Chapter 12

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"Dai, dammi la mia parte di merendina!" Esclamai ridendo, allungando il braccio e il corpo per raggiungere la mano di Jonathan.

"Chi è che doveva rimanere senza cibo, eh?" Chiese sarcasticamente, allontanandosi ulteriormente e arrivando a sdraiarsi per terra.

"Dai, ridammela!" Insistetti, finendo sopra di lui.

Continuammo a ridere e scherzare, fin quando non ci accorgemmo della situazione in cui eravamo finiti: lui era disteso supino con me sdraiata su di lui, mentre i nostri visi si trovavano a pochi centimetri l'uno dall'altro. Ci risistemammo seduti, scusandoci in modo imbarazzato, mentre Jonathan mi restituiva la merendina, grattandosi la nuca. Scoppiammo a ridere entrambi dopo qualche secondo di silenzio, spingendoci per gioco e prendendoci in giro sulle nostre facce rosse e imbarazzate. Mi piaceva passare del tempo con lui, era dolce e gentile, diverso dagli altri ragazzi. Adoravo il modo in cui rideva e scherzava, sembrava sempre ridere con me, e non di me. Provavo delle strane sensazioni ogni tanto: mi capitava di percepire la bocca dello stomaco chiudersi quando mi sfiorava, mille brividi mi percorrevano il corpo quando mi guardava, e le sue parole erano delle carezze calde sul viso.

Scossi la testa e feci un respiro profondo, cercando di togliermi quelle sensazioni di dosso; che cosa stavo facendo? Ero sicura di avere un sorriso da ebete stampato in viso, mentre quelle sensazioni mi avevano scaldato per un attimo il corpo, rievocate dai pensieri.

Una volta che avemmo finito di mangiare, risistemammo l'unica bottiglia d'acqua rimasta nello zaino, incamminandoci e iniziando a discutere su che cosa poter usare come cibo, date le nostre scarse riserve di cibo.

"Lo senti anche tu questo odore?" Mi domandò all'improvviso, mettendomi un braccio davanti per bloccarmi, annusando nel frattempo l'aria.

Feci la stessa cosa, percependo un odore nauseabondo e familiare invadermi le narici, facendomi provare di nuovo quella strana sensazione di vomito. Annuii in risposta, guardandomi intorno per cercare di capire da dove provenisse; riuscimmo a scorgere poco lontano da noi un altro gruppo di quelli che, il giorno prima, quei due uomini avevano definito con il termine di Homi. Non appena gli indicai anche a lui, Jonathan mi prese per il braccio e mi trascinò dietro l'albero più vicino, nonostante loro non ci vedessero.

"Prendi questo." Mi disse, aprendo il suo zaino e passandomi un ramo abbastanza grande da essere utilizzato come una mazza. "Li ho tenuti da ieri mattina quando li abbiamo incontrati la prima volta, per qualunque evenienza." Ne tirò fuori un altro uguale, tenendoselo per sé e rimettendosi lo zaino in spalle. "Questa volta, però, rimaniamo vicini, non separiamoci, sarà più facile proteggerci così l'uno con l'altro." Mi allungò una mano, facendomi segno di prendergliela. All'inizio esitai, sentendo il cuore saltarmi in gola, come se avessi ricevuto una violenta botta. Alla fine accettai quell'invito, afferrando la sua mano e deglutendo, lasciandomi trascinare da lui.

Quell'avanzata verso di loro fu il nostro primo errore.

Quando fummo abbastanza vicini da entrare nel loro campo visivo, l'Homo più vicino si voltò verso di noi, studiandoci per qualche secondo. Il nostro secondo sbaglio fu quello di ucciderlo, colpendolo alla testa come avevamo fatto con l'altro gruppo. Un altro Homo si girò, facendo uno strano suono che attirò anche gli altri, come una specie di richiamo. Indietreggiammo di qualche passo, sapendo che non avremmo potuto continuare a camminare, conoscendo la loro presenza vicina a noi.

Dovevamo ucciderli tutti.

Erano in quattro, quindi io e Jonathan optammo per averne due a testa; lui quelli di sinistra, e io quelli di destra. Non ci mettemmo molto a farli fuori, soprattutto perché sembravano più stupidi dell'altra volta, anche se ci potevano sentire e vedere.

"Stai bene?" Mi domandò Jonathan dopo la breve lotta, avvicinandosi e poggiando successivamente una mano sulla mia spalla.

"Questa volta ci hanno visti." Commentai, dopo aver annuito in risposta alla sua domanda. "Però è come se fossero diventati più stupidi acquisendo la vista."

"Erano goffi, come dei bambini che hanno appena iniziato a camminare." Aggiunse lui annuendo, in segno che era d'accordo con quello che avevo appena detto.

Mi guardai intorno, osservando ciò che mi stava circondando: oltre alla natura - quindi alberi, foglie, arbusti ed erba -, c'erano i corpi dei cinque Homi che avevamo ucciso, che però sembravano diversi da quelli del giorno prima. Mi avvicinai per guardare meglio, inginocchiandomi vicino a uno dei corpi; toccai la superficie intorno, percependo al tatto che le dita rimanevano asciutte.

"Jonathan, vieni a vedere qui." Lo richiamai, facendogli segno d'inginocchiarsi di fianco a me. "Guarda, non sono più ricoperti da bava."

"Che strano..." Era concentratissimo sull'Homo morto, tentando di pensare a una risposta plausibile a quella situazione.

"Si stanno evolvendo." Provai a suggerirgli, ma lui scosse la testa.

"Non è pura evoluzione. Credo che qualcuno ne stia cambiando il DNA, non può essere opera della natura. L'evoluzione è un processo crescente e lento, non improvviso e veloce."

"Credi che ci sia un altro capannone più avanti?" Chiesi una volta che mi fui rimessa in piedi, tentando di cambiare discorso.

"Molto probabilmente. Andiamo a vedere." Mi rispose Jonathan assecondandomi, facendo la stessa cosa che avevo fatto io, per poi afferrarmi la mano e trascinarmi dietro con sé; sapevo che faceva quel gesto perché era come una sicurezza per lui, sapeva che ero lì vicino, e quindi avrebbe potuto proteggermi più facilmente.

Non ci volle molto prima di raggiungere il capannone da cui erano usciti, uguale identico a quello che avevamo visto il giorno prima. Decidemmo di dare solo un'occhiata veloce, concordando sull'idea di andarcene il prima possibile da quel posto, evitando di rischiare d'incontrare altri scienziati andati lì per eventuali controlli. Il resto del giorno continuò nello stesso modo di quello precedente, solo che Jonathan sembrava un po' più cupo quel pomeriggio; era preoccupato, aveva paura che avremmo potuto incontrare di nuovo quelli scienziati. Non sapevamo con esattezza come avrebbero reagito loro nel vederci, e non sapevamo nemmeno quale reazione avremmo potuto avere noi. Ciò che mi spaventava di più, però, era Ralph, l'uomo che ci aveva salvati il giorno prima. Non riuscivo ancora a capire se fosse una persona di cui potersi fidare, oppure se stesse facendo tutto questo per uno scopo ben preciso.

Ma quale allora?

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