PREMESSA

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Florida 1945,
Ian Somerhalder

Quando vedi morire un uomo, un amico, un compagno tutto ciò che prima era importante, improvvisamente, diviene il niente.

Quando tocchi con mano il sangue, quando spari e bombe sono così vicini da farti esplodere ogni singolo viscere, tutto ciò di cui avevi paura svanisce insieme alla polvere che resta. Tutto, ad eccezione di una cosa: quella struggente, penetrante, immensa voglia di tornare a casa.

Oggi è il 21 settembre 1945 ed io, finalmente, posso respirare di nuovo l'aria familiare di Jacksonville. Saltar giù da questo vagone significa aver vinto, non solo la guerra, ma una nuova vita. I compagni intorno a me si muovono veloci, spintonandosi a vicenda per scendere dai gradini del treno e correre incontro alle rispettive mogli e fidanzate.

Uomini e donne si baciano. Si stringono, si abbracciano sui binari, in quello che è la fine di un incubo mondiale. Mi trascino il borsone dietro le spalle, consapevole che non ci sarà per me questo tipo di accoglienza, almeno non qui alla stazione. Non ho spedito nessuna cartolina per annunciare il mio ritorno perché voglio che sia una vera e propria sorpresa.

I raggi del sole sono caldi, quasi afosi, sotto al cielo azzurro della Florida e la giacca che indosso è davvero troppo pesante. Un gruppo di ragazzini mi passa affianco, rincorrendo un pallone. Portano calzoni al ginocchio e semplici camice a quadri. Li seguo con lo sguardo fino a vederli scomparire dietro al Jazz Club.

Lascio che una ciocca dei miei capelli si ribelli da sotto al cappello, finendomi dritta negli occhi. Socchiudo le palpebre e respiro a pieni polmoni l'odore della città nella quale sono cresciuto. Decido di non prendere il bus per Dowtown, sono stato fermo così a lungo per il viaggio che mi fa piacere camminare.

Ad ogni passo i ricordi sembrano sbiadirsi, o almeno è quello che spero e desidero accada.
In questo momento non voglio pensare a niente che riguardi questi mesi interminabili. Un sorriso mi spunta sulla bocca, leggermente storto e enormemente fiducioso. Il cuore quasi mi scoppia di gioia nella consapevolezza che tra una abbondante manciata di minuti rivedrò mia moglie e conoscerò per la prima volta la mia bambina.

Procedo dritto, guardandomi intorno di tanto in tanto per notare quanto qui a Jacksonville sia tutto così armonioso e perfetto; le case, le palme, le poche auto che passano, il benzinaio al centro della piazzetta. Ho lasciato alle spalle un paese distrutto dalla fame e dalla morte. Ho lasciato palazzi inesistenti, il rumore dei carri armati nelle strade e le grida liberatorie di gente che non ha più nulla, solo tanta voglia e tanto coraggio di ricominciare.
Ho abbandonato una parte del mio cuore in Italia e credo che mai potrò recuperarla.

Un gruppo di ragazze attraversa la strada, sghignazzando. Una di loro mi sorride, guardandomi intensamente.

"Hai visto com'è carino?".

"Credo che ti abbia sentita!" la spintona l'amica, fingendo indifferenza, ma spostando comunque gli occhi sulla mia fede. "Ed è pure sposato!" esclama.

La giovane dai boccoli color dell'oro sbatte ancora una volta i suoi occhi azzurri, portando le mani al cuore. La camicetta leggera le fascia i seni in modo perfetto.

"Che peccato!" dice, voltandosi ancora nella mia direzione.

"Dai, andiamo alla stazione, oggi è il giorno degli arrivi. Sai quanti altri bei ragazzi ci sono... ".

Le donne si allontanano, sculettando dentro a gonne scure strette in vita e più morbide sulle gambe. Si portano dietro una scia di profumo insieme all'allegria della nostra giovane età o almeno quella che la guerra non è riuscita a scalfire.

Passo oltre, riprendendo a camminare spedito. Arrivo a pochi isolati dal quartiere e mi soffermo davanti a un negozio di cianfrusaglie. Sembra esserci una notevole varietà di cose ed io non posso tornare a casa senza un regalo. Spingo l'anta, facendo suonare il campanello appeso sulla porta. Uno strano odore di spezie e menta mi invade le narici. Faccio un paio di passi, guardandomi intorno incerto e disorientato. All'interno non c'è molto ordine; ci sono abiti da donna appesi senza criterio, scarpe dal tacco spesso e cappelli circolari disposti malamente su alcune mensole. Mi avvicino a una cesta al centro del locale. Prendo una delle bambole di pezza che si trovano all'interno e la rigiro tra le mani.

"Desidera?"La voce di una donna mi fa sobbalzare. Mi volto, incrociando gli occhi chiari della ragazza dietro al banco. La signorina tiene in mano una tazza. Deve essere da lì che proviene questo piacevole e penetrante profumo. 

"Scusi non avevo visto che lei era... non l'avevo vista... io, ecco, stavo... stavo cercando un regalo".

La giovane abbandona la tisana sul tavolo e mi viene incontro. Il suo vestito è insolito. Lungo fino ai piedi e stretto alle estremità. Il corpetto è abbellito da uno spesso colletto appuntito, che va a nascondersi sotto a folti capelli biondi, acconciati in modo alquanto originale. Non sono la solita gonna e la solita camicetta che si vedono ad una donna da queste parti e neanche il solito taglio di capelli con la divisa in parte e le pieghe morbide sulle spalle. È più qualcosa di vistoso ed elaborato, qualcosa che mi lascia letteralmente senza fiato.

"Lei deve essere uno dei soldati appena tornati in patria".

Annuisco, lasciandomi incantare dallo spesso trucco sulle palpebre della ragazza.

"Quel modello piace molto alle bambine".

Sposto l'attenzione dalla negoziante alla bambola di pezza. Il mio cuore ha un leggero fremito. Il primo regalo a mia figlia. 

"Le faccio un pacchetto?" chiede la donna, tornando dietro al tavolo.

Annuisco ancora. Non sono molto lucido, sarà il lungo viaggio, la stanchezza di notti insonni o la voglia incredibile di riabbracciare la mia famiglia.

"Come si chiama?" mi chiede lei, stringendo una penna tra i denti.

La guardo perplesso prima di rispondere: "Ian" poi aggiungo: "Ian Somerhalder".

La ragazza ride. Una risata stramba, quasi inquietante.

"Piacere di conoscerla, Ian Somerhalder, io sono Mary Olsen, in realtà... non intendevo fare la nostra presentazione, ma semplicemente sapere il nome della bambina, sa, per scriverlo sul bigliettino!".

Alzo le sopracciglia, impacciato. "Oh! Il bigliettino!".

"Già" replica lei, in attesa.

Mi gratto la testa e faccio spallucce. "Non... non voglio un bigliettino, credo che farò senza!".

"Ma ogni regalo ha un bigliettino, è compreso nel prezzo. Come si chiama sua figlia?".

"Io... ecco... "Il mio sguardo finisce sul pavimento di legno e di nuovo sugli occhi profondi della donna. "Io... non lo so" ammetto.

La ragazza si toglie la penna di bocca.

"È solo che sono appena tornato dall'Italia, pensavo di fare una sorpresa a mia moglie e a mia figlia. Non ho scritto loro che sono di ritorno. L'ultima lettera risale a questo febbraio. Nikki aveva appena dato alla luce una bambina, ma non aveva ancora deciso un nome... ".

La ragazza mette da parte il suo sguardo misterioso e il suo portamento inquietante per sprigionare un sorriso che non sapevo neanche potesse essere in grado di improvvisare.

"Ok, senza bigliettino, ma in cambio scelga pure qualcosa per sua moglie, non so, una collana, un paio di orecchini o un foulard, quello che desidera. E' un piacere per me omaggiare chi ha combattuto così lontano e così a lungo!".

Mi guardo intorno alla ricerca di qualcosa che possa essere ben gradito dalla mia dolce metà. E' piuttosto difficile in fatto di gusti, lo è sempre stata fin da quando eravamo bambini.

La commessa attende, fissandomi a braccia conserte. Passo in rassegna alcuni monili disposti sul banco laterale e anche delle boccette di profumo, senza entusiasmarmi per nessuna delle fragranze. Ci sono alcuni dischi in vinile con la musica di Thelonius Monk. Potrebbe essere un bel regalo per Nikki, lei ama il jazz. Poi, quasi come un miraggio, i miei occhi finiscono dritti su una catena con uno strano pendente, circolare e ben lavorato. Mi avvicino all'oggetto di un passo e di un altro ancora.

"È davvero molto bella" liscio il metallo con le dita. Non posso evitare di guardarla e di accarezzarne la fattezza. C'è qualcosa in questo oggetto che mi attrae in modo sproporzionato.

"Oh! Può dirlo forte, si tratta del pendente delle anime gemelle" spiega la voce della ragazza dietro al banco.

Prendo il monile e lo sfilo dal gancio dove è appeso, lo rigiro tra le mani. La donna mi viene vicino, posso sentire la sua presenza appena dietro di me. Con un clip apro il ciondolo, che si rivela un banale orologio da taschino.

"Crede nel destino signor Somerhalder?".

I miei occhi restano fissi sul quadrante dell'orologio, mentre la mia bocca si asciuga improvvisamente alla domanda più strana e stravagante che qualcuno possa porre di questi tempi.

"Il pendente delle anime gemelle è il ciondolo del destino" continua Mary Olsen, senza aspettare che mi decida a risponderle. "Mi è stato donato da un prigioniero di guerra giapponese. Non è un semplice orologio, esso è in grado di condurti tra le braccia della tua anima gemella".

Un brivido freddo mi percorre la schiena. Pian piano sollevo lo sguardo sul volto della ragazza. All'improvviso è più strana e misteriosa di quanto possa solo apparire.

"L'anima di ogni persona è divisa in due parti che vanno rincorrendosi l'una dell'altra per completarsi. Solo poche persone hanno la fortuna di conoscere e riunirsi alla propria metà mancante, tutte le altre saranno destinate a cercarla per tutta la vita, senza però mai incontrarla...".

Scuoto la testa, risvegliandomi dal torpore nel quale sono finito. Piego appena le labbra da un lato e scrollo le spalle. "Sciocchezze!" sorrido, "sono sole stupide leggende. E comunque credo di essere tra i più fortunati, ho già la mia anima gemella. Mi sta aspettando a casa insieme a nostra figlia".

La ragazza si fa seria, non dice niente. Si limita a socchiudere gli occhi e stringere la mascella, ma in un modo quasi impercettibile. "Sono felice per lei, signor Somerhalder" afferma, "dunque, prende lo stesso quel pendente o preferisce il settantotto giri?".

"Credo che Nikki sarà entusiasta di quella collana, lei è molto meno scettica di me su simili argomenti e quando le avrò rivelato la leggenda nascosta, sono sicuro le piacerà da matti!".

La ragazza si precipita dietro al banco. Il suo abito nel muoversi con tanta velocità emette un leggero fruscio. Le porgo i centesimi per pagare la bambola di pezza. La donna li prende e li deposita in un cassetto. Tintinnano quando vi cadono dentro, non deve essere molto il denaro che vi è all'interno.

"Arrivederci, signor Somerhalder, faccia buon ritorno!".

Esco dal negozio compiaciuto del mio acquisto. Stringo al petto il pacchetto con il regalo per mia figlia e mi soffermo a osservare un'ultima volta il pensiero per mia moglie. Il pendente delle anime gemelle. Che razza di fantasia hanno certe persone!

Un paio di Chevrolet passano sulla strada strombazzando. Indosso la collana e riprendo il mio borsone sulle spalle. Più mi allontano dal negozio, più mi scrollo dalle spalle quella strana inquietudine che respiravo al suo interno. Cammino senza fermarmi adesso. Passo dopo passo, fino alla tenuta dei Somerhalder. Giunto in prossimità del cancello le mie gambe hanno un piccolo cedimento. E' tutto come ho lasciato prima di ripartire dal congedo. Ci sono fiori in giardino e tende bianche alle finestre. Solo il tetto mostra noti segni di usura, dovrò mettermi al lavoro per riverniciarlo.

Schiaccio dentro una mano il pendente che ho preso per Nikki e faccio un respiro grande, espandendo i polmoni così tanto da avere tutta l'aria necessaria per tuffarmi nella mia nuova vita. Allento la presa e mi accorgo di aver un po' esagerato con la stretta. L'emozione mi ha fatto ferire il palmo con una delle viti poste dietro all'orologio. Strofino la mano sui pantaloni per pulirla dal sangue e cerco di dare una lucidata anche al marchingegno che ho al collo. Aggrotto la fronte e arriccio le labbra mentre passo il pendente sulla stoffa di cotone in movimento circolare.

All'improvviso, mentre faccio questo semplice e innocuo movimento, succede qualcosa che mi lascia basito e mi fa smettere di strofinare.
Le lancette si muovono.
La lancetta dei minuti e quella delle ore girano o meglio vorticano come impazzite. Devo aver premuto la leva di sicurezza.

Poi è un istante, anzi l'infinitesima parte di un istante. Le lancette si fermano ed io le osservo incerto, quasi paralizzato, ma è solo per poco più di un respiro, dopodiché perdo il totale controllo del mio corpo, lo sento sollevarsi e, nonostante cerchi di opporre resistenza, non riesco a impedire che venga risucchiato, nel vero senso della parola, all'interno di quello che credevo un semplice, banale, innocuo orologio da taschino.

Improvvisamente vedo tutto nero.
Piombo nel buio. Il buio e nient'altro.

Mi guardo intorno. Porto le mani avanti e ai lati, in cerca di una via di fuga, ma non ci sono pareti vicino a me, non ci sono strade, neanche il cielo sulla mia testa. Non esiste più la tenuta di famiglia. Ho il borsone ai piedi e la bambola di pezza in mano. Ho il pendente al collo e mi sembra di non respirare. Mi sento soffocare. Sono letteralmente in apnea.
Non esiste uscita, nessuna scappatoia o spiraglio di luce. Solo buio. Immenso. Infinito. E un sottile e lucido filo rosso, proprio davanti ai miei occhi. Un nastro lungo, quasi infinito. Ed io, nel panico più completo, non posso far altro che seguirlo.

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