Capitolo 27: SOLO UNA PAUSA

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Il lunedì mattina torno nella mia stanza, recupero il mio zaino con i libri e il portatile. Non c'è traccia di Ashley, a quanto pare è già in giro per i corridoi della Jacksonville University.

Mi sento sollevata, averla dovuta incontrare così, faccia a faccia, mi metteva abbastanza agitazione. Lascio i dormitori e mi dirigo verso l'aula di anatomia. Le mie Sneakers emettono uno strano scricchiolio mentre procedono sui pavimenti tirati a lucido. Mi siedo dietro ai tavolini delle ultime file e tiro fuori le dispense.

Il professor Wilder fa il suo solito ingresso confuso. La valigetta aperta dalla quale cadono rigorosamente penne e bacchetta e la camicia fuori dai pantaloni, che cerca di sistemarsi sotto la cintola con scarso risultato.

"Aprite a pagina centoquattro, oggi continuiamo il nostro percorso nell'apparato digerente" si sistema dietro la scrivania, "dunque parliamo dell'esofago, un tubo fibromuscolare che si estende dietro la trachea e il cuore, attraversa il diaframma e sfocia nella regione superiore dello stomaco...."

La mia mente si estranea non appena Ashley fa capolino alla porta. La mia compagna di stanza si guarda intorno, finché il suo sguardo non si posa sul mio e vi rimane incollato per più di tre secondi. Un groppo in gola mi rimanda a sabato sera, al nostro litigio e alla mia confessione. Il volto di Ashley si scurisce, le sue mascelle si contraggono, poi la sua attenzione si sposta al professore, chiedendo scusa per il ritardo.

L'uomo le fa semplicemente un cenno di assenso, proseguendo con la spiegazione. "Durante la deglutizione, l'epiglottide si inclina all'indietro per evitare che il cibo proceda verso la laringe e i polmoni..."

La bionda a passi veloci raggiunge uno dei banchi alla mia sinistra, vicino alle finestre.
Ancora un'occhiata tra me e Ashley. Uno sguardo che racchiude davvero molte parole, parole rimaste in bilico tra verità e menzogna.
I suoi occhi, adornati da un sottile strato di rimmel, sembrano furiosi con me, ma anche tanto tristi.

Distolgo immediatamente lo sguardo per tornare al mio blocknotes. Cerco di concentrarmi e catturare le nozioni principali, anche se con grande difficoltà; non solo per la presenza di Ashley a un paio di banchi di distanza, ma anche per il pensiero fisso e costante della serata trascorsa con Ian. La cena, il dopocena e la notte passata nello stesso letto, se pur alle due estremità opposte, come giusto compromesso, mi hanno decisamente scombussolata. Continuo a ripetermi che si tratta di un uomo sposato, ma non ne traggo alcun sollievo. Il solo pensare ai suoi occhi, alle sue mani sempre in cerca delle mie, mi fa battere il cuore all'impazzata. I pori della mia pelle sudano più del dovuto.
Stringo gli occhi sulla lavagna luminosa.
Il mio sguardo è rivolto alle immagini tridimensionali, ma la mia mente continua a frullare a vuoto. Ian che porta via con il tovagliolo tutto il mio rossetto. Passo le dita sulle mie labbra, non ho messo niente questa mattina, neanche del semplice lucido e mi sento decisamente nuda.

Lancio un occhio all'orologio appeso sopra la cattedra, il tempo passa davvero troppo lentamente, le lancette sembrano quasi non volersi muovere. Per giunta il professor Wilder non concede alcuna pausa e, tra uno sbadiglio e l'altro della platea, tira dritto fino all'ora di pranzo.

"Nella prossima lezione affronteremo le malattie che possono colpire questa parte del corpo. Parleremo del cancro, del reflusso grastro esofageo e delle varici. Ho alcune diapositive da mostrarvi, trascorreremo l'ultima ora nell'aula di proiezione"

I ragazzi delle prime file si alzano, salutano il professore ringraziandolo per l'esposizione. Tra questi noto anche America e Penn.

Mi avvicino cauta e li saluto con un debole "ciao".

America, come suo solito fare, mi butta le braccia al collo. Poi però si accorge del gesto che ha appena fatto e si ritira come scottata.

"Scusami, non dovrei...non qui davanti a tutti, io, io sono proprio una stupida..."

Penn si affianca a noi. Gli faccio un debole cenno, alzando appena il mento. Poi mi occupo di rassicurare America: "Tranquilla, credo che da oggi in poi potremo frequentarci liberamente, se lo vorrai.." sposto l'attenzione su Penn, "se lo vorrete..." mi correggo.

"Holland, cosa è successo?" Il braccio di America si incastra sotto al mio, trascinandomi in un angolo della stanza.

Con la coda dell'occhio vedo Ashley uscire in silenzio, con la tracolla appesa ad una sola spalla.

"Ho litigato con Ashley" dico chiaramente, "ho lasciato la mia stanza e credo che a breve dovrò vedermela anche con Phoebe che mi escluderà ufficialmente dal gruppo delle cheerleader. Sono una OUT a tutti gli effetti adesso"

America boccheggia tra shock e senso di impotenza. Penn si limita a grattarsi la testa.

"E' tutta colpa nostra, non è vero?" dice lei. "Ashley ha scoperto che sei uscita con noi due e..."

"Non è colpa di nessuno. Ho solo preso la mia decisione" la rassicuro.

"Dove stai adesso?" chiede Penn, passandosi una mano sul mento con fare serio, "se non nella tua stanza, intendo..."

"Da un amico fuori dal campus" taglio corto.

Gli occhi di America si illuminano, sembra quasi che abbiano percepito qualche sfumatura di colore nel mio pronunciare la parola amico. Forse ha capito che mi riferisco a Ian. Ed io mi sento tremare le ginocchia al pensiero che sto condividendo con lui il mio spazio vitale.

"Oh, mi sento così responsabile!" sospira America, stringendo le mani al petto. "Se solo tu non mi avessi mai aiutata in spiaggia, se solo non mi fossi avvicinata per la festa di benvenuto e se non ti avessi mai invitata al cinema, tu faresti ancora parte del loro mondo..."

"Io non faccio parte del loro mondo" scandisco bene ogni singola parola. "Io sono come voi, vengo da una semplice famiglia di provincia, ho una borsa di studio per frequentare i corsi e ho così tanti problemi che Dio solo sa quanti!"

Penn infila le mani in tasca. I suoi jeans si abbassano, lasciando intravedere l'elastico dei boxer. "Di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, puoi contare su di noi" dice.

America annuisce, sorridendo invogliante.
Mi lascio uscire un grazie che credo provenga da qualche parte abbastanza profonda del mio cuore. Guardo America e Penn allontanarsi l'uno di fianco all'altra. Lui con lo zaino penzoloni e i pantaloni bassi in vita, lei con pittoresche scarpe basse e la divisa lunga fin sotto al ginocchio. Emetto un debole sospiro. Sono carini insieme. Sono davvero molto carini. Aspetto che svoltino l'angolo e giro i tacchi diretta verso gli armadietti per depositare il libro di anatomia ma, quando arrivo in prossimità, non vorrei mai averlo fatto. Sulla parete opposta c'è Phoebe, appiccicata al muro da Hunter in un atteggiamento non esattamente conforme a due vecchi amici. Il braccio di lui è sopra la testa di lei e il suo corpo sbilanciato contro quello della bruna dominante.

Procedo a testa bassa, fingendo che non esistano e mi fiondo sul mio armadietto. Lo apro e ci infilo letteralmente la testa dentro.

"Zuccherino!" La voce di Hunter mi trapana il cervello. Il suo modo così stucchevole di chiamarmi e la sua voce mi fanno salire la nausea e un senso di vertigine. Chiudo gli occhi e aspetto che mi chiami una seconda volta.
Poi, impossibilitata a fuggire o a scomparire in una nuvola di fumo, mi volto.

"Zuccherino, ti ho cercata questo fine settimana, che fine hai fatto? Perché non hai risposto alle mie chiamate, ti ho lasciato un sacco di messaggi vocali..."

Resto immobile, gli occhi nel vuoto e le spalle basse.

"Zuccherino, cosa ti succede?" Le mani di Hunter mi scrollano le spalle con leggero vigore.

Sposto lo sguardo da lui a Phoebe, che ha il mento alto e la schiena ancora appicciata contro la parete.

"Ehi?"

Indecisa se limitarmi a dargli uno schiaffo e fuggire via oppure esplodere in un lunghissimo e infinito soliloquio, continuo a restare in silenzio. La mia voce rimane incollata alle corde vocali, non esce, neanche una singola parola.

"Hunter, caro, il tuo zuccherino ha altro per la testa, altre cose alle quali pensare, gli IN sono passati in secondo piano per lei..." Phoebe avanza nei suoi tacchi altissimi e nella sua divisa attillata.

La mia attenzione si sposta di nuovo su di lei. Sento le mie mascelle contrarsi così tanto che se potessero avventarsi sulle sue braccia le prenderebbero a morsi. Ashley non ha fatto passare troppo tempo per avvisarla. Ovvio, naturalmente.

"Holland ha voglia di trasgredire, di cambiare, e quale occasione migliore se non una serata al cinema con i suoi due nuovi amichetti, non è vero?"

Hunter aggrotta la fronte, guarda me e poi Phoebe, evidentemente confuso.

"Penn e America" La bruna nasconde un sorrisetto. "Non lo sapevi?"

Hunter fa una espressione disgustata, arricciando il labbro superiore e buttando quasi fuori gli occhi dalle orbite. "Tu sei uscita con quei due?" chiede con voce strozzata.

"Esatto!" risponde Phoebe per me. "In fondo una borsa di studio e una famiglia nel Bronx sono sufficienti per essere classificata come una vera e propria OUT, anzi, se vogliamo la regina degli OUT!"

Mi sento pizzicare le mani e anche la gola. Ho voglia di sputarle addosso e di colpirla a suon di calci. Hunter mi prende per un braccio, chiedendo spiegazioni, ma io mi sottraggo dalla sua presa. Stringo gli occhi contro Phoebe. Se fosse possibile fulminarla e ucciderla con uno sguardo lo farei immediatamente.

"Holland, è vero?" La voce di Hunter è dura e le sue dita si nuovo avvinghiate attorno alla manica della mia divisa. "Tu...tu sei del Bronx? Tu...sei uscita con gli OUT?"

A denti stretti e con un enorme groppo in gola faccio un passo indietro, allontanandomi da tanta pressione. Le loro domande mi pigiano in testa, da una tempia all'altra, schiacciando il cervello in una atroce morsa. Faccio un ulteriore passo indietro, sbattendo contro l'anta del mio armadietto che è rimasta aperta. Mi giro, la chiudo e infilo le chiavi dentro la tasca della gonna. Poi, senza fiatare, fuggo via.

"Holland, dove vai?" Hunter mi segue, "perché non dici niente? Perché non mi rispondi?"

"Lasciami in pace" mi limito a ribattere.

"Holland, non puoi andartene così. Io...io...esigo delle spiegazioni!"

Una piccola folla di gente si è appena radunata intorno a noi, vedo occhi di ragazze e ragazzi che non conosco guardarci curiosi. Non avrei mai voluto arrivare a tanto, questa è la classica situazione che avrei decisamente evitato.

"Sei fuori dalla squadra, Holland!" mi grida Phoebe, restando immobile a gambe leggermente divaricate e con le mani puntate sui fianchi, nella sua prorompente e statuaria bellezza.

Evito il braccio di Hunter che cerca invano di afferrarmi e cammino veloce oltre agli studenti radunati in semicerchio. Prendo la strada che porta all'uscita perché credo di aver proprio bisogno di una buona dose di aria.

"Holland, adesso basta fuggire" Hunter mette in moto tutta la sua forza, incastrandomi in un angolo, proprio prima del portone. "Esigo delle spiegazioni a tutto questo!" ripete esaustivo.

Un sorriso fugace e amaro si presenta sulla mia faccia. "Esigi delle spiegazioni?" dico ironicamente, "tu esigi delle spiegazioni? Sei serio?"

Hunter mi mantiene ferma. Il suo fianco destro è sufficiente per schiacciare tutto il mio corpo contro la parete.

"Eri con Phoebe sabato sera, ti ho visto! Sei con lei sempre, in realtà, anche adesso, come puoi avere il coraggio di chiedere a me delle spiegazioni?"

"Phoebe è un'amica, la mia migliore amica"

Scuoto la testa e guardo oltre, la folla per fortuna si sta diradando, richiamata dal suono della campanella di uscita. In realtà pian piano se ne vanno tutti, eccetto Phoebe, naturalmente, che è ancora in piedi, con un irritante sorriso stampato in faccia.

"Da quando hai una migliore amica?" rido isterica.

Hunter stringe il suo sguardo nel mio. "Da quando tu hai un migliore amico" replica a denti stretti.

Fisso i suoi occhi, l'azzurro delle sue iridi è un oceano in piena tempesta.

"Come vedi siamo pari" afferma, "e adesso vuoi spiegarmi cosa stava dicendo Phoebe? Cosa c'entri tu con il Bronx? Cosa c'entri con America e Penn...cosa?"

"La tua migliore amica ha detto la verità" spingo per uscire dallo stretto spazio nel quale sono costretta. "Io non appartengo al tuo mondo, Hunter, e forse è davvero giunto il momento di darci un taglio"

Hunter incalza. Il suo corpo mi sembra un macigno troppo pesante da valicare. "Zuccherino, vuoi lasciarmi? Non stai dicendo sul serio, vero?"

Schivo le sue mani che mi afferrano le guance. Le sue labbra cercano le mie, che per fortuna riescono a sfuggire al bacio.

"Smettila!" lo ammonisco. "Non siamo dei bambini, siamo abbastanza grandi per riconoscere i nostri errori. Sono la prima ad aver sbagliato, mi sono presentata in questo college come la ragazza che non sono, e adesso è giunto il momento di fare i conti. Ho commesso uno sbaglio, un gigantesco sbaglio, lo riconosco. E anche tu ne hai commessi molti, non mi hai mai capita, mai incoraggiata, ti sei innamorato di quella che non sono e adesso non ha più molto senso continuare questa recita insensata" lancio un nuovo sguardo verso Phoebe, che non si è mossa di una virgola. "Lasciami andare e torna dalla tua migliore amica"

"Non ti lascerò andare via" grugnisce malamente.

"Non sono più una IN, non sono più una cheerleader, non sono più niente, Hunter. Lasciami perdere!"

Lui respira forte, il suo torace si alza e si abbassa pesantemente un paio di vote. Le sue dita allentano la presa e le sue scarpe da ginnastica fanno un piccolo passo indietro, lasciandomi respirare di nuovo.

"Non mi stai lasciando" dice, "solo una pausa..."

"Hunter..."

"Solo-una-pausa!" Il suo tono è così duro da sembrare una vera e propria minaccia.

La voglia che ho di scappare lontano da lui, di uscire all'aria aperta mi porta ad annuire. "Va bene, solo una pausa" abbasso le spalle.

Hunter alza le mani ed io sgattaiolo via.
Apro la porta e scappo fuori. Il respiro di Hunter e la perfidia di Phoebe mi accompagnano fino in cortile. Non andrò a mensa né resterò per le lezioni del pomeriggio. Ho troppa voglia di scappare il più lontano possibile da questo posto.

Raggiungo il cancello e mi sistemo meglio lo zaino in spalla. Ho lo stomaco stretto in una morsa tanta la rabbia che vi è rimasta intrappolata all'interno. Procedo a passi veloci oltre il vialetto, quando noto la figura di un ragazzo in piedi, con le mani nelle tasche e lo sguardo rivolto nella mia direzione.

"Ian?" sussurro.

Lui si avvicina, è strano in volto. Sembra cupo o preoccupato. Perché è qui? Non dovrebbe essere di turno a quest'ora?

I suoi passi sono insicuri, la sua giacca di pelle nera perfettamente aderente al suo fisico asciutto.

L'odio nei confronti di Phoebe, la mancanza di Ashley e il soffocamento esercitato da Hunter mi scivolano addosso, per lasciare posto a battiti incontrollati e inspiegabili.

Ian muove appena la testa in un piccolo cenno, "Ehi" sussurra.

"Cosa ci fai qui?" La mia voce ha paura di uscire. Essa stessa percepisce che c'è qualcosa che lo turba. Studio i suoi occhi che me ne danno decisamente la conferma.

"Devo parlarti" dice, "abbiamo un problema"

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