25- Tutta colpa di Schopenhauer

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19 aprile

Con la testa appoggiata alla mano e lo sguardo perso, Emilia se ne stava nella cucina di Elia, seduta su una sedia traballante che temeva potesse cedere sotto il suo peso da un momento all'altro.

Sul tavolo erano sparsi fogli, penne e due imponenti vocabolari di greco. Tutto l'occorrente per la buona riuscita di una versione era lì davanti a lei, ma ciò che mancava era la voglia di mettersi al lavoro. Aveva la testa altrove e i compiti di scuola le sembravano di importanza minore rispetto a tutto il caos di emozioni e avvenimenti che aveva sperimentato in quei giorni.

"Lo sai che siamo due cretini?".

La voce di Elia la raggiunse dal corridoio. Quando il ragazzo comparve, si lasciò andare a un lungo sbadiglio, spalancando la bocca come un ippopotamo.

"Perché?" mormorò Emilia, risvegliatasi dal torpore in cui era momentaneamente finita.

"Perché nessuno dei due capisce un cazzo di greco, però ci siamo comunque messi a studiare insieme fingendo di poterci aiutare l'un l'altra".

Emilia sorrise di sbieco e sul volto del ragazzo si dipinse un'espressione di delusione.

"Che c'è, l'hai presa male?".

"No, figurati, perché?".

Elia scosse il capo e allungò una mano nella sua direzione, pizzicandole la guancia.

"Hai un faccino triste oggi" mormorò, con una nota di tenerezza nella voce. "E poi sei troppo poco cattiva, il che è ancora più inquietante della tua faccia".

Emilia non riuscì a trattenere una risata, che si trasformò in un grugnito.

"Ho io quello che ci vuole" aggiunse lui, alzandosi di colpo dalla sedia. Si allungò verso lo scaffale più alto della cucina e tirò fuori un pacco di biscotti al cioccolato appena iniziato.

Emilia continuò a ridacchiare. "Scusa, ma chi è che tiene dei biscotti così in alto?".

"Eh, allora". Elia le piazzò il pacco davanti e lo indicò come se fosse un documento di Stato da proteggere a costo della vita. "Quella piccola scimmia bastarda, se trova dei dolci, se li mangia tutti, non ne lascia nemmeno una briciola, e poi sta male e gli viene da vomitare. Siamo dovuti passare alle maniere forti".

Emilia scoppiò a ridere, nascondendo la bocca dietro la mano per evitare di sputacchiare briciole. La piccola scimmia a cui si riferiva Elia era Christopher, il suo fratellino di sei anni. Sul suo viso innocente e pulito spiccavano due labbra carnose, che lo facevano assomigliare a una dolce scimmietta, e questo suo tratto fisico, insieme a un abbondante dose di esuberanza e monelleria, aveva dato vita a quel soprannome.

"Secondo me l'hai fatto solo perché li vuoi tutti per te".

"Senti, è inutile che fai Madre Teresa, perché finora l'unica che sta giovando di quei biscotti in questa casa sei tu, e senza quel nascondiglio non avresti potuto".

Continuarono a ridere di gusto, ormai dimentichi dei compiti che dovevano portare a termine. Era da giorni che Emilia non riusciva a lasciarsi andare, ma Elia era capace di distendere ogni tensione, quando non faceva lo stronzo.

"Comunque" mormorò il ragazzo, la voce roca e un mezzo sorriso sul viso. "Secondo me tu devi dirmi qualcosa".

Emilia abbassò lo sguardo, come se egli avesse potuto leggerle dentro soltanto guardandola negli occhi. Il ticchettio dell'orologio appeso al muro prese il posto delle loro voci.

"Conosci Schopenhauer?" domandò all'improvviso, non sopportando più il silenzio creatosi.

Elia, visibilmente stupito, sollevò un sopracciglio. "Non si fa in quinta?".

"Sì". Emilia guardò il pendolo dell'orologio. "Schopenhauer diceva che la vita è un pendolo che oscilla tra dolore e noia e che l'uomo non può essere felice, può solo godere di piaceri momentanei".

"Mmh". Elia aggrottò la fronte. "E quindi?".

"Niente, voglio sapere cosa ne pensi".

Il ragazzo parve sempre più confuso. "Boh, che ne so. Cioè, è vero che l'uomo non può essere costantemente felice, ma da qui a dire che la felicità non esiste proprio ce ne passa".

Emilia si mordicchiò nervosamente le unghie, raschiando con i denti una pellicina. "Tu credi che le persone stiano insieme perché davvero provano affetto incondizionato? A volte penso che, se finissero i momenti belli, le persone si allontanerebbero anche da coloro a cui sono più legate".

Elia non rispose, perciò ella aggiunse: "Magari una persona vive nel dolore, perché desidera invano e con tutto il cuore avere una relazione, ma poi appena ce l'ha subentra la noia e quindi si ritorna nella distruttiva oscillazione descritta da Schopenhauer".

"Emilia, io non sto capendo cosa stai cercando di dirmi".

La ragazza si ammutolì. Guardò fuori dalla finestra, dove oltre il vetro pieno di macchie si stagliavano i condomini popolari del quartiere Mirafiori Sud. Costruiti in passato per raccogliere i dipendenti della Fiat, i palazzoni sorgevano austeri e uguali tra loro, come in una moderna Coketown.

"Emilia?".

Elia le rivolse un'occhiata preoccupata e la ragazza ebbe l'istinto di raccontargli quanto accaduto due giorni prima con Federico, di vomitargli addosso ogni singolo dettaglio. Quando la testa le si affollava di pensieri, dubbi e stati d'animo contradditori, così tanto da farle male, serviva qualcuno che la aiutasse a condividere il peso di tutte quelle cose.

"C'entra Andrea, vero?".

"E tu come fai a saperlo?". Emilia trasalì e lo fulminò con lo sguardo. "Ti ha già raccontato tutto, vero?".

Elia ridacchiò nervoso. "Nessuno mi ha detto un bel niente, stai facendo tutto tu. La mia era solo una supposizione".

Emilia fece per rispondere, ma dei rumori dal soggiorno la interruppero.

"Elia, sono a casa!".

"Ciao pa'!" urlò Elia e sulla soglia della cucina comparve un uomo tarchiato, con la pelle olivastra e i capelli scuri.

"Oh, ciao Emilia, come stai?".

La ragazza arrossì lievemente. "Tutto bene, grazie, tu Aldo?".

"Non c'è male" rispose l'uomo, l'aria stanca e i jeans e gli scarponi sporchi di vernice secca. "Che fate?".

"Stavamo studiando" esclamò Elia.

"Studiando, eh?". Sul volto di Aldo Sabatucci si dipinse un sorriso malizioso.

Elia sbuffò. "Sì, papà, stavamo studiando, e poi Emilia frequenta Andrea, quindi non rompere".

"Ma sei proprio un piciu". L'uomo diede un colpetto alla nuca del figlio e scoppiò in una grassa risata. "Quante volte ti ho detto che non devi farti scappare una ragazza come lei?".

Si rivolse a Emilia. "Andrea sì che la sa lunga, altro che mio figlio".

Elia si alzò e tentò di spingere il padre fuori dalla cucina. "Sì, ok, pa', ciao".

"Ma non è che sei frocio?".

"Papà, vattene".

L'uomo lasciò la cucina ed Elia chiuse la porta con un tonfo.

"Ricordati che alle cinque devi andare a prendere Christopher all'oratorio" urlò ancora Aldo.

"Sì, certo". Il ragazzo si lasciò cadere contro la porta e chiuse gli occhi. "Cristo santo, odio quando fa il cafone così. Scusalo".

Emilia fece spallucce, scrollandosi di dosso quelle battute infelici a cui ormai era abituata. "Nessun problema, figurati".

"Allora". Elia batté le mani sul tavolo e si fece serio tutto d'un colpo. "Abbiamo capito che c'entra Costantini, quindi. Cos'è che devi dirmi?"

La ragazza sospirò. Se da un lato sentiva il bisogno impellente di sfogarsi con Elia, perché sapeva che in lui avrebbe trovato sincerità assoluta, dall'altro quella sincerità la terrorizzava.

"Per farla breve, Andrea mi ha detto di essersi innamorato di me".

"Scusa?". Elia scoppiò a ridere. "Costantini? Innamorato?".

"Sì".

"E tu?".

"Eh, io no".

Il ragazzo si pietrificò, la mano che reggeva il biscotto ferma a mezz'aria. "Ah. E ora?".

"E ora niente, abbiamo deciso di continuare a vederci, ma senza che la cosa sia troppo seria".

"Ok".

Elia riprese a mangiare, senza aggiungere altro.

"Non dici niente?".

"Cosa dovrei dirti? L'ultima volta che ho provato a fare commenti sulla vostra storia stavi per pigliarmi a botte, quindi ora sto zitto".

Emilia fece roteare gli occhi al soffitto. "Lo so, scusa, è che sono un po' confusa su tutto".

"E non sarò di certo io a rimediare a questa confusione" esclamò lui di getto, senza nemmeno darle il tempo di finire. Restò zitto per alcuni istanti, poi, notando una sfumatura di amarezza sul volto dell'amica, aggiunse: "Abbiamo fatto un patto qualche mese fa e cioè che io mi devo fare i cazzi miei e tu ti devi vivere la vita come meglio credi. Io non sono tuo padre, quindi non farò più lo stronzo della situazione e non ti darò consigli".

Emilia abbassò lo sguardo, mortificata, da sé stessa più che da Elia. Nelle settimane precedenti quel tema li aveva portati a litigare come mai prima d'ora e non doveva stupirsi di quelle parole. Lei gli aveva richiesto maggiore riservatezza, lui gliela aveva data. Non aveva nulla di cui lamentarsi.

"Va bene, ti ringrazio" mormorò, mettendo da parte i biscotti e avvicinando il libro di greco a sé. Non sapeva dove avrebbe trovato la concentrazione per rimettersi sulla versione, ma la prospettiva di tradurre le sembrava più allettante che portare avanti quel discorso. "Riprendiamo a studiare?".

Elia annuì e fece lo stesso, cercando la frase da cui avevano interrotto la traduzione.

"Solo una cosa".

Emilia lo guardò curiosa.

"Non utilizzare l'unico argomento di filosofia che conosci per devastarmi il povero Costantini, eh".

La ragazza scoppiò a ridere, ma al contempo una fitta le trafisse lo stomaco.

"Tranquillo, magari Schopenhauer avesse la risposta a tutti i dilemmi della mia vita".


Spazio autrice

Ciao lettrici e lettori, grazie per aver letto questo capitolo! Con questo capitolo ho voluto farvi conoscere altri aspetti della personalità e della vita di Elia. Cosa ne pensate di questo personaggio?

Tra l'altro, come vi avevo anticipato, Schopenhauer è tornato alla riscossa, quindi provo a rilanciare la domanda di Federico a voi: cosa ne pensate della sua idea del pendolo che oscilla tra dolore e noia? Secondo voi la vita può essere spiegata in questo modo? Curiosissima di conoscere le vostre idee!

Un bacio❤️

Baby Rose

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