Chapter 14

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Mi svegliai prima io la mattina seguente, con il fuoco spento ai miei piedi. Mi separai - controvoglia - da Jonathan con estrema lentezza, cercando di fare il più piano possibile per evitare di svegliarlo. Mi sedetti non appena fui sicura di non svegliarlo, voltando lo sguardo nella sua direzione, non potendo reprimere un sorriso. Sembrava così bello e dolce quando dormiva serenamente, un angelo caduto per caso sulla terra, desideroso di tornare nel posto che gli spetta tra la schiera celeste. Scossi la testa, dirigendomi verso le provviste e prendendo la penultima barretta a nostra disposizione, per poi inginocchiarmi di fianco a Jonathan e spezzarla in due.

"Svegliati Jonathan, dobbiamo mangiare e poi andare." Tentai di svegliarlo, scuotendolo appena. La sua reazione avvenne dopo qualche secondo: si stiracchiò, prendendo dalle mie mani la sua colazione e borbottando una parola di ringraziamento.

Passammo quei pochi minuti a mangiare in silenzio, non accennando minimamente a quello che era accaduto tra di noi la sera prima.

Presi gli zaini non appena ebbi finito di mangiare, posizionando il suo vicino a lui, dirigendomi poi fuori dall'abitacolo.

"Hey, aspetta Crystal!" Mi richiamò Jonathan seguendomi di corsa, strofinandosi successivamente gli occhi data la stanchezza che ancora aleggiava sul suo viso. "Che ti è preso?"

"Non lo so, è stato istintivo." Risposi, bloccandomi di colpo, ma rimanendo di spalle.

"È per ieri sera, vero?" Mi domandò, capendo perfettamente che cosa mi stesse turbando in quel momento. "Dimmi qual è il problema, tanto siamo solo noi due su questa maledetta isola."

"Il problema è che non possiamo stare insieme, ed ho paura di dirtelo." Finalmente mi voltai verso di lui, notando che aveva contratto la mascella.

"Perché non possiamo?" Mi chiese quasi ingenuamente Jonathan, facendo un passo verso di me.

"L'hai detto tu stesso: siamo gli unici presenti su quest'isola. Prendiamo in considerazione l'ipotesi di stare insieme come qualcosa di più di semplici amici: cosa potrebbe accadere nel caso litigassimo?" Provai a spiegargli, scuotendo la testa e facendo a mia volta un passo avanti.

Avrei voluto toccarlo, approfondire ulteriormente il bacio della sera precedente, stringerlo a me e sentire il suo corpo contro il mio; ma sapevo benissimo che dovevo trattenermi, almeno per questo momento.

"Scusa, ma potremmo litigare anche rimanendo semplici amici." Provò a farmi ragionare, ma io non mollai la presa.

"È più difficile che accada." Ribattei, scuotendo di nuovo la testa.

"Non accadrà." Si ostinò a farmi cambiare idea, ma non ce la fece ancora.

"Non ne sei sicuro, potrebbe benissimo accadere, anche per una stupidaggine." Sentivo le lacrime premere per uscire, ma non potevo piangere, dovevo dimostrarmi ferma e convinta delle mie decisione. "E poi, non voglio che tu stia con me perché probabilmente sono l'ultima ragazza che mai vedrai nella tua vita." Ero cosciente della forza che avevano quelle parole, dato che avevo appena affermato in modo velato che eravamo soli e bloccati su quell'isola praticamente.

Abbassò lo sguardo per un secondo, scuotendo lievemente la testa, per poi rispondermi con un: "Okay, forse hai ragione tu."

Mi precipitai immediatamente tra le sue braccia, ponendogli una specie di test: era talmente arrabbiato e deluso da non volermi più vedere? Avevo ottenuto l'effetto contrario di quello che avevo sperato?

Per fortuna, lui ricambiò subito dopo, stringendomi a sé, facendomi così scappare un piccolo sorriso sollevato.

"Non voglio perderti Jonathan." Gli dissi, poggiando la fronte sulla sua spalla.

"Neanche io Crystal." Mi lasciò un bacio sullo zigomo, inserendo poi il viso tra i miei capelli.

All'improvviso sentimmo dei rumori in lontananza, non di passi però, ma di pneumatici che scorrono sulla terra e l'erba. Jonathan mi prese per un braccio e mi portò dietro ai cespugli che si trovavano lì vicino a noi, facendomi segno di rimanere zitta. Dopo qualche secondo giunsero un paio di furgoni, simili a quelle jeep usate nei safari in Africa. Da essi vi scesero in tutto una dozzina di uomini, compreso Ralph; provai un brivido di gelo alla sua vista, mentre le mani diventavano umide per colpa del sudore freddo.

"Non è possibile, l'hanno fatto di nuovo!" Si lamentò urlando colui che riconobbi come Manfred, l'altro uomo che avevamo visto insieme a Ralph due giorni prima. All'inizio avevo pensato che fossero giunti qua con una specie di barca, oppure un elicottero, per poi andarsene in tutta tranquillità da quel luogo sperduto. Invece, molto probabilmente, abitavano anche loro sull'isola, anche se di sicuro in condizioni migliore delle nostre.

"Calmati Manfred, che cosa ti aspettavi?" Tentò di calmarlo Ralph, facendo un gesto annoiato con la mano. "Che cosa faresti se qualcuno ti attaccasse per ucciderti?"

"Se fosse in nome della scienza, mi farei uccidere." Rispose l'altro, lanciandogli uno sguardo fulminante.

"Smettetela voi due. Piuttosto, facciamo quello per cui siamo venuti qui." Li riprese uno degli scienziati a me ancora sconosciuti: Manfred sbuffò e roteò gli occhi, mentre Ralph si limitò ad alzare le spalle, guardandosi intorno. "Saranno di sicuro passati da questa parte, non possono andare molto lontano di notte." Continuò poi l'estraneo, indirizzandosi verso la foresta.

"Io controllo nel Tugurio." Si offrì Ralph, dirigendosi verso la casupola di fianco a noi.

"Dobbiamo spostarci da qua." Mi sussurrò all'orecchio Jonathan, mentre io annuivo in risposta.

Ci spostammo verso destra, sedendoci dietro a un albero lì vicino. Avremmo dovuto stare attenti a ogni piccola mossa che facevamo,  o rischiavamo di farci vedere. Non mi fidavo di quelle persone, non le conoscevo minimamente, l'unica mia informazione era che -con molta probabilità- erano persone che c'entravano con la creazione degli Homi, quegli esseri che avevano più di una volta provato a ucciderci. Afferrai la mano di Jonathan, cercando un qualche conforto in quella situazione; lui la strinse, dicendomi implicitamente che lui c'era, era lì con me, e non mi avrebbe mai abbandonato.
Come aveva promesso fin dal primo giorno.

Non so per quanto avremmo dovuto rimanere su quella squallida e spoglia isola, sarebbero potuto passare anni, proprio come in 'Robinson Crusoe'. Avrei dovuto rimboccarmi le maniche e andare avanti a testa alta, imparare a rivivere adattandomi alla natura, ovvero imparando a procurarmi il cibo o, probabilmente, a dormire sugli alberi.

Ma almeno, non sarei stata sola.

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