|Chapter 5|

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Lo sguardo che posai sull'esterno fu meravigliato e inorridito allo stesso tempo, non riuscivo a credere ai miei occhi: esseri umanoidi stavano girando intorno alla casupola in cui eravamo io e Jonathan, non dando segno di volersene andare; strascicavano i piedi, dando l'impressione di essere anime ritornate sulla terra dopo un lungo periodo di assenza. Le creature potevano benissimo essere scambiate per esseri umani, se però le si guardava solo da lontano. Se ci si avvicinava si potevano notare molti particolari: in varie parti del corpo spuntavano delle protuberanze, come se avessero dei grossi bernoccoli, con ognuna un pungiglione. Una strana bava li ricopriva lasciando dietro di sé una striscia, come a tracciare il tratto percorso; il viso era tumefatto, come se avessero subito tutti un brutto incidente automobilistico.

"Oddio..." Mormorai portandomi le mani davanti alla bocca subito dopo. "Che cosa sono quegli... Esseri?" Chiesi a nessuno in particolare, deglutendo a fatica.

"Non lo so, e - onestamente - non lo voglio sapere." Mi rispose Jonathan, spiando di nuovo dallo spiraglio. "All'apparenza però non sembrano essere molto svegli, guarda." Indicò uno degli esseri: stava strascicando i piedi e uno di essi era all'interno di un secchio, di cui la provenienza era a noi sconosciuta; molto probabilmente lo aveva precedentemente calpestato e il piede era rimasto incastrato nell'oggetto, non curandosi però di tirarlo poi fuori. "Dobbiamo lo stesso trovare il modo di ucciderli però; dovremmo uscire prima o poi da qui per cercare delle provviste." Mi avvisò lui, guardandomi con aria afflitta e concentrata; sono sicura che se avessi guardato nella sua mente, avrei visto gli ingranaggi del suo cervello lavorare freneticamente.

"Magari è solo questione di minuti." Pensai ad alta voce, indietreggiando e andandomi a sedere dove mi trovavo prima.

Jonathan scrollò le spalle, sedendosi accanto a me e chiedendomi come stesse la ferita. Nonostante fosse passato solo qualche attimo non percepivo più così tanto dolore, anzi era solamente un ronzio ormai. Quel calore che avevo sentito prima che entrasse lui nel piccolo rifugio si era ripresentato non appena mi aveva cucito la ferita, donandomi un senso di pace e benessere che nulla mi aveva dato prima.

Ciò che avevo ipotizzato però, si rivelò essere completamente sbagliato: dopo quelle che sembrarono ore le creature non se n'erano ancora andate, ma continuavano insistentemente a girovagare intorno a noi come se sentissero il nostro odore attraverso le pareti. Sembrava che non avessero nessuna intenzione di girare al largo, come se le attirasse quel luogo.

"Dobbiamo fare qualcosa, avevi ragione tu." Mi alzai in piedi velocemente, guardandomi in giro per la stanza e cercando qualcosa da poter usare come arma, o almeno un modo per poterli cacciare via.

"Crystal!" Mi richiamò Jonathan, alzandosi bruscamente e allungando le braccia verso di me, guardandomi accigliato. "Non ti fa male la ferita?" Mi chiese sorpreso, come se non dovessi stare lì in piedi.

Scrollai le spalle alzando la maglia e spostando le bende per esaminare il taglio; lui seguiva con lo sguardo ogni mio movimento, osservandomi come se potessi crollargli davanti da un momento all'altro. Nonostante fossi riuscita a camminare e a stare in piedi, avrei dovuto percepire ancora del dolore muovendomi, soprattutto se in modo così veloce. Quando finalmente sciolsi tutto il bendaggio Jonathan aveva l'espressione di uno che aveva appena visto un fantasma, era sbiancato e aveva gli occhi sgranati: la ferita che fino a poche ore prima sembrava preda di un'infezione, in quell'attimo era gonfia e rossa ma pulita, libera dal puss come se mi fossi semplicemente procurata un taglio superficiale, non troppo profondo.

"Non pensiamo a questo ora." Tentai di cambiare il centro della nostra attenzione, riportandolo sugli esseri fuori dalla porta. "Non sappiamo se sono buoni o cattivi, per questo dobbiamo uscire con un'arma per sicurezza." Provavo una strana sensazione, terrore per ciò che ci stava aspettando misto a una esaltazione per la prospettiva di una possibile lotta.

Anche se con malavoglia Jonathan annuì, guardandosi intorno in cerca di un'idea; quando il suo sguardo si posò sulla legna posta nell'angolo in fondo, il suo viso si illuminò mentre estraeva dalla tasca il suo accendino.

"Potremmo dare fuoco ad un bastone, rendendolo così più pericoloso; se sono simili anche un minimo agli esseri umani bruceranno vivi, nel caso la botta non li uccida subito." Mi riferì, dirigendosi verso un paio di bastoni più robusti per mettere in atto il suo piano; io annuii, anche se ero abbastanza spaventata all'idea di uscire con quei... Cosi.

"Fai attenzione mi raccomando, e cerca di mirare sempre alla testa." Mi riferì lui, porgendomi uno dei due bastoni già acceso.

Io annuii mentre lui taceva per un attimo, prima di lasciarmi un bacio sulla guancia e uscire dal rifugio. Io all'inizio rimasi pietrificata da quel gesto, chiedendomi quale significato potesse avere, ma mi riscossi quasi subito, ricordandomi quale fosse il nostro compito in quel momento: accertarsi che la nostra vita non fosse in pericolo. Uscii fuori anch'io proprio nel momento in cui una di quelle creature mi passava davanti; trattenni istintivamente il respiro, nel frattempo che quell'altra mi superava senza rivolgermi nemmeno un minimo di attenzione. Non mi aveva visto? Risposi subito a questa domanda quando poco dopo vidi che anche Jonathan passava senza essere minimamente notato tra quelle creature, arrivando alla conclusione più ovvia: erano cieche. Erano al massimo in quattro o cinque e l'odore che emanavano era nauseabondo e pungente, infatti mi fece quasi starnutire. Avanzai di qualche passo pensando che magari avremmo potuto continuare così per entrare e uscire, non fare rumore passando in questo modo inosservati; il piano durò fino a quando non calpestai accidentalmente un ramo secco, attirando l'attenzione degli esseri. Cominciarono ad avanzare verso la fonte del rumore, capendo che c'era un nemico che dovevano eliminare per sopravvivere. Fu lì che iniziò il caos: fendetti la mazza, colpendo l'essere più vicino e facendolo atterrare, colpendolo poi definitivamente alla testa uccidendolo. I lamenti e i mormorii quasi umani, mescolati al rumore che aveva fatto il cranio e il cervello quando li avevo colpiti, crearono in me una sensazione di nausea, oltre che infondermi una scarica di adrenalina in tutto il corpo. Tuttavia non potevo fermarmi neanche un attimo a riflettere: le altre creature stavano attaccando anche Jonathan, il quale si era precipitato nella mia direzione per aiutarmi a difendermi. Ricominciai a combattere fin quando anche l'ultimo essere cadde a terra senza vita, creando così un cimitero intorno alla piccola casupola: pezzi di testa e cervelli erano sparpagliati a terra, uniti ai pungiglioni staccati e a una strana sostanza viscosa di un giallo sporco simile a pus; provai una sensazione strana e dolorosa, come se avessi ricevuto un pugno nello stomaco, mentre l'orrore di quella scena mi invadeva tutto il corpo. Mollai improvvisamente la mazza a terra, le fiamme erano oramai estinte, crollando successivamente sulle ginocchia; non ne conoscevo il motivo ma mi sentivo sporca dentro, come se non avessi ucciso solo degli esseri umanoidi viscidi e mostruosi, ma bensì degli esseri umani, donne, uomini e... Bambini. Mi portai le mani sulla bocca reprimendo i singhiozzi che mi scuotevano il corpo, avvertendo le lacrime rendermi umidi sia il viso che le mani.

"Cos'ho fatto..." Sussurrai tra un singhiozzo e l'altro. "Cos'ho fatto..."

"Dovevamo farlo," rispose Jonathan, inginocchiandosi vicino a me al mio fianco. "Altrimenti ci avrebbero ucciso, l'hai visto anche tu."

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