CAPITOLO 56: I LOVE YOU

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Tornare a Ponte Vedra Beach è come catapultarsi di nuovo in un giovane passato recente. Sono trascorsi solo due giorni dalla prima e unica volta che siamo stati qui, ma sembra una vita intera. Due giorni passati a pensare, riflettere, rimuginare sull'incontro e la rivelazione di Daniel. Due giorni che non hanno condotto a nessuna conclusione, se non ribadire il fatto che questa vicenda non ha un senso logico e neanche una lettura comune. La mia veduta e quella di Ian sono alquanto distanti, considerando che io sono cotta persa dei suoi occhi azzurri, del suo profumo, dei suoi capelli e delle sue labbra piene, mentre lui non è affatto interessato al mio corpo o alla mia testa o a qualsiasi cosa riguardi la mia persona, ma vuole soltanto tornare indietro. A dire la verità comincio ad odiare la sua testardaggine, ad averne abbastanza della sua insistenza nel voler tornare nel passato.

"Eccoci arrivati" Ian sfila le chiavi della Mercedes e le serra dentro al palmo della mano. In un balzo salta giù dall'auto e si chiude fino alla gola il giubbotto di pelle che indossa.

Daniel, nel suo maglioncino di cashmere ci attende sulla porta con una espressione alquanto scettica. Raggiungiamo il vialetto e ci facciamo condurre da lui dentro casa.

"Sono felice di vedervi, non mi aspettavo che sareste tornati così presto. L'ultima volta qualcuno mi ha mandato al diavolo, se ben ricordo!" Le labbra di Daniel si piegano in una smorfia di sarcasmo.

Ian si gratta la testa e farfuglia qualcosa che assomiglia a una manciata di scuse.

"Cosa è successo? Hai cambiato idea sull'esistenza della leggenda?"

Gli occhi di Ian si spostano da me al padrone di casa e poi vagano per la stanza, passando in rassegna i lampadari in vetro e la carta da parati verde chiaro adesa al muro. In breve sento il suo respiro soffermarsi, insieme ai suoi passi e alla sua mascella, che si contrae leggermente.

"Voglio che mi riporti indietro"

Daniel alza lo sguardo al cielo e scuote la testa. "Non ci siamo capiti, forse non hai ben afferrato il concetto di anime gemelle o di legame o del filo rosso che lega te ad Holland oppure..."

"Ho capito tutto, alla perfezione!" La mano di Ian si posa su una spalla di Daniel. I loro volti sono vicini ed è come se anche i loro corpi fossero capaci di parlare l'uno con l'altro. Quello di Daniel è sconfortato e cerca una appiglio per togliersi da questa brutta situazione, mentre quello di Ian è contratto da far paura. Sa quello che vuole e spera di ottenerlo.

"Che ne dite se ne parliamo con calma?" intervengo, per alleggerire l'atmosfera. "Hai modo, Daniel, di preparare del caffè?" cerco di essere il più possibile lucida e sorridente.

Ian mi lancia uno sguardo torvo, ma per fortuna alleggerisce la presa su Daniel, il quale fa un passo indietro.

"Holland ha ragione. Preparo il caffè e ne parliamo seduti sul divano. Molto meglio!"

Ian lascia che il ragazzo sgattaioli via da lui. Lo segue con gli occhi fin quando non varca la soglia della cucina. Poi mi rivolge uno sguardo che non riesco a decifrare, sembra quasi una domanda o forse un vero e proprio avvertimento. Della serie: resta al tuo posto, ci penso io.

Quando ci sediamo sui cuscini dell'accogliente salone, l'atmosfera non è mutata di una virgola. Le vene del collo e delle braccia di Ian sono ancora tese come corde di violino e lo sguardo di Daniel totalmente smarrito.

"Non voglio discutere, non voglio che tu la prenda sul personale, caro Radcliff, ma io ho un estremo bisogno che tu usi quella tua testolina, quel tuo libro e tutte le informazioni che possiedi per riportarmi indietro"

Daniel aggrotta le sopracciglia e si sistema al meglio l'asta degli occhiali. "E io, caro Somerhalder, ti ripeto che ho un estremo bisogno che tu mi creda: io non posso fare niente del genere. Non posso riportarti indietro. Non posso rompere il legame!"

Ian stringe forte il manico della tazza del suo caffè. Il fumo gli annebbia lo sguardo mentre scuote la testa con disapprovazione. "Errato" sibila. "Tu puoi farlo, devi solo applicarti"

Non ho mai sentito la voce di Ian così fredda, mai tanto sicura di qualcosa, mai tanto vogliosa. Daniel posa il suo caffè sul tavolino e si mette in piedi. Fa alcuni passi nella stanza, soffermandosi vicino al televisore e poi ad una sorta di vecchia madia decorata a mano. Sfiora con le dita le raffigurazioni floreali, emettendo un lungo sospiro forzato. "Il filo rosso tra le anime gemelle è indissolubile. Anche Cho ci ha provato ma non ci è riuscito. Quel pendolo è costruito in modo che nessuno spezzi il legame"

Seguo attentamente Ian alzarsi e posizionarsi al suo fianco. Sembra miracolosamente rilassato adesso, nessuna parte del suo corpo è eccessivamente contratta. "Io so che quel modo esiste, lo sento. E tu, Radcliff, devi solamente lavorarci un po' su. Ho una figlia che mi aspetta nel 1945, una bambina che non ho ancora conosciuto. Ho una moglie. Te lo chiedo con il cuore in mano, per favore."

Le parole di Ian mi fanno salire le lacrime agli occhi. Vorrei tanto fuggire da questa stanza, scappare via lontano da lui e da Daniel e da questa leggenda. Vorrei che non fosse mai esistita. Non dovermici trovare ad avere a che fare giorno e notte.

"Tu sei legato ad Holland" La voce di Daniel è come una spada dritta al cuore. Il suo sguardo incontra il mio e poi torna sul volto supplichevole di Ian. "Rompere il legame significherebbe andare contro il destino. Non so se posso..."

"Tu puoi "

Daniel si posiziona di fronte a Ian. E' poco più basso di lui e molto più esile e magro. "Va bene" si arrende. "Farò delle ricerche. Cercherò di scoprire se esiste una soluzione, ma..."

"Niente ma" Ian sembra improvvisamente più tranquillo. Le sue labbra tornano a sorridere e la sua pelle assume un aspetto decisamente più brillante. "Io e Holland contiamo sul tuo aiuto, non è vero?"

Emetto un risolino strozzato e annuisco svogliatamente. Mi sento incollata al divano; gambe, fondoschiena, cosce, come se fossi una cosa sola con la tappezzeria. Con fervore Ian viene a recuperarmi. Mi prende per mano e mi trascina verso l'uscita. Daniel ci osserva stranito e sconsolato. Riesco ad intercettare tutta la sua desolazione da sotto le lenti spesse. Per un istante mi sento compresa da lui, anche se, immagino, non ci vuole il genio della lampada per capire che tutta questa storia mi sta facendo male.

"Ian?" Daniel ferma la nostra fuga poco prima che la porta si chiuda. La mantiene aperta con la punta della scarpa e afferma: "Se troverò il modo per farti tornare indietro sarai un uomo infelice. La donna che ti aspetta nel 1945 non è la tua anima gemella, Holland lo è. E tu continuerai a cercarla per tutta la vita, fin quando un giorno forse potrai rincontrarla, ma tu sarai un vecchio e lei soltanto una bambina. Hai avuto la fortuna di usare quel pendolo, non andare contro il destino, non rovinare tutto"

La mano di Ian allenta la presa sulla mia. Sento le sue dita tremare e anche il suo respiro. Il suo sguardo vibra di insicurezza adesso. I suoi occhi si fanno lucidi, ma è solo un istante, piccolo e impercettibile. Poi torna di nuovo tutto come prima. Niente ripensamenti. Niente di niente.

"Fatti venire in mente un modo, Radcliff, lavoraci su. Aspetto presto una tua chiamata"

Daniel toglie la punta del piede dalla soglia e la porta si chiude. Raggiungiamo l'auto in silenzio. Ho un magone così grande alla bocca dello stomaco che non riesce affatto a scendere. Ad essere sincere, quel peso non aspetta altro che essere sputato fuori.
***

La sera stessa attendo che Ian termini il suo turno alla reception e ceniamo insieme al ristorante dell'hotel Clarke. Dunque, quale occasione migliore per tirar fuori il magone che mi attanaglia, se non di fronte ad un tavolo ben apparecchiato, a stoviglie in argento e bicchieri dal gambo lungo e sottile? Inutile dire che il mio stato d'animo è a pezzi, inutile aggiungere che ho rifiutato tutte le chiamate di Evan. Non l'ho mai aspettato fuori dalla clinica dove sta svolgendo il tirocinio. Non ne ho avuto la voglia e neanche la forza, così come non riesco a mandar giù un solo boccone del cibo che ho di fronte. Le mie dita spiluccano il pane riducendolo a una piccola montagna di molliche, fin quando la mia bocca decide di parlare, buttando fuori ciò che non può più trattenere.

"Sei sicuro di voler tornare indietro?"

I miei occhi si sollevano su quelli cristallini di Ian. Cercano di restare abbastanza fermi e incollati, senza perdere la lucidità necessaria.

"Credi davvero che potrai cambiare le carte in tavola? Non si tratta di un gioco, Ian. Hai pensato che tua moglie e il tuo amico Paul potrebbero sposarsi sul serio? Io credo che quelle due tombe al Fort Caroline National Memorial significhino davvero qualcosa."

"Lo so" dice lui, fissando improvvisamente la sua zuppa. "Ma devo comunque tentare la sorte. Tornare indietro mi permetterà di agire, di fare in modo che certe cose non accadano, anzi, sono convinto che se tornassi indietro Nikki non si sposerebbe mai con Paul. Non si crederebbe una vedova di guerra. Non sarebbe sola"

"Ne sei proprio sicuro?"

Ian trattiene il fiato e posa il cucchiaio. La sua mano va alla testa, comprimendo forte la fronte. "Non sono sicuro di niente, Holland, ma ci devo provare. Non posso vivere con il rimorso di non aver tentato"

Spingo indietro il busto e con esso la sedia. Il rumore fa voltare verso di noi alcuni commensali. Emetto un paio di colpi di tosse e mi alzo in piedi. Non mi importa dei presenti e neanche di catturare la scena. Ci sono solo io e c'è solo Ian. Almeno nella mia testa.

"Hai pensato a quello che ha detto Daniel? Io e te siamo legati, siamo destinati a stare insieme. Se tornerai indietro ci cercheremo per tutta la vita senza mai trovarci. O meglio, forse ci ritroveremo quando però ormai sarà troppo tardi" poso i palmi sul tavolo e riprendo a respirare. Non mi ero accorta neanche di aver parlato senza incamerare aria.

Lo sguardo di Ian si aggancia al mio. Enigmatico. Poi anche lui si alza e mi raggiunge. Le sue dita mi scostano una ciocca di capelli finita sul viso e mi accarezzano la guancia con dolcezza. Potrei morire all'istante. Potrei farlo, se solo lo permettessi.

"Ehi, piccola Holland, tu sei una ragazza stupenda. Tu meriti tutta la felicità di questo mondo. Ti meriti di conoscere un ragazzo che non abbia alcun tipo di problema, che non abbia una figlia e una moglie che lo aspettano a casa. Meriti di conoscere un uomo che sappia starti vicino e sappia amarti con tutta l'anima"

Stringo forte la mascella, cercando di nascondere quello che si muove dentro al mio cuore. E' in subbuglio. Una pentola a pressione in procinto di esplodere.

"Evan mi sembra un bravo ragazzo, un po' frettoloso, ma buono. Tu e lui potreste..."

"Io sono innamorata di te, Ian Somerhalder, possibile che non lo hai ancora capito?"

La mia voce si ferma nell'istante stesso nel quale termina di fare la sua rivelazione. Ian mi fissa stordito ed io mi sento improvvisamente persa, anche se decisamente più leggera. Questa volta non l'ho solo pensato. Questa volta l'ho detto. L'ho detto davvero.

"Tu non sei innamorata di me" sussurra Ian, scorrendo la mano sulla pelle del mio zigomo. "Ti sei solo fatta prendere da tutta questa storia e mi dispiace. Mi dispiace davvero molto. Oh, Holland, sei l'unica cosa bella che mi sia capitata finendo qui. Non vorrei mai farti del male..."

"E allora non farmelo, Ian, resta qui. Resta con me"

"Non posso" fa lui. "Devo tornare a casa"

Il mio cuore si stringe forte. Sono stata una stupida a confessarmi così. Sono stata proprio cretina a rivelare i miei sentimenti. Come ho fatto a cadere tanto in basso?

Le lacrime fanno capolino dai miei occhi. Timide e poi sempre più spavalde. Due fiumi sottili che arrivano a bagnarmi le labbra già umide.

"Io non sono innamorato di te, Holland. Okay, siamo legati da un pendolo magico, ma non significa niente e questo lo dimostra il fatto che io amo Nikki, mia moglie. La amo più della mia stessa vita e voglio tornare da lei, mi dispiace..."

Le mie gambe retrocedono, mentre il mio cuore esplode. Il pianto mi travolge mentre fuggo via dall'hotel, da Ian, dall'umiliazione appena subita. Scappo nella notte, nel buio. Corro veloce senza guardarmi indietro. Non bado ai miei stivali con il tacco, non bado al trucco che mi impiastriccia la faccia. Non bado al vento proveniente dall'oceano. Fuggo e basta, consapevole che nessuna corsa contro il tempo mi allontanerà dal dolore. Nessun metro in più, nessun chilometro. Il dolore viene via con me, stretto stretto al cuore. Raggiungo la fermata e salto sul primo pullman che passa diretto alla Jacksonville University.
Poso la testa contro il finestrino e chiudo gli occhi. La radio bisbiglia e il motore romba pesantemente.
Il mio cuore sanguina e la mia anima cerca invano di tamponare tutto il male che lo attanaglia.

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