5. Un debole?

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Giocandosela uno contro uno con Yuri forse se la sarebbe anche cavata, ma Elia dubitava che le cose sarebbero andate così. Un bel pestaggio alla vecchia maniera, di quelli che aveva visto soltanto in tv, ecco cosa lo aspettava. Tutto per quella stupida risposta che aveva dato sabato sera a uno di loro. Aveva promesso a sua madre e suo fratello Federico che sarebbe stato lontano dai guai, non sarebbe stato coinvolto in risse o sospeso di nuovo. E ci era riuscito, per ben cinque faticosissimi mesi. Aveva incassato tutte le offese e le prese in giro senza mai reagire, aveva mandato giù tanta di quella merda che gli sarebbe bastata anche per gli anni a venire. A sua discolpa c'era da dire che nell'unica occasione in cui aveva risposto a uno di quei vermi striscianti, era ben lontano dal contesto scolastico, in un momento delicato in cui era quasi impossibile trattenersi e riflettere se ciò che diceva o faceva gli avrebbe procurato dei guai. Ma l'aveva fatto, e ora doveva pagare. Doveva proprio? Continuava a ripetersi che sì, doveva, ma gli sembrava comunque sbagliato. Lui non doveva proprio niente a quelle persone, né rispetto, né educazione. Per mesi lo avevano deriso, lo avevano chiamato con gli epiteti più offensivi, gli avevano fatto terra bruciata intorno praticamente dal suo primo giorno lì dentro. In che modo, secondo la loro logica, avrebbe dovuto continuare a subire in silenzio? Gli fremevano le dita per la voglia di prendere Yuri per il collo, stringere e vederlo annaspare a pochi centimetri. Ma non sarebbe andata in quel modo, perché fuori dal cancello non si sarebbe mai presentato da solo. Quelle persone erano così: il gruppo era la loro forza, il loro stupido branco, da cani qual erano. Anzi, no, gli piacevano i cani. Iene. Ecco cos'erano.

Se c'era un'altra cosa imparata dai pestaggi visti in film e serie TV era fare attenzione ai propri effetti personali. Aveva deciso di nascondere lo zaino nello stanzino dei bidelli, in un armadietto in evidente disuso. Gli avrebbero probabilmente rotto il naso, peggiorando l'ematoma che già aveva, non voleva dar loro la soddisfazione di farsi sfasciare libri e quaderni, farsi rubare i pochi soldi che aveva e rompere il telefono. Sarebbe uscito così, senza niente. Non c'era nemmeno un compagno di cui si potesse fidare nel lasciargli le sue cose mentre lo picchiavano, una specie di amico che lo avrebbe difeso o perlomeno aiutato ad alzarsi una volta finito il pestaggio.

Gli tornò in mente quel tizio alto, Luca, come si fosse messo in mezzo tra lui e Mauro due giorni prima. Ancora non capiva perché lo avesse fatto, ma pensò che se fosse stato dalla parte giusta della barricata, sarebbe stato un buon alleato. Peccato che militasse tra le fila degli stronzi anche lui. Probabilmente sarebbe stato lì a colpirlo con gli altri, rinfacciandogli ancora quella maledetta sciarpa fatta a mano o qualche goccia di sangue sulla sua giacca del cazzo. Almeno a lui aveva dato una gomitata, era già più di quanto sarebbe riuscito a fare con il resto del gruppo. In tutto sarebbero stati in quattro, sapeva anche i loro nomi: ci sarebbero stati Yuri, Giulio e Stefano, quello di cui aveva più paura, perché parlava meno degli altri e aveva sempre uno sguardo pieno di cattiveria. E poi, appunto, Luca. A pensarci bene dubitava che lo avrebbe picchiato, con più probabilità lo avrebbe tenuto fermo; gli sembrava troppo vigliacco per colpirlo direttamente e quello che gli aveva detto un paio d'ore prima sul fatto che non gli avrebbe mai fatto nulla del genere, aveva per Elia una valenza pari a zero. Era uno di loro, e tanto gli bastava sapere per giudicarlo.

Aveva atteso la campana della fine delle lezioni come un condannato a morte aspetta di essere accompagnato al patibolo. Appena la classe si era svuotata aveva sistemato il suo zaino e si era avviato all'uscita. Sperava di finirla in fretta, ma voleva anche dare spettacolo il meno possibile: a costo di fare aspettare e quindi innervosire ulteriormente i suoi boia, si era assicurato che la maggior parte degli studenti e degli insegnanti fossero già usciti. Qualcuno però, stava dando spettacolo al suo posto, perché c'era una piccola calca, proprio dove si stava dirigendo. L'istituto era sul lato lungo di una via chiusa e i ragazzi usavano quella strada come parcheggio, visto che oltre il cancello c'era posto solo per le auto degli insegnanti e per gli scooter. Quando Yuri gli aveva detto che lo avrebbe aspettato fuori, Elia aveva capito subito che si trattava del punto più cieco della strada: una trappola perfetta, lontana dall'uscita degli insegnati e dalla strada principale.

Si era avvicinato con circospezione. Forse era stato fortunato e per quel giorno avrebbe avuto salva la pelle. Già immaginava di chiedere a Federico di fare un cambio turno il giorno dopo, per andare a prenderlo all'uscita e dargli man forte: in due avrebbero avuto più chance (e poi suo fratello picchiava duro, anche se era smilzo). Mentre si avvicinava, pianificando come farla franca, era riuscito a cogliere delle facce conosciute oltre alla fila dei primi curiosi fermi a guardare. Erano loro, i suoi aguzzini. Ma non si stavano né scaldando né esercitando in sua attesa: si spintonavano tra di loro. Come aveva ipotizzato, Yuri era davvero agguerrito, ma su Luca si era sbagliato. Lo fronteggiava alla pari, privo della codardia che gli aveva attribuito: lo vide assestargli due pugni e uno spintone e, quando l'altro aveva provato a placcarlo prendendolo dal busto, lui se l'era scrollato di dosso spingendolo contro Stefano. Questi ne aveva approfittato per bloccarlo e allontanarlo, mentre Giulio faceva lo stesso con Luca, per dividerli.

«Che cazzo fate, siete impazziti?» aveva detto uno dei due.

«Mi ha rotto i coglioni, va bene? Tutti voi mi avete rotto i coglioni!» La voce di Luca non era quasi riconducibile a quella che, nell'intervallo, gli aveva chiesto come stesse il suo naso e che aveva riso con lui. Era piena di rabbia, alterata, rauca.

«Luca, vedi di darti una regolata!» gli aveva gridato contro Stefano. Yuri invece non parlava, si limitava a guardare in cagnesco il suo amico.

«Mi sono rotto di avere a che fare con queste schifezze, va bene? E non posso... non voglio essere amico di un omofobo e tu lo sai! Quindi basta stronzate, Yuri!» Era quello il motivo del loro litigio? A Elia era sembrato che improvvisamente tutti i presenti si fossero voltati a guardarlo e un moto di orgoglio gli aveva fatto raddrizzare la schiena. Embè? Qualcuno sta prendendo le mie difese, non ve lo aspettavate, brutti vermi, eh? Ma allo stesso tempo avrebbe voluto essere ovunque, nel tempo e nello spazio, tranne che lì.

«Adesso ti metti a difendere i froci? Cos'è, la figa non ti piace più?» aveva chiesto Giulio, con la stessa voce di sempre, volgare, offensiva.

Elia si era scoperto curioso di sentire la risposta di Luca, trattenuto a un paio di metri dal suo amico-avversario, e anche gli altri presenti alla scena sembrava aspettassero lo stesso. Cavolo, quello sì che sarebbe stato un coming out da primo premio. Nei pochi secondi precedenti la risposta di Luca, Elia si era ritrovato a pensare che in quel momento fosse sexy. Finora lo aveva considerato solo un tipo strano, un po' goffo, insignificante malgrado la genetica fosse stata generosa con lui. In quel momento invece, con l'affanno, trattenuto a forza dal picchiare un omofobo, scombinato, sporco e ferito, lo vedeva sotto una nuova luce. Perché diavolo doveva essere attratto da tizi così? Ecco perché poi andava a finire sempre male! Per fortuna la risposta di Luca aveva infranto le sue fantasie sul nascere: «Chiedilo a tua madre». Il più vecchio e banale dei cliché.

Vide Giulio lasciare Yuri per scagliarsi contro Luca, ma Stefano da solo riuscì a tenerli separati. Soltanto allora Yuri sembrò rendersi conto dello spettacolo che stavano dando e passando in rassegna tutti i presenti si fermò a guardarlo con un'espressione mista di disprezzo e fastidio. I suoi occhi sembravano dirgli: «È colpa tua» e forse anche il suo labiale si fece portavoce di quel pensiero. In mezzo a tutte quelle persone Elia si sentiva al sicuro e si sforzò il più possibile di ricambiare lo sguardo senza abbassarlo. Cosa voleva da lui? Non era certo colpa sua se il suo amico si era stufato del comportamento schifoso a cui doveva assistere. Luca non aveva difeso lui, ma condannato un loro modo di fare, lo avrebbe fatto per chiunque. Smise di guardare Yuri solo per tornare su Luca e lo vide messo all'angolo dall'amico che poco prima lo aveva trattenuto. Gli stava parlando cercando di coprirgli la visuale rispetto a tutto il resto, cercando di placarlo e farlo ragionare. A quel punto anche Yuri si era calmato, ma invece di tornare alla carica come tutti si erano aspettati, aveva fatto dietro front e si era avviato verso la sua macchina, deciso ad andarsene lasciando nuovamente le cose in sospeso. Giulio lo seguì e poco dopo anche Stefano, lasciato Luca, si avviò verso la sua macchina, così come ciò che restava della piccola folla di studenti ritardatari e curiosi.

Elia invece restò immobile, incerto su come comportarsi. Luca era lì, da solo, a pochi metri da lui, attraversato da una corrente nervosa quasi palpabile. Non si era nemmeno accorto della sua presenza, concentrato com'era a fissare l'asfalto ai suoi piedi, i pugni stretti, il fiato corto. Valutò i pro e i contro, se avvicinarsi o andarsene e optò rapidamente per la seconda opzione. In fondo non erano amici e quelli non erano nemmeno affari suoi. Ma quando lo vide crollare a sedere sul marciapiede, incrociare le braccia sulle ginocchia e appoggiarci la fronte, così alto che sembrava ingobbito, quasi arrotolato su sé stesso, gli fece un po' tenerezza. Fece un passo verso di lui, cauto, come se si stesse avvicinando a un animale ferito. Uno scricchiolio delle sue scarpe attirò l'attenzione del ragazzo, che alzò lo sguardo su di lui, allarmato e nuovamente teso.

I suoi occhi erano arrossati. Stava piangendo?

«Scusa, non volevo spaventarti. Sono solo io.» 

«No.» rispose l'altro, con una voce così strozzata e innaturale che gli mosse ancora più tenerezza. «Ti prego, non proprio tu.»  

Ma che razza di problemi aveva? Gli si era avvicinato perché gli faceva pena, per ricambiare il favore di informarsi su come stesse dopo quella rissa, e lui lo ricambiava trattandolo come un appestato?

«Proprio io? Adesso faccio addirittura così schifo da non potermi nemmeno avvicinare?» commentò sarcastico, riportando le sue parole. Non gliene fregava niente se quel cretino era pesto e disperato, se era in vena di offenderlo anche lui, Elia si sarebbe difeso. Ma a ferire Luca sembrarono le sue parole, dato che lo vide ricacciare la testa sulle sue braccia e poco dopo le sue spalle iniziarono ad alzarsi e abbassarsi con un ritmo inquietante, mentre dal viso nascosto proveniva una specie di singhiozzo.

«Ehi... stai bene?» 

«Vattene, per favore!»  Dannazione, ma chi mai poteva dire a qualcuno di andarsene piangendo in quel modo e chiedendolo per favore? Era praticamente impossibile per Elia lasciarlo così, qualunque fosse il motivo del suo malessere. Forse gli era dispiaciuto aver litigato così con quello che sembrava essere a tutti gli effetti il suo migliore amico, ma addirittura piangere? Non credeva fosse un tipo così sensibile, in altre circostanze avrebbe riso di quanto si era sbagliato sul suo conto, di nuovo. Ora però, davanti a tanta tristezza, ridere sarebbe stato impossibile. Si sedette sul marciapiede accanto a lui e si schiarì la voce per palesare la sua presenza. Luca infatti trasalì, convinto di essere tornato a essere solo, ma non rialzò la testa. Il suo respiro si fece ancora più spezzato ed Elia gli mise istintivamente una mano sulla schiena, trovandola sudata anche attraverso il maglione. Stava avendo un attacco di panico?

«Che succede?» la sua domanda andò a vuoto. «Luca? Sei ferito? Ti fa male qualcosa? » Provò quindi un approccio più personale, cercando la sua attenzione in modo che potesse alzare la testa e respirare meglio.

«L'orgoglio» rispose l'altro.

«Beh, quello almeno si può risolvere con la vodka. Una frattura no.» 

«Non ci voglio andare» mormorò Luca.

«Non capisco, dov'è che non vuoi andare?» Cosa c'entrava ora quella risposta? Dov'è che non voleva andare? Al bar? L'aveva detto per dire, non intendeva davvero invitarlo a bere alle due di pomeriggio. 

«Lui lo sa, e ora lo sapranno tutti e io andrò in quel posto!» lo sentì singhiozzare. 

Non aveva la minima idea di cosa stesse parlando, però non avrebbe mollato la presa proprio ora che l'altro stava facendo qualche progresso, passando dai mugolii alle parole vere e proprie. «Che posto?»

«Non voglio andarci.»

Ma lo stava almeno ascoltando o quel mulo stava parlando da solo? «Luca? Dov'è che non vuoi andare?» provò a incalzare, spazientito, maledicendosi per aver scelto l'opzione due, alla fine.

Allora lo vide alzare la testa e, dannazione, la sua faccia! Aveva gli occhi azzurri completamente arrossati e spenti, le labbra arrossate per un pugno ricevuto o perché si era morso il labbro cercando di trattenersi inutilmente dal piangere, l'espressione di pura sofferenza e le guance completamente bagnate di lacrime. Era un vero schifo, ci mancava poco che smoccolasse lì davanti a lui. Eppure, per la prima volta da quando lo conosceva, pensò che fosse davvero bello. Qualcosa di più del belloccio banale e insignificante che credeva fosse prima di conoscerlo, più del tipo sexy che faceva a botte fuori da scuola. Così vulnerabile e sconvolto, Luca era di una bellezza delicata e in qualche modo angelica, dolce. Lo avrebbe baciato lì su due piedi, ma in quel caso si sarebbe beccato il secondo pugno nell'arco di tre giorni; quindi, fu una fortuna che l'altro stesse abbassando di nuovo lo sguardo, scuotendo la testa.

«Non voglio andare lì.» 

«Sai, hai un po' rotto con questa cosa di non volere andare . Se non vuoi andare da qualche parte non ci andare e basta, va bene?» sperava di farlo ridere e si sentì quasi fiero di sé stesso, finché non capì di aver peggiorato la situazione. Lo vide iniziare a singhiozzare più forte, come un bambino, per poi lanciarsi letteralmente tra le sue braccia e continuare a piangere sul suo petto. Un gigante di quanto? Un metro e ottantacinque? Novanta? Piegato contro di lui, che arrivava a stento al metro e settantatré (dichiarati, non comprovati), a piagnucolare. Se non era quella la situazione più strana in cui si era ritrovato ultimamente, niente lo avrebbe più sconvolto da lì alla fine dell'anno. Soprattutto visto che quel tizio lo conosceva appena, e nemmeno gli piaceva granché. Sì, aveva appena pensato che fosse bello, ma era stato solo un momento di debolezza.

Cercò comunque di consolarlo al meglio, accarezzandogli la schiena in silenzio, considerando che quanto detto finora aveva avuto dei pessimi risultati. Lo lasciò sfogare finché Luca si calmò da solo, fece un respiro profondo e si alzò, un po' incerto sulle gambe e in completo imbarazzo: non sapeva bene come tenere le mani, continuava a metterle in tasca e tirarle fuori. Tirava su con il naso ed era rimasto curvo con le spalle, come a volersi rimpicciolire per la figura pessima che aveva appena fatto davanti a lui. «Scusa, io...» iniziò, con evidenti difficoltà a finire la frase.

«Tranquillo,» provò ad andargli in aiuto, «può capitare. Sarà stata la tensione del momento, l'adrenalina, il dispiacere del litigio con il tuo amico.» 

«Sì, dev'essere quello.» Troppo veloce per essere vero, ma non chiese oltre.

«Mi dispiace se ho detto qualcosa di strano, puoi... semplicemente... dimenticartene, per favore?»

«Certo. Sicuro. Non hai detto nulla di così strano.» A parte il misterioso luogo in cui non voleva andare. «Mi dimenticherò di tutto, anche di averti visto, va bene?» 

Luca abbozzò un sorriso ed Elia capì che non si fidava delle sue parole. Pensava forse che avrebbe usato un momento di debolezza del genere contro di lui? Davvero, non lo conosceva affatto.

«Devo tornare dentro, devo recuperare il mio zaino. Tu stai bene? Posso lasciarti qui?» 

«Il tuo zaino?» Luca si guardò intorno e recuperò zaino e giacca da terra. Se l'era tolta per fare a botte con Yuri? Quindi era stata una cosa premeditata, non un litigio scoppiato sul momento? Anche lui si era organizzato, in qualche modo.

«Sai, oltre alla faccia, non volevo che mi rovinassero anche i libri, il telefono e il resto delle mie cose. Non sapevo che l'incontro del giorno era stato cambiato all'ultimo.» 

«Ah già, giusto. Ok, allora grazie. Non era necessario che ti fermassi.» Guardò verso la strada e sembrò confuso, come se non sapesse da che parte andare. In quelle condizioni sarebbe stato in grado di tornare a casa?

«Sei in macchina?» gli chiese, per poi pentirsi quasi subito per quella domanda.

Luca ne fu sorpreso e strappato bruscamente da chissà quale stramba considerazione stesse facendo. «Cosa? Ah, no. Non ho la macchina.»

«Vuoi un passaggio?» propose con un po' di incertezza. Non voleva abbassare troppo la guardia. Poco prima gli era sembrato un cucciolo di cane bastonato, ma non doveva dimenticare che faceva comunque parte del gruppo delle iene.

«Davvero?» Luca sgranò gli occhi e gli sorrise in un modo così innocente da essere completamente fuori contesto. Ma quanto poteva essere adorabile un cucciolo di iena bastonata? Gli venne un po' da ridere davanti alla sua espressione sorpresa e grata, così accennò un sorriso e gli fece segno di aspettarlo mentre andava a recuperare il suo zaino dentro l'edificio. 

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