Capitolo 33: BOCCHE DI LEONE

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L'inizio della nuova settimana arriva in un batter d'occhio, portandosi via la mia convalescenza.

"Holland, sei ufficialmente guarita" dice il medico, sfasciandomi definitivamente le mani. "Puoi tornare alla tua vita da studentessa"

Muovo le dita davanti agli occhi e scruto la pelle dei palmi ancora fine ma ben cicatrizzata. Le ferite non esistono più e anche la zona più difficile, quella dell'ustione, sembra solo un vecchio ricordo.

"Oh dottore, sono così felice"

Accompagno il medico alla porta e poi mi giro verso Ashley. Ci guardiamo e iniziamo a saltare per la stanza come due matte. Sono contenta di tornare alla solita routine, riprendere le lezioni, ricominciare a scrivere e tutto il resto.
Certo, in questi giorni, non posso dire di essere stata abbandonata a me stessa. Ashley mi ha portato gli appunti di ogni singola lezione, anche quelli dei corsi ai quali non ho mai preso parte. "Tutto è utile, tutto fa cultura" La sua teoria. Mi ha accudito con pazienza, esonerandomi dalle pulizie quotidiane. Non mi ha permesso né di rincalzare le lenzuola né di stendere la biancheria, tra poco ci mancava solo che mi aiutasse a fare pipì. All'ora di pranzo mi ha sempre fatto trovare del cibo precotto preso in mensa e sigillato in appositi contenitori. Anche Penn e America sono stati gentili con me. Sono passati più volte per coccolarmi con grandi scatole di cioccolatini. Ho mangiato così tanta cioccolata che adesso il solo pensarci mi fa salire la nausea. L' unica nota stonata delle loro visite è stata la costante fuga di Ashley, ogni qual volta loro arrivavano matematicamente lei se ne andava, senza neanche degnarli di un saluto. "Sento puzza di OUT" Il suo ritornello, prima di girare i tacchi.
Questo mi ha fatto stare male, ma ho comunque cercato di tollerarlo. Mi sono detta: "Holland, Ashley ha fatto molto ad accettare te, con il tempo forse riuscirai a farle piacere anche quei due giovani squattrinati. Un passo alla volta e tanta pazienza, coraggio!"
Pure Evan ha fatto la sua parte, mi ha portato dei fiori questa mattina. Bocche di leone.
Li ho messi in un vaso e li ho piazzati sulla mia scrivania, accanto al portatile. Quel ragazzo è molto dolce nei miei confronti, non è trascorso giorno senza che mi scrivesse un messaggio per sapere se stessi bene. Dice di essere ancora piuttosto scosso dall'incidente, la polizia gli ha restituito la patente di guida, ma lui non rimetterà il suo sedere sulla moto. "Sto pensando di venderla. L'auto mi basta e avanza" E le sue parole non lasciano certo adito a ripensamenti.

Qualcuno bussa alla porta. Ashley si immobilizza in mezzo alla stanza dopo essere atterrata da un salto a piè pari da uno dei nostri salti euforici. Il suo volto non perde il sorriso mentre squilla: "Sono le quattro e mezza, questa è l'ora del postino"

E infatti la solita mano scarna e il solito accento spagnolo, come da rituale, mi consegnano la busta con il mio nome.
Sul davanti quello del mittente: Signor Somerhalder.

Ian mi ha scritto una lettera per giorno, per un totale di otto lettere compresa quest'ultima.

"Quel ragazzo è un vero gentiluomo, non ha niente a vedere con i nostri coetanei" Ashley si getta sul letto di schiena. I suoi occhi chiari fissano il soffitto, ben aperti ed evidentemente sognanti.

"E' un nostro coetaneo" le faccio notare.

"Anno di nascita millenovecentoventiquattro, giusto giusto un coetaneo!"

Siedo sul mio letto e apro la busta.

Sorrido per quel dolce e malinconico incipit: Cara, piccola Holland. Mi sembra di sentire il suo respiro in queste tre piccole parole, il suo profumo, il suono della sua voce.
La mia mente si perde decisamente.

"Leggi ad alta voce, Holly!" Ashley mi sprona, battendo un palmo sul materasso. "E dai!!!"

Ignoro le sue richieste. Non che tra me e Ian ci siano dei segreti, ma una lettera è comunque qualcosa di privato. Una cosa nostra, insomma.

Scorro gli occhi sulle parole scritte a penna.
La scrittura di Ian è decisa, appena angolata e ben leggibile. Mi rincuoro nel sapere che anche le sue ferite stanno meglio. Sono quasi guarite, a dire il vero. Sorrido nel leggere che è andato a prendersi del cibo indiano ieri sera, ha mangiato di nuovo pollo al curry. Crede di essersi innamorato di quella sostanza giallognola e piccante. E' passato dal centro commerciale, ha comprato un mazzo di carte e ha messo sù una sorta di bisca clandestina con il cuoco e il responsabile di sala. Li ha stracciati già un paio di volte. Ha anche avuto modo di accedere ai registri di vendita dell'hotel. Ha trovato copia del contratto datato millenovecentosessantadue. La firma di suo padre gli ha fermato il cuore per alcuni istanti.

Sistemo la busta nel cofanetto insieme alle altre e resto lì a fissarle come un ebete.

"Ah, come ti invidio, adoro gli uomini che scrivono lettere, sono così romantici!" biascica Ashley prima di crollare nel suo riposino pomeridiano.

"Anche io" sospiro. "Non sai quanto"
***

La sera stessa decido di fare una passeggiata fuori dal campus. Evan si offre volontario di accompagnarmi. Mi passa a prendere alle nove e mi porta a Metropolitan Park. Ci aggiriamo nei giardini parlando delle cose più banali. Tocchiamo anche l'argomento Ian.
Evan dice di essere ancora scosso da tutta la vicenda. Non la crede possibile. Non riesce a dimenticare le mie ferite e quelle identiche del ragazzo venuto dal passato. Non riesce a scacciare l'idea che un orologio possa essere in grado di catturarti e trasportarti nel futuro.
Anche lui, come me, dice di aver fatto le sue ricerche su internet ma senza alcuna conclusione ragionevole.

"La vicenda di Ian è un mistero" dice, "un vero e proprio mistero"

"Già" annuisco. Vorrei aggiungere che tutto di quell'uomo è puro mistero, non solo la sua vicenda. I suoi occhi sono mistero, la sua voce, le sue mani, il suo corpo.

"Cosa credi che sappia Tom Felton del pendolo delle anime gemelle?" chiede, riportandomi con i piedi per terra.

"Non ne ho idea" affermo. "Quel ragazzo è capace di farmi drizzare i peli delle braccia anche solo standomi vicino"

Evan morde il suo sandwich. Un filo di maionese gli cola ad un lato della bocca. Se lo pulisce prontamente con il dorso della mano.

"Finché Ian non avrà parlato con lui non troverà pace. Devo ammettere che sono molto preoccupata. Sono più che sicura che sia stato Felton a entrare nella nostra stanza d'hotel l'altro giorno. Quel ragazzo cerca il pendolo e la cosa non mi piace affatto!"

"Quel ragazzo è sempre stato strano, ha sempre avuto le sue fisse e non ha mai legato molto con nessuno di noi. Giusto in una occasione abbiamo avuto modo di scambiarci gli appunti, è stato allora che ho visto dove viveva e chi fosse suo padre. Il rispettabilissimo signor Felton" dice con voce grossa.

"Senti Evan, so che è difficile chiedertelo, ma devi promettermi che non racconterai a nessuno questa storia. Credo che sia più prudente non diffondere la notizia di Ian e del suo pendolo...almeno non fin quando non avremo capito qualcosa, qualcosa che possa aiutarlo a tornare a casa, dalla sua famiglia" Pensare al suo ritorno agli anni quaranta mi fa tremare la voce.

"Ovvio che starò in silenzio. E' una storia assurda, non ho nessuna intenzione di farmi prendere per uno squilibrato mentale "

Pian piano ci addentriamo tra gli alberi più fitti. Avevo proprio necessità di respirare aria nuova, bisogno di muovere le suole sull'erba e sul terreno duro. Evan dimostra di conoscere molto bene il posto dal momento che viene spesso qui con suo padre a pescare. Mi conduce lungo il laghetto dove ci sono i cigni che arrivano fino a riva.

"Sono sempre molto affamati. Ecco, prova a dargli un po' del mio panino. Vedrai dopo non ti molleranno più!" ne stacca un pezzo con le dita e me lo passa.

Mi muovo cauta. Le acque del laghetto sono scure come la notte che sta arrivando.
I cigni si avvicinano alla mia mano.

"Non dirmi che hai paura" ride, guardandomi tremare.

"Non ho affatto paura" mi difendo.

Evan si avvicina, si posiziona dietro le mie spalle e scorre entrambe le braccia attorno al mio corpo, sostenendomi la mano. Il suo respiro mi arriva dritto al collo e il calore del suo peso mi riscalda la schiena.

"Ecco, così" La sua voce è appena un sussurro vicino al mio orecchio.

Un brivido sconosciuto mi attraversa la schiena, forse il terrore di un morso da parte di uno di questi elegantissimi animali oppure la vicinanza di Evan. Non ho mai avuto un amico maschio. In realtà l'ho avuto, Dylan O'Brien, ma è anche divenuto il mio ragazzo al liceo.
E, forse, è proprio questo che mi turba.

Uno dei cigni allunga il collo, si protende con audacia e becca il pezzo di pane tra le mie dita. La tensione si allenta ed io lancio un urlo, retrocedendo. Evan ride ed io continuo a lanciare altri piccoli urli.

"Ho appena dato da mangiare ad un cigno, l'ho appena fatto!"

"Lo hai appena fatto!" replica lui, entusiasta.

Istintivamente gli getto le braccia al collo, facendogli cadere il resto del panino a terra.

"Scusami" faccio un passo indietro, ricomponendomi i capelli sfuggiti all'elastico.

"Non preoccuparti, ne prenderò un altro" fa spallucce.

"Mi sono lasciata travolgere dal momento, è stata la mia prima volta, non ho mai dato cibo ad un cigno, è stato...è stato...esilarante, sì ecco, esilarante!"

Gli occhi di Evan restano incollati ai miei. Sembra che vogliano dirmi qualcosa, ma hanno una tremenda paura di farlo. Anche io ho paura di sapere a cosa stiano pensando, così mi schiarisco la voce e dico tutto d'un fiato: "Grazie. Grazie per i fiori, amo le bocche di leone. Grazie per i messaggi, non sai quanta compagnia mi abbiano fatto! E grazie anche per essere qui questa sera. Credevo di essere sola, l'ho sempre pensato dal primo giorno che ho messo piede alla Jacksonville. Ho mentito a tutti sulla mia vera identità. Non ho mai fatto parte del vostro mondo, quello degli IN, ma nonostante le mie bugie, non mi avete abbandonata. Ashley è una brava persona e anche tu, Evan."

Lui sorride, si schiarisce la gola e mi chiede con voce grave: "Come stanno le cose con Hunter? Avete chiuso?"

"Ci siamo presi una pausa" affermo.

"Non è venuto a trovarti in questi giorni, vero?"

Nego con un cenno della testa. Evan posa una mano sulla mia spalla. "Mi dispiace, credo di poterti capire"

"Non fa niente" dico. Poi mi inumidisco le labbra e lascio trapelare un debole sorriso: "Sei un amico, Evan"

Lui si sistema il cappellino sulla testa. Le sue labbra si stringono in una smorfia priva di significato. La sua attenzione si sposta lontano, ai cigni che stanno di nuovo nuotando più al largo.

"Anche tu sei una amica, Holland" mi stringe in un abbraccio.

In breve riprendiamo la nostra passeggiata. Evan non compra un altro panino, dice di non avere più fame.

Quando saliamo di nuovo in auto, mi chiede di poter scoprire la cappotta.
Lascio i capelli liberi di viaggiare nel vento.
Ascolto soltanto la notte e il rombo del motore che ci riporta al campus.

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