Capitolo 46. Interstellar - Hans Zimmer

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"Non ce la faccio." Esclamai, con gli occhi spalancati, le mani strette tra le tende pesanti dietro le quinte del teatro.

"Sono qui con te." Mi sussurrò, Nicla, con una voce delicata e materna, avvolgendomi le spalle con le sue lunghe mani.

"Se mi blocco?" bisbigliai, sentendo salire un familiare groppo in gola, la lingua gonfia, la testa che scoppiava con un fischio assordante.

"Guardami, tesoro mio." Nicla mi voltò lentamente verso di lei. Mancava ancora mezz'ora. In platea, e negli eleganti spalti ai lati del teatro, stavano cominciando a entrare le prime persone per prendere il loro posto, il pubblico. Metà del quale era stato sicuramente attratto dal manifesto affisso nella città e nelle altre aree limitrofe. Avevo sentito dire che la campagna pubblicitaria era arrivata oltre il confine italiano.

La mia risonanza, combinata con quella di Nicla Rogers, era un boccone troppo succulento.

ERK era Emilia Rogers Koll.

Finalmente avrebbero visto la donna col velo con i propri occhi.

"Nicla." Mi bagnai le labbra, sentendo le dita appiccicose, disarticolate. Spostai lo sguardo dai suoi occhi verde mare al pavimento fatto di assi in legno sotto i nostri tacchi.

"Sei la creatura più radiosa che esista sulla terra." Cominciò. Socchiusi gli occhi, cominciando a tremare. Le mie labbra tremavano come impazzite, la lingua informicolita ballava su e giù picchiando sul palato come se volesse fuggire.

"Volevo renderti fiera di me." Dissi tutto d'un fiato, sputando quelle parole in un soffio tormentato.

"Io lo sono. Lo sono da sempre." Mi sussurrò, con una carezza. Guardò oltre la mia spalla, circondandomi con le sue braccia nude, e trascinandomi lontano dal palco e da quel pianoforte che aspettava impaziente che le mie mani si posassero su di lui di lì a breve.

"Ho una cosa da dirti."

"Che cosa, Nicla." Ansimai.

Nicla ignorò per l'ennesima volta che la chiamassi con il suo nome di battesimo.

Lo ignorò elegantemente, come faceva sempre.

La osservai pulirsi da una polvere invisibile sulla tuta argentata, con lo scollo a cuore, che le fasciava la figura sinuosa. Mi strinsi nel mio abito azzurro cielo, morbido ma aderente, la scollatura dritta con volant sotto le spalle che sopra restavano nude, liberando schiena e collo da qualsiasi laccio o intreccio. Mi piaceva il mio abito. Arrivava sotto al ginocchio e la gonna aderente aveva uno spacco laterale.

"Emilia, qualsiasi cosa succeda là fuori..." indicò un punto indefinito oltre la mia tempia, verso il palco illuminato. Aveva alzato il braccio come una farfalla che sta per spiccare il volo: "...tu sei parte di questo sogno. Il pubblico è parte di questo sogno. Siete due voci diverse dello stesso coro. E, se lo senti davvero dentro di te, ti accorgerai che starete cantando la stessa melodia. Non importa cosa fai, o quanto fai. Importa quanto dai, e quanto ti perdi qui dentro." Mi toccò all'altezza del cuore.

Io osservai il suo gesto, abbassando il mento.

"È quello che fai anche tu? Ogni volta che sali su un palco?"

"Sì."

"Ma non devo perdermi troppo. Giusto?"

Nicla mi sorrise, alzando lo sguardo oltre il mio velo sul viso. E alzò a mano su di me, per coprirmi gli occhi, mentre con l'altra mi circondava la schiena, come l'ala di un'aquila sul suo cucciolo.

"Non troppo." Confermò, e le sentii sbocciare un sorriso sulle labbra, mentre, con la vista completamente tappata, mi faceva voltare di nuovo: "Devi stare..."

"...a un passo dal baratro." La voce di mio padre mi sorprese, sfiorandomi come un venticello profumato di acqua di colonia. Ero tra loro due, adesso, con gli occhi chiusi, le spalle appoggiate al petto grande di Nicla. Tornai piccola. Tornai a quei giorni felici, in cui noi tre eravamo tutto il nostro mondo. Non riuscii a piangere, non allora. L'emozione era troppo forte per incanalarsi, il profumo di Nicla, mescolato a quello di papà, che stava venendo verso di noi, mi inebriava di una nuova forza e sicurezza.

"Moro." Mormorò mia madre, accogliendo la sua presenza, staccando la mano dal mio viso, per intrecciarla con la sua.

"Non potevo sedermi senza prima aver dato un in bocca al lupo alla mia piccola. Alla nostra piccola." Sorrise ad entrambe, strusciandosi poi il mento brizzolato di barba con le dita.

"Vi state comportando come se avessi cinque anni e fossi alla recita di fine anno della materna." Dissi, con una finta aria di rimprovero, e feci per scrollarmi di dosso le mani di mia madre.

"La prima volta è sempre la più dolorosa." Disse papà, alzando gli occhi al soffitto, osservando i cavi e alcuni violinisti appartati sui panchetti, che stavano controllando il loro strumento, facendo volteggiare gli archetti.

"Già." Confermai, sentendo un nodo allo stomaco.

Guardai prima mio padre, poi Nicla.

Mi sciolsi un altro nodo, davanti a loro. I due lembi del velo. E feci scivolare il tessuto lungo il mio viso, liberandolo. Con una mano mi aggiustai i capelli, sotto l'orecchio.

"I miei capelli sono a posto?" chiesi a mia madre, osservando i suoi occhi allargarsi in un'espressione di sorpresa. Due pozze di acquamarina scintillanti, che si riflettevano sui miei, identici e scoperti nell'aria satura del teatro. Sentii le sue dita attorcigliarsi tra le mie ciocche mosse.

"Preoccupati delle tue dita, noi pensiamo al resto." Intervenne papà, scoprendo i denti in un sorriso.

Mi sfiorai la cicatrice dura sulla mia tempia, mentre le luci in platea stavano lampeggiando.

Il cuore mi saltò in gola.

"Sarà meglio che torni al mio posto." Papà mi baciò dolcemente sulla tempia, prima di affrettarsi a raggiungere Teresa ed Emma sulla platea.

Ispirai profondamente, alzando le spalle.

Nicla fece un passo indietro, mentre facevo pochi passi verso la mia entrata sul palco, restando ferma dietro le pesanti tende scure, in attesa che dalla cabina di regia mi dessero il segnale per entrare.

Nicla era silenziosa, adesso. Rispettò il mio momento di raccoglimento. Dovevo trovare la concentrazione, ripulirmi di tutto.

O tenermi tutto.

Stavo mescolando tutte le regole, tutti i consigli che mi avevano dato in questi anni, e negli ultimi giorni. I palmi delle mie mani cominciarono a sudare.

Il brusio della sala si stava progressivamente acquietando. Le luci si stavano abbassando lentamente. Presi di nuovo un bel respiro, sollevando il mento e aprendo la bocca.

Non andrai in iperventilazione, Emilia. Mi dissi ad occhi chiusi.

Sei sola. Mi disse Dino, dentro la mia testa, nell'angolo polveroso di una stanza lontana, nel buio dei miei ricordi. Adesso suonerai qualcosa. La sua voce accarezzò il mio volto, lo sentii nitidamente.

Sì. Adesso suonerò qualcosa.

Buttai l'occhio sul manifesto appeso dietro le quinte. Illustrava il programma della serata, con il nome Emilia Koll-'ERK' in grassetto, in cima ai successivi interventi artistici. Accanto a quel manifesto ce n'era un altro: ritraeva a piena pagina l'immagine che il fotografo mi aveva scattato molto tempo prima. Il mio volto, preso di profilo, con il telo azzurro mosso dal vento, che si appoggiava leggiadro al di sopra del mento, quasi sfiorandomi le labbra semiaperte. E sotto, la scritta che appariva in grassetto:

Emilia Koll

"Il velo sul viso"

Concerto di Natale

Cinema Teatro Metropolitan

E, a seguire, una serie di informazioni e contatti per prenotare o acquistare i biglietti.

Era il mio concerto di Natale, anche lui l'aveva previsto. Aveva visto molto lontano, con quegli occhi scuri. Allora non gli avevo creduto. Allora, era solo un gioco. Mi sforzai di far parte ancora di quel gioco, di sentire la leggerezza di quei giorni sulla mia pelle accaldata, e scrocchiai il collo un paio di volte, unendo le mani per strofinarle l'una contro l'altra, scacciando l'ansia e la sensazione umida del sudore sulla pelle.

Anche solo poggiare il piede sul palco sotto gli occhi di tutti, era la mia conquista. Sedermi davanti al grande pianoforte a coda del teatro, era la mia conquista.

Tutto quello che mi si chiedeva era qualcosa che sapevo già fare benissimo. Non dovevo inventarmi niente, solo essere me stessa.

Io e la mia musica. Ma non c'era un pubblico e un esecutore, quella sera.

Non esisteva una divisione così netta.

C'era un unico, grande sogno.

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