Chapter 35

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Nonostante il gelo nelle ossa che mi era venuto, intervenni subito: spinsi Jonathan dentro alla stanza della botola, chiudendo velocemente la porta dietro di me. Mi portai un dito alle labbra e gli feci segno di fare silenzio, non conoscendo l'identità dei nuovi arrivati. Allungai l'orecchio per ascoltare, e mille brividi mi percorsero la schiena quando riconobbi la prima voce, nasale e fastidiosa come me la ricordavo: era Manfred, colui che era andato con Ralph la volta in cui avevamo trovato il capannone degli Homi.

"Christopher Wild, che cosa fai qui?" Gli domandò con l'arroganza che traboccava dal suo tono, come per prenderlo in giro: vedevo benissimo con gli occhi della mente il sorriso ghignante che molto probabilmente aveva in quel momento stampato sul viso.

"Sono gli scienziati." Dissi sottovoce a Jonathan, con un tono talmente basso che avevo dubbi mi avesse pure sentito. "Ho riconosciuto la voce di Manfred."

"Il tipo del capannone?"

Annuii in risposta, dirigendomi verso la botola. Dovevo escogitare un piano per nasconderla, in modo tale che se fossero entrati non avrebbero visto l'apertura nel pavimento. Il tappeto era fuori questione, perché se anche avessimo provato a sistemarlo sopra, non saremmo mai riusciti a metterlo perfettamente piano e disteso, potendo quindi suscitare dubbi ai nuovi arrivati.

"Come nascondiamo la botola?" Chiesi al ragazzo di fianco a me, mentre sentivo Josephine e Christopher che provavano a tenere impegnati i nuovi ospiti, arrivando a contare tre voci nemiche totali; la situazione si stava facendo sempre più difficile.

"Forse riusciamo a mettere il tavolino sopra, è abbastanza basso da poter oscurare la vista di ciò che c'è sotto." Se non fosse stata una situazione di pericolo immediato, credo che molto probabilmente l'avrei baciato fino allo sfinimento; invece mi limitai a dire, con un sorriso euforico sul viso: "Jonathan, sei un genio!" Il ragazzo sorrise a quel mio complimento, afferrando poi il tappeto per poterlo arrotolare e metterlo da un lato: in questo modo non avrebbe dato nell'occhio, ma sarebbe stato solo l'ennesima cianfrusaglia in mezzo a un cumulo di simili. Mi inginocchiai vicino alla botola e tentai di aprirla il più silenziosamente possibile. Era pesante, non potevo sollevarla un po' alla volta, a un certo punto avrei dovuto dare una spinta finale. Il momento in cui sapevo di doverlo fare arrivò esattamente nell'attimo perfetto: percepii le scale scricchiolare, segno che o stavano andando al piano di sopra, o stavano tornando al piano di sotto, e noi non ci eravamo accorti quando erano saliti. Sperai che fosse la prima opzione, quindi diedi un colpo secco alla botola, aprendola.

"Forza, spostiamo il tavolino prima che tornino giù." Incoraggiai Jonathan, azzardandomi ad alzare un po' la voce.

Mi avvicinai a lui e lo aiutai a sollevare il tavolino, spostandolo non sopra all'apertura, ma davanti a essa. Entrammo entrambi, sistemandoci in modo tale da poter tenere sollevata la botola e, allora stesso tempo, spostare il tavolino sopra di noi. Chiudemmo con più calma e sicurezza l'apertura, mantenendo una fessura che ci permettesse di tenere fuori un braccio per afferrare le gambe del basso mobile e spostarlo. Riuscimmo a sistemarlo proprio come Jonathan aveva pensato, chiudendo la botola nel momento esatto in cui le scale scricchiolavano per la seconda volta. Aspettammo fino a quando non sentimmo anche la porta della stanza della botola aprirsi, le voci che si facevano più forti e chiare; inspirai bruscamente, come se avessero voluto togliermi l'aria dai polmoni e io stessi lottando per impedirglielo.

"Abbiamo proprio un sacco di cose qua!" Esclamò Manfred, avanzando rumorosamente sul pavimento; esso vibrò tremendamente sopra di noi, facendomi credere che potesse crollare da un momento all'altro. A parte i passi di loro tre non ne sentii altri, molto probabilmente gli altri due scienziati - o qualsiasi cosa fossero - erano rimasti al piano di sopra a controllare o cercare.

"È per questo che è il ripostiglio: ci metto tutto ciò che non mi serve." Suonava come una giustificazione, come se dovesse trovare una scusa per tutto quel disordine. "Abbiamo finito con questa ispezione? Non capisco che cosa stia cercando." La voce della signorina Murphy risultava sempre più sicura, come se si stesse obbligando a mantenere la calma e ad apparire più ferma.

"Quando lo troverò lo scoprirò." Rispose lui in maniera arrogante, la voce sempre più vicino a noi.

"Come mai tiene queste robe? Guardi questo tavolino, è tutto graffiato!" Esclamò, facendomi perdere un battito; Jonathan mi strinse a sé, come se quello bastasse a proteggermi.

"Lo so, ma è stato un regalo che mi hanno fatto i vicini appena arrivata qui, ha un legame affettivo." Il quasi fin troppo percepibile astio nella sua voce mi fece scappare un sorriso divertito, realizzando sempre di più che perdita avesse subito la scuola l'anno in cui lei se n'era andata.

"Manfred, che cosa stai cercando precisamente?" Gli domandò la voce di Christopher, piena di stanchezza e rassegnazione.

"Senti mio caro Christopher, sappiamo bene che la tua amichetta qua era l'insegnante di Crystal."

Trattenni il respiro a quelle parole, afferrando con entrambe le mani un braccio del ragazzo di fianco a me per stringerlo un po', cercando solo di rallentare la paura che mi stava circolando nelle vene, ma senza fargli male. "Ora, quante probabilità potevano esserci che sia lei che il suo fidanzatino Jonathan scomparissero nel nulla, dopo essere stati visti in questa città, luogo dove abita colei con cui la ragazzina aveva un legame? E tu credi che io non venga a fare un'ispezione? Sapendo che potrebbero essere qui?"

Silenzio tombale.

Non solo io e Jonathan stavamo cercando di fare più silenzio possibile, ma anche Christopher e Josephine dal canto loro erano caduti in una quiete assordante, più impauriti che altro. Chi se lo sarebbe mai aspettato? Chi avrebbe mai pensato che potessero davvero collegare la signorina Murphy a me e Jonathan.

"Ma a quanto pare mi sbagliavo!" La rabbia nella sua voce era talmente forte che se fossimo stati di fronte a lui, molto probabilmente avremmo potuto toccarla. "Un altro buco nell'acqua che al capo non piacerà per niente." I passi si allontanarono, la porta di aprì e chiuse con un colpo secco, furioso; per un attimo credetti pure che l'avessero staccata. Rimanemmo immobili, seduti sulle fredde scale di legno di un luogo che avremmo dovuto lasciare al più presto, perché se già sospettavano di Josephine, il tempo per organizzarci e scappare era scaduto. Dovevamo andarcene il prima possibile.

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