PRIMA GIORNATA - 3° NOVELLA

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spazio autore: ottimo feeling con Lia. Cercherò prossimamente di lavorarci. Voi che dite? Vi piace il lavoro? fatemelo sapere nei commenti grazie

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Il vecchio Mohamed James Lee stordisce una frotta di mocciosi narrando loro la storia di un nobile principe boemo molto persuaso della superiorità del suo popolo e di come egli cada inconsapevolmente nel tranello ordito dallo chef di corte, stanco di rimestare ogni giorno la stessa sbobba.
Cari amici locandieri, accusatemi pure di essere una fatalista, ma non credo che la dea bendata abbia scelto me e Federico per puro caso: difatti, conosciamo proprio una storia perfetta per questa situazione.
Il nostro racconto comincia in una grande città di cui nessuno conosce né il nome né l' ubicazione precisa, dove vivevano in armonia tantissime etnie diverse con diversa cultura. In un piccolo parco di questa oasi felice c'erano un giorno dei bambini che giocavano a calcio. Il gruppetto era formato da cinque marmocchi di diversa provenienza: uno di loro era originario dell' America, più precisamente del Messico; il secondo era cinese; un altro italiano, quindi europeo; in tutto questo, non potevano mancare un congolese e un neozelandese. Provenivano dunque da cinque continenti diversi.
Questi bambini inizialmente stavano giocando allegri e spensierati. Ad un certo punto, però, dopo un goal clamoroso, l'italiano, noto per il suo essere presuntuoso, iniziò a darsi delle arie e a dire che non solo il calcio, ma ogni cosa era migliore in Europa. Affermò infatti che lui avrebbe vinto ogni tipo di competizione a mani basse poiché, senza alcun dubbio, il suo continente era il posto più ricco, più bello e in generale migliore di tutto il mondo. Credeva così tanto di aver ragione che era diventato, per questo, un testardo assoluto. Non voleva ascoltare altre opinioni: era davvero parecchio ottuso, al punto che sarebbe stato meglio giocare a scacchi con un piccione che discutere con lui. Ad una certa, offeso da quelle illazioni, prese un attimo la parola il bambino asiatico, che disse: «Perché proprio il tuo continente dovrebbe esser così bello? Da me c'è una cultura diversa dall'occidente, il cibo è diverso e particolare, senza contare il fatto che siamo senza dubbio più avanti tecnologicamente». Replicò all'europeo anche il bambino messicano: «In America c'è tanta ricchezza sotto ogni punto di vista, nel tuo continente no. Siamo uniti su molte cose, come lo sport, mentre in Europa c'è un pensiero diverso per ogni paese». Il ragazzino africano si aggiunse alla discussione: «Nel mio continente la natura è incontaminata e ci sono bellissimi tramonti, quasi indescrivibili per la loro immediata bellezza all'occhio umano». Mancava ora solo l'Oceania, che non si fece aspettare: «Il mio continente è un posto bellissimo per il suo oceano, la sua terra e la sua natura».
Ma l'europeo non voleva sentire ragioni e, mentre i suoi coetanei rifiutavano per molteplici motivi la sua affermazione, lui, non credendo a quelle parole, decise astutamente di porgere la questione ad un vecchio: Mohamed James Lee. Mohamed era un signore che, a detta dei bambini, doveva avere su per giù centoventanni, ed era famoso per aver viaggiato per tutto il globo in lungo e in largo. L'europeo, oggettivamente, pensava che il vecchio potesse, anzi, dovesse dargli ragione: invitò gli altri bambini ad andare da lui e gli chiese dunque quale continente fosse il migliore tra tutti. Anziché dargli una risposta secca, però, Mohamed si mise a parlare, e parlare, e parlare. «Miei cari giovanotti, questo vostro serissimo dibattito mi ricorda un vecchio racconto che ho
ascoltato non ricordo bene né dove né quando; ad essere sincero, non ricordo nemmeno di averlo mai sentito - non che sia importante, dopotutto. Chi l'ha deciso che una storia è valida solo quando è stata tramandata di generazione in generazione e non è stata, che so, inventata sul momento? Roba da matti, dico io, ma non divaghiamo.
Mi chiedete quale sia il continente migliore? Ebbene, io vi rispondo così. C'era una volta (si comincia sempre in questo modo, giusto?), centinaia e centinaia di anni fa, un principe boemo, il cui nome era Friederich Von der Spocchien. Questo principe era particolarmente orgoglioso di essere un Von der Spocchien, nobilissima stirpe che aveva sempre e solo  vissuto in Boemia; d'altronde, lo sanno tutti, essere nati in un determinato luogo e in una
determinata famiglia è merito del bambino o, per lo meno, così credeva il principe. Come tutti i Von der Spocchien degni di questo nome, Friederich portava avanti la rigidissima e importantissima tradizione di non introdurre in casa nulla che non fosse stato fatto in Boemia: così, per esempio, tutti i suoi vestiti venivano cuciti da un sarto che abitava giusto due case più in là rispetto al suo castello; tutti i mobili, invece, erano stati abilmente prodotti da un falegname che abitava sempre due case più in là, ma dall'altra parte. Lo stesso valeva per i tappeti, le tende, le lenzuola; per non parlare delle donne, bambini miei! I Von der Spocchien sostenevano addirittura che le ragazze non boeme avessero...
Lasciamo perdere, siete troppo piccoli per sentire certe cose. Ad ogni modo, la cosa su cui Friedrich era più intransigente era il cibo. Mangiava solo e soltanto la carne dei maiali e dei vitelli allevati in Boemia e pretendeva di ingerire solo verdure coltivate dal contadino che abitava due case più in là, ma da un'altra parte ancora rispetto al sarto e al falegname - a quanto pare la Boemia si estendeva per coppie di case, ma questo non è importante.
È importante, invece, che queste precise imposizioni stessero strette al cuoco del castello dei Von der Spocchien, Karl Astutzien. Difatti, questo non poteva contaminare (come avrebbe detto Friedrich) i suoi piatti boemi con ingredienti stranieri. In cucina erano dunque banditi: i vitelli cresciuti in Alsazia, le spezie provenienti da Calicut, lo zucchero brasiliano, qualsiasi tipo di ortaggio proveniente dalle Americhe, l'olio mediterraneo, i cereali olandesi e chi più ne ha più ne metta.
Astutzien, però, non ne poteva più di cucinare solo avvalendosi di un numero limitato di ingredienti. Per farvi capire, giovanotti, è come se la mamma vi chiedesse di disegnare un bel paesaggio ma vi lasciasse solo il pastello verde per colorarlo. Così, il cuoco cominciò, pian piano, a serbare rancore verso il suo padrone e decise, in un modo o nell'altro, di fargliela pagare.
Karl Astutzien conosceva molto bene il principe e sapeva che amava le sorprese più di ogni altra cosa. Un giorno, dunque, decise letteralmente di prenderlo per la gola e gli promise che per la settimana dopo gli avrebbe preparato un piatto molto speciale, a patto che lo avesse consumato da bendato: Von der Spocchien accettò di buon grado. Il giorno della sorpresa, Astutzien si chiuse in cucina e impedì a chiunque di entrarvi. Preparò dunque una pietanza coi cibi più disparati, provenienti dalle parti più remote del globo: patate, pomodori, pepe, mais, carne, olio, cereali tutto questo e altro in un unico piatto. Si assicurò poi che il principe Friederich fosse ben bendato e gli servì ciò che aveva cucinato.
Cari bambinetti, io non so cosa ci fosse di preciso in quel piatto, ma la leggenda vuole - sempre che di leggenda si tratti e io non mi stia inventando tutto qui, sul momento - che Von der Spocchien abbia finito tutto nel giro di pochi minuti e abbia dichiarato che quello era il pasto più buono che avesse mai consumato. Astutzien rise sotto i baffi: non gli confessò mai di aver usato ingredienti stranieri, in quanto ritenne di averlo umiliato già abbastanza.
Credo che il senso di questa favola sia che una cosa non è migliore di un'altra solo perché noi la riteniamo tale. O forse che il cibo boemo non è poi così buono. Insomma: una qualche morale c'è, ma non la ricordo e, a dirla tutta, non ricordo nemmeno perché siete venuti a importunarmi. Toh, prendete una caramella e levatevi di torno».
I bambini rimasero abbastanza interdetti da quella storia, ma di certo non rifiutarono la caramella. Dopo averne consegnata una ciascuno, però, il vecchio Mohamed James Lee tirò a sé l'Europeo e, strizzandogli l'occhio, gli sussurrò: «E comunque, il cibo italiano è il migliore!».

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