Capitolo 16: IO NON TI LASCIO SOLO

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Se qualcuno mi chiedesse se esiste una materia che odio e amo allo stesso tempo, risponderei con certezza: la chimica.
La amo per la sua magica alchimia, per le trasformazioni, per la rottura dei legami che uniscono gli atomi di una stessa entità molecolare. La odio perché tutto questo è davvero difficile da capire e mettere in pratica.

Consegno il test con mille dubbi. Ho risposto solo a due terzi delle domande e non sono riuscita a terminare l'esperimento pratico. Tutti sembrano più sicuri di me quando portano i loro compiti all'assistente e la cosa mi abbatte decisamente. Esco in cortile, con l'immensa voglia di fumare una sigaretta, proprio adesso, così, in piedi, dando le spalle all'edificio e rivolgendo lo sguardo al cielo, ma non fumo più da tempo ormai, dunque mi limito a reprimere il desiderio di nicotina in fondo a un angolo del cervello.

Da lontano vedo arrivare Penn e America con i libri sotto braccio. Sembrano venire nella mia direzione. Sono felice di rivederli, almeno posso chiedere ad America come si sente dopo la brutta esperienza dell'altra notte. Vado loro incontro, ma prima che possa raggiungerli, qualcuno passa un braccio attorno al mio collo spingendomi indietro.

"Zuccherino mio"

La voce di Hunter e il suo alito di menta piperita mi stordiscono.

"Come è andata l'esercitazione?" mi fa voltare e mi bacia le labbra con una grande pressione.

"Non era un'esercitazione" mi ritraggo, "ma un esame vero e proprio e ho paura che non sia andato esattamente come volessi..."

Hunter avvinghia maggiormente il suo braccio attorno alla mia persona e mi stringe a sé, in un goffo tentativo di incoraggiamento.

"Sono sicuro che dici così solo per scaramanzia, tu sei davvero brava, zuccherino!"

Evito di ribattere, consapevole che qualsiasi cosa dica tanto lui non sarebbe in grado di capirla. Il braccio di Hunter molla leggermente la stretta intorno al mio collo ed io ne approfitto per sfuggire.

"Ehi, non pranziamo insieme?" mi chiede, vedendomi indietreggiare nel cortile.

"Mi dispiace, ho alcune cose urgenti da sbrigare" improvviso, incapace di trovare una scusa migliore. Non ho voglia di stare con lui e Ian è da solo al dormitorio che mi aspetta.

"Allora passo a prenderti alle otto questa sera, sarò il tuo accompagnatore alla cerimonia di benvenuto, d'accordo?"

Annuisco per poi scappar via a passo svelto tra gli studenti che escono per l'ora di pausa.
***

Nel pomeriggio, come da accordi, io e Ian torniamo a Dowtown per scegliere qualche vestito più adatto al suo soggiorno nel futuro. Ian non sembra molto a suo agio nel caos dei grandi magazzini, si muove guardingo, scrutando le persone e restando affascinato dalla eccessiva luminosità delle vetrine.

"Che ne dici di uno di quelli?" indica gli smoking indossati dai manichini di Giorgio Armani.

"E se optassimo per qualcosa di più... semplice?" proseguo, senza neanche dare un colpo d'occhio ai prezzi, consapevole delle nostre ristrettezze.

Ian tira fuori il suo portamonete. "Pensi che non possa permettermi un abito simile? Ho dei soldi con me, dovrei solo cambiarli..."

Devo avere un'espressione piuttosto disgustata mentre osservo le monete italiane che lui continua a mostrarmi. "Non credo che valgano molto quelle" confesso.

Ian mi lancia una brutta occhiata. Il suo sguardo, anche se gelido, mi riscalda la pelle all'istante.

"Sono tanti soldi!" tira dritto, sicuro del suo bottino.

Lo seguo, senza osare contraddirlo. Raggiungiamo uno dei punti per il cambio monete. Per fortuna la voce registrata della cassa automatica mi viene in soccorso, smontando ogni sua convinzione.

"Soldi rifiutati?" Ian infila di nuovo le monete, "com'è possibile?" si agita, finendo per mollare un pugno contro la macchinetta.

"Ian" poso una mano sulla sua spalla, "in Europa c'è l'euro adesso, quei soldi sono solo pezzi di antiquariato..."

Lui scuote la testa, lascia in pace la macchinetta e si siede a terra, prendendosi la testa tra le mani. Un ciuffo di capelli gli finisce sugli occhi, lo caccia indietro con arroganza.

"Ehi" mi siedo al suo fianco. I miei movimenti sono cauti, ho una fottuta paura di fare o dire cose sbagliate. Ian continua a tenere il volto basso e gli occhi fissi a terra.

"Ehi" sospiro di nuovo.

Lui allontana il mio braccio in modo brusco, si alza e molla l'ennesimo pugno contro la macchinetta.

"Cazzo!" grugnisce.

Resto a sedere a terra, congelata nella mia posizione. Alcune persone ci passano vicino frettolosamente, lanciandoci uno sguardo curioso. La mano di Ian stringe così forte le monete da volerle disintegrare, mentre il suo respiro si fa sempre più pesante.

"Non ho più una casa, una famiglia, non ho più il mio tempo e...non ho più neanche un soldo, merda!" lancia il denaro a terra in un tintinnio assordante.

La pena che provo per questo ragazzo, supera la paura di ogni sua possibile reazione. E' come se dentro di me provassi il suo stesso dispiacere e la sua stessa angoscia. E' come se si fosse creato un varco tra me e lui, una linea diretta, una sorta di ponte levatoio che mi permette di raggiungere il suo cuore.
D'istinto mi sollevo e gli vado incontro. Le mie mani finisco sul suo viso, costringendolo ad alzare gli occhi nei miei.

"E' vero, non hai soldi e sei in un tempo che non è il tuo, ma hai me ed io ti aiuterò a tornare a casa."

Il respiro di Ian rallenta. Il suo sguardo si alza sul mio. Percepisco la tensione delle sue braccia allentarsi.

"Io non ti lascio solo. Te lo prometto"

Ian sostiene il mio sguardo. Dentro i suoi occhi potrei annegare e non voler più risalire a galla. Sono magnetici, splendenti e sono connessi ai miei più di quanto osi pensare.

"Grazie"

Le mie labbra si increspano in un leggero sorriso nel tentativo di rassicurare il ragazzo disorientato che mi sta di fronte. Le sue mani passano più volte tra i capelli, per finire dentro le tasche dei pantaloni presi in prestito da Hunter.

"Andiamo, conosco io un posto dove possiamo comprare qualcosa a poco prezzo"

Ian mi segue indeciso, quasi riluttante. Poi si ferma improvvisamente, rifiutandosi di salire sulla scala mobile che porta al primo piano. "Non voglio, non è giusto che sia tu a comprarmi qualcosa"

"Sarà solo un piccolo regalo, non preoccuparti" lo invito a seguirmi sui gradini in lento movimento.

Ian incrocia le braccia al petto e scuote la testa.

"Coraggio!" allungo una mano verso di lui, allontanandomi.

"Non ho soldi e tu non puoi pagarmi dei vestiti!" mantiene la sua ferma posizione.

"Ian, si tratta solo di un piccolo regalo. Ho un'amica che lavora qui, può farci un buono sconto"

La scala mi porta al primo piano, lasciando Ian fermo a quello sottostante. Non avrei mai pensato che i ragazzi degli anni quaranta fossero così testardi. Armata di una buona dose di pazienza riprendo la scala in direzione opposta.

"Se vuoi che ti stia vicino devi lasciare che ti aiuti" lo rimprovero una volta tornata a piano terra.

Ian stringe gli occhi nei miei, facendomi quasi vacillare.

"Non è molto carino accettare soldi da una donna" sputa finalmente il rospo.

Mi scappa da ridere e lo faccio, cercando subito dopo un contegno. "Siamo nel duemila, nessuno fa più caso a simili galanterie"

Ian aggrotta la fronte e lascia andare le braccia lungo il corpo. "Non si tratta di galanteria, tu sei una donna ed io un uomo. Spetta a me la parte economica, come pagarti il pranzo o un abito."

"Ian, oggi sono pochi gli uomini che ti cedono il posto sull'autobus e tantomeno quelli che ti fanno passare avanti ad uno sportello, se si tratta di soldi poi, è pura fantascienza!" allungo di nuovo le labbra in un sorriso.

"Ma cosa è successo alle donne in questi settant'anni?"

"Diciamo che hanno lottato molto per i loro diritti di emancipazione. E gli uomini...beh non esistono più i bravi ragazzi..."

Ian sospira e, rassegnato, si lascia convincere a salire la scala mobile.

"E va bene, ma solo una camicia e un paio di pantaloni così che tu possa restituire questi al tuo fidanzato"

Alzo gli occhi al cielo, facendomi condurre dal marchingegno ai piani alti. Ian è dietro di me e il suo respiro, se pur contrariato, è una piacevole scia tra i capelli.

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