Capitolo 31: LEGAME DI SANGUE

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Ashley e Evan sono seduti uno di fianco all'altra davanti al lungo bancone del bar. Le loro tazze di caffè sono ancora intatte, mentre i loro sguardi seguono imperterriti lo scambio di informazioni tra me e Ian.

"Vuoi dire che non sei caduto, non hai avuto nessun trauma e quelle ferite alle mani ti sono apparse all'improvviso, da sole?"

Ian annuisce alla mia domanda. La sua attenzione non riesce a scollarsi dai nostri arti bendati. L'infermiera ha avuto almeno la premura di lasciare ad entrambi le dita libere e questo è piuttosto rassicurante, poterle muovere è già una bella conquista.

"E' assurdo!" mi lascio cadere su una sedia.

Per fortuna nel piccolo locale non c'è grande movimento. Solo un paio di anziani usciti dal reparto di geriatria per una botta di vita giornaliera a base di cappuccino e caffeina, e una donna incinta intenta a sfogliare una di quelle ridicole riviste sull'allattamento e sul cibo da preferire in gravidanza.

"E' più che assurdo!" ribatte Ian. "Stavo semplicemente lavando i piatti, quando l'acqua ha iniziato a diventare rossa. Rossa come il sangue"

Deglutisco. Un lieve fastidio al fianco mi fa cambiare più volte posizione, deve essere la botta presa con la caduta. I medici mi hanno assicurato che non ho niente di rotto, dunque devo avere solo la pazienza che il fastidio si attenui con il passare dei giorni.

"Ho sentito il dolore della pelle che si lacera, ho sentito la carne aprirsi e bruciare come il fuoco" continua lui, "non sapevo cosa pensare né cosa stava succedendo. Sono andato alla cassetta del pronto soccorso e ho cercato di fermare il sangue. Poi, come un martello pneumatico che mi trapanava il cervello, ho pensato a te, Holland. Non riuscivo a non farlo. Come l'altra sera, quando eri ubriaca sulla panchina, nello stesso identico modo"

Ashley mi lancia un'occhiata, evidentemente colpita dalla parte dell'alcool, anche se, in tutta questa storia è il pezzo meno assurdo.

"Sentivo che c'era qualcosa che non andava, che dovevo correre subito da te..."

"E così eccoti qua" dico con ovvietà.

"Sono stato all'università, mi hanno detto che era successo un incidente e che ti avevano portata in ospedale" annuisce.

Ashley sbatte le ciglia, sempre più confusa. Le sue palpebre tinteggiate di un rosa pallido che va sfumandosi ai lati, sono ancora un po' gonfie dal pianto di poco fa. Evan si attacca al suo caffè lungo, probabilmente ormai freddo.

"Come ti spieghi tutto questo?" La mia voce è appena un sussurro indistinto.

Ian scuote la testa e scivola a sedere al mio fianco. "Non ho una spiegazione, Holland, è come se io e te, ecco, come se noi due fossimo legati..."

Ashley muove le labbra, lasciandosi uscire sillabe senza significato. E' più sconvolta di quanto lo sono io.

"Non è possibile" interviene Evan, "questa è fantascienza!"

"Ho le stesse ferite!" Ian si infervora. "Le stesse – identiche - ferite, capisci?"

"E' solo un caso, ti sei tagliato con uno dei piatti che stavi lavando" ribatte il biondino con crescente scetticismo. "Nessuna teoria medica spiega un simile avvenimento!"

Ian posa gli occhi sul ragazzo. Studia il suo cappellino della Jacksonville e poi punta lo sguardo sul coltello abbandonato sopra il bancone, quello che il cameriere ha appena utilizzato per tagliare a fette la fontina. Senza dire una parola lo prende in mano e lo porta all'altezza del suo avambraccio.

Ashley alla visione del gesto riprende vita. Istantaneamente. "Cosa diavolo fai?" squittisce.

Evan sbarra i suoi occhi da bambino mentre la lama affonda leggermente sulla pelle di Ian, tracciando un piccolo taglio. Nello stesso momento che il ragazzo al mio fianco soffoca una debole espressione di dolore, anche io stringo i denti. Sento il mio respiro strozzarsi mentre la mia pelle si apre. Ian lascia cadere il coltello sul piano e mi prende il braccio.

Tutti noi osserviamo le nostre ferite divenire rossastre. Un paio di gocce di sangue fanno capolino, rigandoci la pelle. Le nostre braccia sono tagliate nello stesso identico punto, nello stesso identico modo; quella di Ian dalla lama affilata di un coltello, la mia dal niente.

"Oh cazzo" Evan spalanca la bocca, togliendosi il cappello.

Ashley è di nuovo afona. Ian passa un tovagliolino sul mio piccolo taglio e poi anche sopra il suo fermando lo stillicidio.

"Mi dispiace averti fatto male, ma dovevo averne la certezza. Siamo legati, Holland, siamo davvero legati" Le sue dita cercano il ciondolo che gli penzola dal collo, sotto alla maglietta. "E credo anche di sapere chi sia il vero responsabile"

"Il pendolo delle anime gemelle?" sollevo un sopracciglio.

"Già. Sempre lui"

Evan e Ashley guardano il pendolo e poi guardano noi. I loro occhi sono un mare di incomprensione misto a paura.

"Immagino che dobbiate darci delle spiegazioni" dice la mia compagna di stanza con la voce che trema irrimediabilmente.

Ian cerca tracce di consenso nei miei occhi, che lo incitano a parlare. Tutta questa vicenda ci sta mettendo sotto stress, far partecipi altre persone forse ci aiuterà a venirne prima a capo.

"Dunque, tutto è iniziato nel millenovecentoquarantacinque. Il ventun settembre millenovecentoquarantacinque per l'esattezza..."
***

Ian racconta tutta la storia dall'inizio alla fine; parla della guerra, di sua moglie e di sua figlia che ha così tanta voglia di conoscere. Narra del prezioso pendolo delle anime gemelle che lo ha catapultato ai nostri giorni. Il filo rosso che ha seguito e il buio che lo circondava. Il nostro incontro, la stessa notte della festa in spiaggia, la ricerca di un significato e la stanza a soqquadro dei giorni scorsi.

"E adesso questo strano e inquietante legame...di sangue" termina, congiungendo le mani fasciate.

Evan e Ashley ascoltano il racconto a bocca spalancata. Le loro spalle sono basse e i loro occhi guardano più o meno nel vuoto.

"Sto sognando, sto esattamente, inconfutabilmente sognando" dice la mia amica.

Ian arriccia il naso, afferra il bicchiere d'acqua riempito a metà e glielo lancia in faccia. La bionda emette un gridolino di protesta, aprendo e chiudendo la bocca come un pesce.

Evan ride e anche io.

"Okay, okay non sto sognando" si asciuga con uno dei tovagliolini di carta, cercando di limitare i danni al trucco, "ma dovete ammettere che è una storia piuttosto bizzarra. Voi due quindi non siete vecchi amici e tu, tu sei un militare della seconda guerra mondiale?" punta un indice contro il suo interlocutore, "tu sei nato nel, nel..."

"Nel millenovecentoventiquattro" Ian solleva le sopracciglia.

"Già, nel millenovecentoventiquattro, tutto regolare. Mio nonno è nato in quegli anni, adesso non dovresti avere qualcosa tipo...novantatre anni?"

"Dovrei, ma ne ho ventuno e non ho scelto io di essere sbalzato nel tempo. Che ci crediate o meno sono un ragazzo proprio come voi, solo appartengo ad un'altra epoca" solleva gli occhi al cielo e li posa di nuovo su Ashley con molta più calma di quanto voglia far credere di possedere.

"Sei sposato"

Ashley lo dice con voce ferma, quasi ovvia. La riflessione coinvolge anche me. Pienamente.
Lo sguardo della mia compagna di stanza si sposta sul mio, tra desolazione e pentimento. In un istante leggo dentro l'azzurro delle sue iridi tutto ciò che le attraversa la mente. Ha cercato di sedurre un uomo sposato e per un attimo ha creduto di riuscirci davvero.

"Mi dispiace se hai pensato che io...sì insomma, immagino di aver esagerato con alcuni atteggiamenti nei tuoi confronti, ma non sapevo che fossi sposato e neanche che avessi una figlia, altrimenti non avrei avuto secondi fini, davvero. Sono molto impulsiva e determinata quando mi metto in testa qualcosa..."

Evan sembra imbarazzato dalla piega presa dalla nostra conversazione, mantiene lo sguardo fisso dentro la sua tazza quasi vuota.

"Le ragazze di quest'oggi sono molto intraprendenti, lo avevo notato" Ian emette un colpetto di tosse.

Le guance di Ashley assumono un colore rosa acceso. "Dopo l'invito alla festa, il nostro ballo insieme e il tuo passare a trovarmi nei giorni successivi, ho pensato che tu fossi interessato a me in quel senso e che avessi solo bisogno di una spintarella, invece ho frainteso tutto..."

"E' stato un piacere essere il tuo accompagnatore alla festa" dice Ian, sorridendole. "E' sempre un piacere per me rendere felice una donna, ma non sono tornato al campus per vederti, volevo solo assicurarmi che Holland stesse bene"

L'attenzione di Ian si sposta su di me, che sono rimasta a sedere in silenzio al suo fianco. Il suo sguardo traboccante tenerezza e la sua affermazione fermano il mio cuore all'istante. Nonostante il nostro litigio, Ian si è preoccupato per me. Sento un brivido passarmi dietro la schiena e devo concentrarmi per compiere dei buoni respiri ma, far entrare e uscire l'aria, pensando solo a questo elementare movimento, è più difficile di quanto possa immaginare.

"Volevo anche capire se Tom Felton fosse nei paraggi, a quanto pare è sparito dalla circolazione, proprio lui che sembra l'unica persona a conoscenza della storia di questa diabolica collana. Io e Holland lo riteniamo il responsabile dell'incursione nella mia stanza di hotel. Evidentemente è molto interessato a questo marchingegno" aggiunge, facendosi più serio.

Ashley si sistema i capelli e beve il suo bicchiere d'acqua tutto d'un sorso.

Evan pare risvegliarsi e tornare tra noi. "Tom Felton? Hai detto Tom Felton?" si gratta il mento.

Ian stringe gli occhi sul ragazzo seduto di fronte. Le sue dita involontariamente sfiorano il metallo del ciondolo. "Cosa sai di lui?" chiede in un unico respiro.

"Conosco Tom o almeno so dove potete trovarlo"

Ian si raddrizza immediatamente sullo schienale. I suoi occhi hanno un guizzo di speranza accompagnato da folle energia.

"Vive vicino alla Riverplace Tower, suo padre lavora in uno degli uffici commerciali e lui passa le sue giornate dentro quell'edificio. Eccetto quando è a lezione, ovvio, o quando ha un seminario"

Ian si alza in piedi. Le sue mani si appoggiano al legno del tavolo e la sua schiena si protende in avanti. "Devi portarmi da lui" ordina.

Evan deglutisce. Posso sentire il rumore della sua saliva scendere. "E' un tipo molto solitario, non ha amici e neanche una vita sociale, non so se sarebbe molto felice di una visita"

Ian stringe duramente la mascella. La sua mano finisce sulla maglietta di Evan, tirandola per lo scollo. "Non si tratta di una visita di piacere, signorino! Io voglio sapere la verità e lui è la pedina giusta da muovere, l'unica, per l'esattezza!"

Evan sbarra gli occhi e annuisce. Il suo corpo trema come una foglia, anche se cerca di nasconderlo.

"Ian, Ian..." lo richiamo. Non l'ho mai visto in queste vesti, evidentemente la sua pazienza si sta esaurendo, lasciando posto alla parte più brutale del suo essere.

Per fortuna Ian lascia andare la maglia del mio amico e torna a sedersi. Si prende la testa tra le mani e respira forte. "Scusami, Etan, non so cosa mi sia preso"

"Evan" lo corregge il ragazzo.

Ian scuote la testa, come se un nome o l'altro fosse cosa di poca importanza.
Ashley mi guarda tra paura e shock.
Ed io mi chiedo se sia stato giusto o meno coinvolgere anche loro in questa assurda storia.

NOTE AUTRICE:

Oggi voglio fare alcuni ringraziamenti; a Dafne D'Ambrosio e Manuela Nocerino per la nuova copertina (io sono una frana nel fare collage o cose simili mentre questa è bellissima!).
A questa estate e alla voglia di scrivere che non mi ha mai abbandonata un istante e poi a te che stai leggendo questa storia.
Grazie di cuore.

Serena

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