata lontana da quel posto. Lasciò così che Caterina le cingesse il collo con le braccia. Il suo profumo, di un qualche fiore indefinito, le provocò un conato che represse.

-Sono felice di poter passare un po' di tempo con te-

-Non sai quanto la sono io-

-Mai come me!-

Naturale, perché Caterina doveva essere perfetta in ogni cosa. Lei doveva splendere come una stella. Non aveva mai sentito una persona dire qualcosa contro di lei. Caterina incantava anche quando eccedeva. Usava il termine amare invece di voler bene e tutti lo trovavano un vezzo, non un'esagerazione. Se lo avesse usato Dorina... beh, meglio non pensarci.

-Lo sai cosa pensavo di fare?-

Dorina sentì la pressione aumentare. Non riusciva a contenerla. Come un'onda abbatteva tutto ciò che incontrava. Inspirò a fondo. Stava facendo il suo gioco, ma non poteva non parlare o fuggire. -Cosa?-

-Pubblicare dei racconti!-

-Racconti?- quello era il suo sogno, non quello di Caterina.

-Proprio così e ho trovato chi me li pubblica-

Dorina lo fissò. Non sapeva cosa dire.

-Qualcuno parla di fortuna- la vocina di Caterina, così dolce e insopportabile, sembrava venire da lontano –io alla fortuna però non credo... per arrivare a certi livelli converrai con me che bisogna essere bravi, no? Motivo per il quale pubblicheranno i miei racconti sulla rivista! Ti rendi conto, Dorina? Una rivista internazionale! Non di paese- buttò indietro i capelli –sono proprio brava, la più brava che ci sia! E tu potrai dire di conoscere una scrittrice, chi lo sa, oggi questo, domani... potrei diventare la nuova Jane Austen-

Dorina avrebbe avuto tante cose da dirle. Ma proprio tante. Nessuna delle quali positiva. E magari non limitarsi alle parole. Non fece nulla. Le sembrava impossibile che le storie di Caterina fossero state prese e le sue no. Irreale.

-Se vuoi posso firmarti un autografo- buttò indietro i riccioli biondi –che ne dici?-

-Solo uno?- non era lei ad aver parlato. No, era qualcosa che non capiva. Una parte di lei che aveva gli artigli e le zanne.

-Oh, ne vuoi di più? Beh, non so se si può fare, ma... ma sì, perché non dovrei?- strizzò l'occhio, complice. Come se loro fossero mai state complici. Dorina serrò le labbra tanto forte da farsi male. Non aveva importanza. Nulla sembrava avere importanza. –Potrei perfino dedicare un racconto a te, la mia cara amica d'infanzia, quella che voleva fare la scrittrice, perché in passato non volevi fare anche tu la scrittrice?- fu il modo in cui lo disse a farla infuriare. Con candore. Un insopportabile candore. Avrebbe voluto strapparle quei capelli.

-Devo andare- Dorina lo sussurrò, si voltò, ignorò le proteste di Caterina, corse via. Aveva solo bisogno di rimanere sola. E di dimenticare.

Dorina non sapeva da quanto tempo stava piangendo. Era solo consapevole che stava facendo più freddo. Non cercò di coprirsi. Rimase rannicchiata sul vecchio divano polveroso. Non capiva perché ci fosse rimasta così male. Caterina probabilmente aveva fatto gli occhi dolci a qualcuno per convincerlo a pubblicare i racconti. Le aveva lette le sue storie e sapeva che valevano ben poco. Ne avrebbe pubblicata una, al massimo due, poi sarebbe tornata nell'anonimato. La cosa però la turbava. Caterina riusciva sempre ad eclissarla e...

La porta del vecchio salotto si aprì con un cigolio. Dorina non era pronta al confronto. Avrebbe voluto nascondersi. Magari dietro le tende. Oppure in qualche angolo buio della camera. Un modo per urlare al mondo che voleva rimanere sola. La persona che era entrata però non aveva intenzione di lasciarla sola.

-Che ci fai qua al buio?-

Kaas. Si morse l'interno della guancia. Non avrebbe voluto che lui la vedesse così. Come un animale ferito. Non c'erano però molte soluzioni.

-Mi riposo- una bugia. Beh, non aveva importanza. Che lui pensasse pure quello che voleva.

-Ah, quindi ti riposi... al buio, su un vecchio divano, stropicciando un nuovo vestito- i suoi passi echeggiarono nella stanza. Si fermò solo quando le fu di fronte. E lei poté vedere i suoi occhi grigi. Come la tempesta che le scuoteva lo stomaco.

-Posso riposare dove voglio- lasciò cadere le gambe dal divano e si mise seduta. Le faceva male il collo per la posizione scomoda in cui era stata. E le tempie le pulsavano. Sperò che il buio impedisse a Kaas di vedere che aveva pianto.

-Non ti contesto questo, ma se tu hai bisogno di qualcosa... io sono qua- e fece una cosa che la sorprese. Si lasciò cadere in ginocchio. Come il principe di una fiaba. –E se hai bisogno di qualcuno che ti stia vicino, beh, io sono qua-

Lui era lì per lei. Dorina lo fissò. Non poteva crederci. Non era da Kaas. Fu la sorpresa a farla parlare. Parlò, parlò, parlò. Gli disse ogni cosa. Della continua competizione con Caterina, di come si sentisse fuori luogo, di come lei sarebbe sempre stata la migliore. –Le pubblicano dei racconti, quello era il mio sogno, non il suo- scrollò la testa, i capelli che le cadevano sugli occhi. –Lei vuole portare via quello che è mio, è sempre stato così-

-Se una cosa è davvero tua, beh, nessuno potrà portartela via-

Dorina fissò Kaas. C'era qualcosa di diverso dal solito. Un altro Kaas che spuntava da lui. Si faceva strada tra le crepe del suo volto.

-Dico sul serio, Caterina non può portarti via nulla di davvero importante- le posò la mano sul braccio –non potrà mai farlo... e posso chiedere un favore a un amico-

-Cosa?-

-Un mio compagno di università ha un giornale in Francia che pubblica racconti, potrei chiedergli di dare un'occhiata ai tuoi scritti, che ne pensi?-

Dorina sentì il cuore esploderle nel petto. –Lo faresti davvero?- non era possibile.

-Mi farebbe piacere, così avrai un'idea di com'è la tua storia-

-Posso confidarti una cosa?- Dorina deglutì, la gola tanto secca da farle male. Non sapeva perché si confidava in quel modo. Non avrebbe dovuto. Le confidenze facevano male. Potevano ferire. Poteva essere usate come armi.

-Quello che vuoi, puoi fidarti di me-

-Sono sempre stata un disastro in francese- fece un mezzo sorriso, come se potesse rendere tutto meno doloroso.

-Beh, non è un problema, posso aiutarti io a esercitarlo-

Dorina lo guardò come se non capisse le parole. Ed in effetti era così. Le sembrava strano che lui l'aiutasse. Le sembrava tutto irreale. Un sogno.

-Facciamo una cosa, da domani mattina verrai con me, va bene? Diremo che mi fai da segretaria, così starai lontana da Caterina, che ne pensi?-

Una via di fuga. Dorina avrebbe voluto lanciare un grido di gioia. Sarebbe però stato troppo. Si limitò quindi a un leggero cenno del capo. –Mi farebbe piacere-

-Bene, cominciamo domani mattina- le sorrise.

Lei gli sorrise a sua volta. Era facile sorridergli. Il cuore le batteva all'impazzata. Qualcosa nel loro rapporto stava cambiando. I confini stavano diventando più labili. Dorina provò un brivido lungo la schiena. Avrebbe voluto sfiorargli la guancia. Cosa non possibile. Lasciò vagare lo sguardo altrove, lo stomaco serrato in una morsa. Le cose forse sarebbero cambiate.





NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Dopo qualche giorno di ritardo eccomi qua! Spero che il nuovo capitolo vi sia piaciuto, è più lungo del solito, ma visto la mia assenza degli ultimi tempi ho preferito così.

A presto

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