|Chapter 1|

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"Ciao." Sentii una voce familiare salutarmi, attirando così la mia attenzione; era il ragazzo che mi era venuto addosso in aeroporto, di fronte al metal detector.

"Ehm... Ciao." Risposi, facendo un gesto con la mano in segno di saluto.

"Che coincidenza, ho il posto proprio vicino a te." Disse, mostrandomi il biglietto e sedendosi subito dopo sul sedile di fianco a me; percepii una strana contentezza in quella coincidenza e il calore cominciare a diffondersi in tutto il corpo. "Che scortese che sono però, non mi sono neanche presentato:" allungò una mano verso la mia direzione. "Mi chiamo Jonathan Davis, piacere." Sì fermò con la mano a mezz'aria, aspettando che io la stringessi; lo feci dopo qualche attimo, abbozzando un lieve sorriso amichevole.

"Crystal Walker." Mi presentai, indirizzando subito dopo lo sguardo verso il finestrino, cercando di far vagare lontano il mio sguardo; non è che non volessi parlare con Jonathan, semplicemente quella era una mia vecchia abitudine che ormai facevo da anni e che non riuscivo a evitare quando sentivo che si stava per decollare. Come mio solito, decisi d'ignorare totalmente la voce del capitano e le misure d'emergenza che nel frattempo stavano risuonando nel mezzo di trasporto, conoscendole ormai a memoria; mi limitai ad annuire solo nel momento in cui passò l'hostess ad avvisarci di mettere il cellulare in modalità aerea. Dopo qualche attimo l'aereo decollò, lasciando così la pista di decollo alle nostre spalle. Si riusciva ancora a percepire la pesante atmosfera di Londra, ma allo stesso tempo sentivo già il calore del sole.

"Non sei una di molte parole, vero?" Commentò dopo qualche istante, sorridendomi in modo dolce; tenni il viso rivolto verso il finestrino, ma lo guardai con la coda dell'occhio perché stavo già sentendo il sangue affluirmi alla faccia e volevo evitare che lui mi vedesse in quelle condizioni. "Se non hai voglia di parlare fa niente, ti lascio pure al tuo libro." Mi rassicurò, facendomi ricordare la piccola presenza aperta sulle mie gambe, di cui mi ero completamente scordata l'esistenza.

"Scusa, guardo sempre fuori dal finestrino al momento del decollo, mi aiuta a rilassarmi e ad affrontare meglio il viaggio; purtroppo mi succede spesso d'incantarmici poi." Mi scusai, abbozzando un sorriso leggero e spostando lo sguardo verso il basso leggermente imbarazzata per quella cosa.

"Non dovresti vergognartene, ognuno affronta le situazioni come meglio può." Mi confortò, facendo una piccola risata per rassicurarmi ulteriormente. "Torni anche tu a Los Angeles?" Mi chiese in modo tenero Jonathan, nel frattempo che io chiedevo il libro con il segnalibro per concentrarmi meglio sul ragazzo.

"Sì, sono stata da dei miei parenti a Londra." Risposi annuendo, girando finalmente il volto verso il suo, inchiodando il suo sguardo.

"Bello, ti hanno fatto visitare la città?" Mi chiese ancora, mostrandosi visibilmente interessato a ciò che stavo dicendo.

"Sì, lo fanno ogni anno. È una bella città, anche se troppo buia per i miei gusti. Tu piuttosto? Che ci facevi a Londra?" Chiesi io, cercando di spostare un po' l'attenzione su di lui.

"Ero in vacanza da solo. Londra mi ha sempre affascinato come posto: come può, una città così affascinante e ricca di storia, essere cupa e triste? Ancora non so darmi una risposta." Disse Jonathan ampliando il suo sorriso; non potei resistere alla sensazione di sorridere a mia volta, come se quel complesso movimento di muscoli fosse in realtà magico.

Passammo il resto del tempo a parlare: nel tentativo di continuare la conversazione, Jonathan diede una rapida occhiata al mio libro, chiedendomi a che punto fossi e che cosa ne pensassi; peccato che avesse letto male il titolo, per questo ne pronunciò uno quasi totalmente diverso, facendo scoppiare entrambi in una risata fragorosa. Probabilmente stavamo disturbando tutto l'aereo, ma non me ne importava più di tanto; per la prima volta in vita mia, mi sentivo veramente a mio agio con qualcuno che non fosse della mia famiglia o una mia amica intima, facendomi sentire libera di essere me stessa e di parlare di ciò che volevo. Ipotizzai la possibilità di continuare quel rapporto che si stava formando tra di noi anche dopo che fossimo scesi dall'aereo, non volendo perdere una persona del genere.

"Sai, hai degli occhi bellissimi." Mi rivelò a un certo punto, facendomi arrossire violentemente; per questo motivo voltai dal lato opposto il viso, portandomi una mano sulla bocca e tentando di fermare le risate per dargli una risposta.

"Grazie." Riportai lo sguardo sul suo, osservandolo intensamente e rimanendo abbagliata di nuovo dalle sue iridi, proprio come era successo in aeroporto; il fatto che fossero di due colori diversi - uno azzurro e uno verde chiaro - lo rendeva ancora più particolare e interessante.

"Sono profondi e misteriosi, ti rispecchiano; fanno capire che sei complicata da conquistare, oltre che una persona con pensieri profondi e abilità nascoste." Mi disse, facendomi affluire ancora di più il sangue al viso e mordere istintivamente il labbro per fermare l'enorme sorriso che si stava formando.

"Anche i tuoi occhi sono bellissimi." Contraccambiai, spostandogli una ciocca di capelli che gli era finita sul volto. "Rivelano una persona chiara e decisa, che riflette sulle proprie azioni e la maggior parte delle volte sceglie la strada giusta."

"In fondo, gli occhi sono lo specchio dell'anima." Ribatté lui, mentre entrambi scoppiavamo a ridere.

Fu subito dopo che cominciò tutto quanto: l'aereo venne bruscamente scosso, facendo rimbalzare in avanti sia il mio che il suo corpo, se non ci fossero state le cinture di sicurezza ci saremmo di sicuro schiantati sul sedile di fronte. Rivolsi quasi istintivamente lo sguardo fuori dal finestrino, vedendo una scena che mi raggelò il sangue nelle vene: il motore dell'aereo - almeno sulla parte a destra - era spento, mentre l'acqua del mare sottostante di avvicinava sempre di più.

C'era stato un guasto? O eravamo vittime di un attacco terroristico o di un suicidio da parte del pilota? L'unica cosa certa era che l'aereo si stava avvicinando sempre di più al suolo, precipitando come una stella cometa, ma senza la sua grandezza misteriosa e, allo stesso tempo, bellissima. Guardai un'ultima volta i miei genitori e mio fratello, dicendogli il mio ultimo addio a fior di labbra, senza però proferire una sola parola. Chiusi gli occhi successivamente, rivolgendo il viso di fronte a me, aspettando lo schianto e, con esso, la mia morte, ne ero sicura. Arrivò dopo qualche attimo, l'acqua che impattava con l'aereo mandò milioni di vibrazioni in tutto il veicolo, avvolgendomi con le sue braccia fredde e tenebrose.

Quando ripresi conoscenza mi trovavo distesa per terra nella carcassa dell'aereo che stava affondando. Rimasi ferma immobile, cominciando a percepire un dolore acuto al fianco destro; allungai una mano per capire che cosa mi fosse successo, rimanendo sconvolta non appena la vidi: era piena di un liquido scarlatto e viscoso. Sangue. La paura cominciò a insinuarsi nelle mie vene, facendomi guardare intorno, in modo da vedere se riuscivo a scorgere una via d'uscita. Le palpebre si fecero di nuovo pesanti, avvisandomi che in breve tempo sarei ricascata nel baratro dell'oblio, incosciente se mi sarei mai risvegliata o no. L'ultima cosa che vidi prima di perdere di nuovo conoscenza, fu una figura che si avvicinò a me. Sembrava essere un uomo, il cappuccio gli oscurava il viso, non permettendomi di guardarlo come avrei voluto. Si inginocchiò di fronte a me, poggiandosi il dito indice sulle labbra e facendomi segno di stare zitta. Prima di chiudere gli occhi, però, vidi i suoi: pupille nere circondate da un'iride di un giallo sporco, simili a quelli di un gatto, inquietanti. Dopo ci fu solo il buio.

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