Capitolo 22: Salvataggio

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Moon trance – Lindsey Stirling


Respirai a fatica, cercando di riprendermi e capire cosa stesse succedendo. Ricordavo a malapena di aver visto l'espressione grottesca sul volto di quella orrenda creatura, e un attimo dopo ero fuori dalla casa di Mark, con qualcuno che mi cingeva la vita e lo stomaco che minacciava di rivoltarsi.

Ciò nonostante, la gioia che sentivo in quel momento era indescrivibile, qualcuno mi aveva salvata e poteva essere stata solo una persona.

O almeno così credevo.

«Non ti hanno insegnato neanche a difenderti, quegli angeli sono proprio patetici!»

La voce di Low mi riportò alla realtà, mentre lui stringeva appena attorno alla mia vita.

Fu un colpo al cuore, estremamente doloroso e assolutamente inatteso. Avevo immaginato l'arrivo di Luke all'ultimo secondo, pronto a salvarmi e a trionfare sul male. Invece alle mie spalle c'era l'uomo più pericoloso al mondo: il mietitore.

Respiravo affannosamente, completamente sconvolta e disorientata da quanto accaduto, senza, peraltro, rendermi conto di dove fossi e di come avessi fatto ad arrivarci. Il suono di quella voce mi aveva scossa più di quanto mi aspettassi, non solo per l'uomo a cui apparteneva, ma soprattutto per il fatto che non fosse il mio angelo.

Dopo un attimo d'incredulità mi ribellai, cercando di liberarmi dalla sua stretta, terrorizzata forse più di quanto lo fossi stata prima.

«Lasciami!» gli urlai istericamente, dibattendomi.

Lui mi lasciò andare subito, senza degnarmi di ulteriori attenzioni. Eravamo fuori dalla casa, all'aperto e da soli. Da là potevo vedere e sentire i rumori della battaglia che stava infuriando dentro. C'era una moltitudine spaventosa di demoni che sciamavano all'interno. Stavano cercando me, e Mark e Joan erano là, completamente soli contro un'orda intera.

«Devo aiutarli!» mi imposi, tornando a guardarlo e cercando di razionalizzare il fatto che fosse lì, che mi avesse appena salvata. «Che cosa sta succedendo?»

«Non c'è tempo adesso!» sentenziò lui, mentre altri demoni iniziavano ad apparire dal bosco, circondandoci. «Questo è il momento di tirar fuori la spada di luce, Hope.»

«Anche se lo facessi non ho idea di come usarla» risposi già nel panico, indietreggiando per il terrore, fino quasi a scontrarmi con lui.

Lo sentii espirare scocciato, mentre mi afferrava per le spalle per impedirmi di rovinargli addosso e mi spostava dietro di sé. Tra tutte le cose assurde che erano capitate in quel periodo, la più impensabile era quella di vedere il mietitore frapporsi tra me ed un esercito di demoni, pronto a difendermi da loro.
Ero sempre più confusa da quanto stesse accadendo. Ogni cosa che mi era stata detta era incongruente rispetto a ciò che avevo di fronte. Low doveva corrompermi, uccidermi, invece si era messo a mia protezione.

«Immagina di impugnare il tuo archetto e di dover arrivare alla fine dell'esibizione» spiegò lui, sguainando un'enorme e sottile spada nera. «Io posso rimandarli all'Inferno, solo tu puoi cancellarli.» il simile non poteva cancellare il simile. «Cerca di non farti uccidere» mi suggerì, per poi lanciarsi all'attacco di alcuni demoni, girandomi intorno, in modo da non lasciarmi scoperta in caso di bisogno. Stava provando a non farli avvicinare a me, immaginando, a ragion veduta, la mia inettitudine come guerriera.

«Non ha senso» esclamai, cercando di fare riapparire la spada di luce tra le mani.

Niente di quanto accaduto fino a quel momento ne aveva: Matt che era caduto, Luke intrappolato all'Inferno, i demoni che cercavano di cancellarmi e soprattutto il temibile e oscuro mietitore che mi stava difendendo.

Tuttavia, non era certo quello il momento adatto per perdere tempo a pensare e farsi domande che forse non avrebbero mai ricevuto risposta. Quello che dovevo fare era impegnarmi per cercare di sopravvivere, poi mi sarei occupata del resto.

Come mi comparve la spada tra le mani cercai di fare ciò che mi aveva consigliato.

«Danza, Hope, come fai quando suoni la tua canzone. Non restare ferma!»

Low era terribilmente agile e con straordinaria abilità stava falciando un numero impressionante di quelle creature. Quando li colpiva i loro corpi bruciavano, segno che stavano tonando all'Inferno.

«I demoni sono solo corde del tuo violino. Suona, Hope! Suona la tua canzone!»

Ero confusa e non capivo cosa stesse succedendo, cosa c'entrasse lui e come quello che mi stesse dicendo potesse funzionare, ma lo feci lo stesso, senza pormi domande, come se davvero stessi suonando il mio strumento, come l'ultima volta che lo avevo fatto in sua presenza.

Era come se, in un certo senso, sentissi quella stessa musica, anche se, in realtà, non era possibile. Eppure io la sentivo. Riuscivo a percepirla.

Ero come in una specie di trance e neppure mi accorgevo di scivolare via dagli attacchi dei demoni, quanto di contrattaccare nel semplice suonare e danzare, quasi non fossi io ad avere il controllo del mio stesso corpo.

Lui mi stava indubbiamente aiutando, cercando di tenermi lontani quanti più demoni possibili. La situazione era un bel po' strana, ma stavo sopravvivendo e, per ora, era tutto ciò che contava.

Falciai a mia volta alcuni demoni, anche se, a differenza di quando li colpiva Low, i loro corpi non si limitavano a bruciare e diventare cenere, la loro essenza, quella che forse era la loro anima, spariva come un'ombra illuminata da un fascio di luce. Li stavo cancellando e non rimandando all'Inferno.

Sembrava come se tutto ciò fosse per me naturale e normale, quasi fossi abituata a combattere con quello stile.

Dopo un po', sbaragliammo l'orda che ci aveva attaccati, conquistando così il vantaggio di pochi attimi di tregua. Avevamo entrambi il fiatone, io decisamente più di lui. La prima cosa che feci, appena mi resi conto che non ci stava attaccando più nessuno, fu guardare verso la casa di Mark.

Era evidente che ci fosse ancora una gran confusione e attività demoniaca, segno che i miei amici non avevano ancora avuto la meglio e ripreso il controllo della situazione, ma che, comunque, fossero ancora vivi.

Non ci pensai due volte e mi lanciai verso la casa. Di certo non potevo lasciare Mark e Joan a combattere da soli.

Lui mi afferrò prontamente per il braccio, trattenendomi. «Dove pensi di andare?»

«Devo aiutarli!» gli risposi piccata, voltandomi a guardarlo. «Non posso lasciarli da soli!»

«I demoni stanno cercando te, se entrerai lì dentro non li aiuterai, peggiorerai solo la situazione» disse severo, senza lasciarmi. «Se vuoi aiutarli davvero, allora allontanati da qui. I demoni ti seguiranno e quei pochi che resteranno saranno alla portata anche di quei due incapaci che ti fanno da scorta.»

Era plausibile. La maggior parte di quelle bestie era uscita dalla casa per attaccare me e lui. Se fossi rimasta li avrei solo messi in pericolo. Magari fuggendo avrebbero seguito me, dando loro una possibilità di cavarsela. Forse il mietitore aveva ragione, dopotutto, ma seguire il suo consiglio implicava necessariamente dovermi fidare di lui.

«Come faccio a fidarmi di te dopo quello che è successo nell'attico?»

«Riflettendo sul fatto che non ti ho mai fatto del male.» Mi tese la mano impaziente, probabilmente si aspettava una nuova ondata di demoni da un momento all'altro.

«Non ancora, per lo meno» dissi, osservandolo dubbiosa. Eppure, contro ogni possibile pronostico, mi aveva salvata. Non avevo idea di cosa avesse in mente, ma non potevo negare il fatto che, poco prima, il suo intervento era stato tempestivo. Se non fosse stato per lui, quel demone mi avrebbe fatta a pezzi con molta facilità.

«Prometti che davvero i demoni seguiranno me e lasceranno stare i miei amici?» gli chiesi in ansia, mordendomi le labbra e continuando a lanciare occhiate preoccupate in direzione della casa.

Ghignò, quasi divertito dalla mia richiesta accorata. «A nessuno frega niente di un paio di muse. Gli ordini per loro sono di eliminare te.»

«Promettimelo!» insistetti, avvicinandomi a lui e fissandolo attentamente. «Non mi interessano le spiegazioni.»

Tornò serio. «Non accadrà niente a quei due incapaci, te lo assicuro.»

«Va bene» dissi, sospirando e chinando il capo. «Andiamo via» sussurrai accondiscendente, senza però decidermi a staccare lo sguardo dalla casa, ancora incerta circa la veridicità delle sue parole.

Che fosse stato onesto oppure no in riguardo alle sue intenzioni, l'uomo che avevo di fronte era comunque connesso con l'Inferno, perciò era anche l'unico che avrebbe potuto aiutarmi a trovare Luke e a riportarlo a casa.

Si avvicinò a me, piazzandomisi proprio di fronte in modo da interrompere il contatto visivo con la casa di Mark. Inchiodò i suoi occhi di ghiaccio nei miei e mi passò un braccio attorno alla vita. Dovetti sforzarmi molto per restare ferma e non assestargli d'istinto un calcio alle parti basse.

Sparimmo così, salvo poi riapparire lontano dal punto in cui eravamo prima, nei pressi della sua macchina sportiva nera. Non mi capacitavo di come fosse possibile e se non fosse stata per la tremenda nausea avrei giurato che non ci fossimo mossi affatto.

Mi lasciò andare senza dire una parola e si mise al lato del guidatore, aspettando che prendessi posto al suo fianco prima di mettere in moto e partire.

Tergiversai qualche attimo, chiedendomi se stessi facendo davvero la cosa giusta e se quella fosse sul serio l'unica alternativa che mi restasse. Mark e Joan sarebbero stati in pena per la mia scomparsa e forse mi avrebbero cercata, ma meglio preoccupati che cancellati. Salii a bordo, altrettanto in silenzio, senza guardarlo, con aria cupa e l'umore sotto terra, completamente avvolta nei miei pensieri.

Lui mi rivolse una rapida occhiata, e poi partii. Guidava a velocità sostenuta ed era evidente che fosse intenzionato a lasciare la città, come se questo potesse bastare ad evitare che i demoni ci trovassero e raggiungessero.

«Dove stiamo andando?» domandai con una leggera tensione nella voce, affondando nel sedile della macchina. «E soprattutto che cosa sta succedendo?»

«Stiamo lasciando la città» disse solamente, senza guardarmi, continuando a sfrecciare per le strade. «C'è un ordine di cancellazione che pende sulla tua testa.»

«E perché mi stai proteggendo? Non lavori anche tu per l'Inferno?» domandai confusa, tornando finalmente a guardarlo.

«Ho obiettivi diversi da quelli di Kora, almeno al momento.» L'avevo già sentita nominare e, se non ricordavo male, era il nome della regina degli Inferi.

«E posso essere messa a corrente di questi tuoi obbiettivi? Mi sto fidando di te, dopotutto» dissi, tornando ad osservare la strada.

Lui mi diede un'occhiata laterale, ma non rispose. Non era affatto intenzionato ad informarmi sui suoi piani.

Scossi il capo, tornando a guardarlo con un sospiro frustrato. «Sai per caso cosa sia successo a Matt e a Luke?»

Non parlò subito, lanciandomi un'altra occhiata, come se stesse valutando le mie condizioni psicologiche.

«Niente di buono» mi rispose con tono tetro, tornando con lo sguardo fisso sulla strada.

«Ma sono vivi, vero?» lo incalzai, sporgendomi verso di lui.

«Uno solo di loro...» ammise, guardandomi di lato, per valutare la mia reazione.

Deglutii. «Chi?»

Prese un respiro. «Il nuovo amante del demone della superbia.»

«Cosa stai dicendo?» esplosi, con tono completamente diverso. «Luke non è morto!» dissi conficcando le unghie nel sedile.

Non rispose, ma la sua espressione seria parlava per lui. «È stato sciocco da parte sua scendere da solo all'Inferno. Si è rifiutato di cadere e di dire dove tu fossi. Kora lo ha cancellato.»

«NO! Non ti credo!» sbottai, scuotendo il capo. «Non voglio crederti!»

Avevo il respiro irregolare e gli occhi mi pizzicavano. Lo avevano detto anche Joan e Mark, ne erano convinti, eppure io non riuscivo a crederci, né ad accettarlo.

Sentirlo dire da Low però mi aveva fatto impallidire. Sentivo come se tutte le mie energie venissero risucchiate via, tanto da avere la sensazione che per un attimo tutto si appannasse, come se stessi avendo un mancamento. Se non fossi stata seduta su quella macchina, con tutta probabilità, sarei irrimediabilmente caduta a terra, incapace persino di tenermi in piedi, senza che il mio corpo rispondesse ai miei comandi.

Lui continuò a guidare in silenzio, non era lì per consolarmi o rincuorarmi. Si limitava solo a lanciarmi di tanto in tanto qualche occhiata, per controllare le mie condizioni, lasciandomi il tempo necessario a sfogarmi e ad accettare le sue parole.

Cercai di calmarmi, alternando lo sguardo tra lui ed il panorama che sfrecciava veloce fuori dal finestrino, ma non ci riuscivo.

«Non ti credo!» ripetei dopo un minuto buono di silenzio, faticando a trattenermi dallo scoppiare a piangere. «Non ci crederò mai finché non ne avrò le prove» mormorai con voce rotta, voltandomi a guadare definitivamente fuori dal finestrino.

Non avrei mai rinunciato alla speranza che fosse ancora da qualche parte, vivo.

«Non esistono prove per la cancellazione, semplicemente smetti di esistere. Non è restato niente di lui.» Mi lanciò un'altra occhiata. «Se può consolarti, ha combattuto fino all'ultimo. Per quanto del tutto inutile, si è rifiutato di dirci dove poterti trovare.»

«Smettila, non è vero! Non è morto!» urlai quasi istericamente, faticando sempre di più a tenere regolare il mio respiro e non cedere al dolore che mi stava crescendo dentro. «Non lo accetterò mai!»

Non volevo crederlo, non ci riuscivo.

Alla mente mi tornò la fine dei demoni che ero riuscita a colpire, diventati cenere, mentre l'ombra di se stessi si dissolveva, e in quell'istante sentii lo stomaco contorcersi dal dolore. Era successo lo stesso a lui? Si era dileguato nella stessa maniera di quei demoni?

Cercai di scacciare quel pensiero, ma mi era terribilmente difficile. Era bastato un attimo di tentennamento nel credere alle sue parole e la mia mente aveva già iniziato a creare delle immagini di Luke che spariva nel nulla, in un bagliore di luce bianca.

«La prossima in lista sei tu, e quei due che ti stavano dietro non sono in grado di proteggerti. Io sono la tua sola possibilità di sopravvivere» spiegò, sempre impassibile. Ingranò la marcia, inserendosi in autostrada e riacquistando velocità.

Viviti la tua vita mi aveva detto Luke prima di sparire dietro quelle maledette porte, ma che razza di vita stavo vivendo e avrei vissuto? Che vita potevo mai avere senza di lui al mio fianco, in un mondo in cui ero completamente sola, considerata poco più di un errore da dover cancellare il più in fretta possibile?

Avevo la testa completamente nel pallone e gli occhi lucidi per le lacrime, che facevo sempre più fatica a trattenere.

«Potresti mentirmi. Potresti non dirmi la verità» tentai di convincermi, faticando a tenere la voce modulata. Speravo che le cose stessero davvero così, che per un qualsiasi motivo mi stesse mentendo. «Perché mi stai aiutando, che cosa vuoi da me?»

«Voglio tenerti in vita. Il perché sono affari miei.» Aveva un tono e un'espressione indecifrabili e quanto mai gelidi e distanti.

«E se io non volessi più rimanere in vita?» chiesi, con le unghie sempre più affondate nel sedile.

«Ti capirei. Ma non te lo permetterei comunque.» Aumentò la velocità, mantenendo un controllo perfetto del veicolo.

«Voglio scendere all'Inferno!» dissi in tono più basso. «Tu sai come si fa vero?»

«Sì. Lo so.» Si voltò a guardarmi. «Ma non è una passeggiata, la procedura è dolorosa e irreversibile.»

«Non mi interessa. Che cosa ho da perdere ormai?» risposi, fissandolo. «Non mi è rimasto più nulla e non mi convincerai che Luke è morto. Continuerò a cercarlo, scenderò fino all'Inferno e lo metterò a soqquadro, se dovesse servire a riabbracciarlo.»

Ignorò il mio commento su Luke. «Quelli con le ali bianche non riescono ad oltrepassare il nero cancello.» Era implicito, nella sua affermazione, il fatto che dovessero cambiare colore.

«Che cosa devo fare per fare in modo che non siano più bianche?» Non mi importava più di cadere o di restare sulla retta via. Tutto aveva perso d'importanza dopo quello che era successo. «Se Luke fosse vivo lo devo cercare. Ciò che diventerò nel farlo non mi interessa.»

Luke avrebbe fatto lo stesso per me, e se dovevo andare all'Inferno per ritrovarlo lo avrei fatto.

«È necessario corrompere la tua anima» spiegò atono, mentre teneva d'occhio la strada, guidando come se sapesse esattamente dove andare.

«Farò quello che è necessario» mormorai, guardando fuori dalla finestra.

Mark e Joan non mi avrebbero mai perdonata. Avevano fatto di tutto, messo in pericolo le proprie vite per tenermi al sicuro e non farmi cadere. Li stavo deludendo, ma non aveva importanza, niente più ne aveva. L'idea che Luke fosse davvero scomparso mi stava facendo impazzire e mi impediva di pensare razionalmente.

Stavo facendo quello che lui mi aveva chiesto di non fare, ma non avevo alternative e soprattutto motivi per non farlo. Era ciò che di più importante avessi mai avuto, e senza di lui non aveva senso tutto il resto.

Come avrei potuto vivere con il dubbio che fosse ancora vivo?

«Lo vedremo» sentenziò lui, facendomi tornare alla realtà, mentre cambiava ancora marcia, sempre più celere. «Mettiti comoda, ci aspettano alcune ore di viaggio. A proposito.» Allungò il braccio sui sedili posteriori per prendere qualcosa, che mi posò in grembo. «Questo è tuo. Lo hai dimenticato a casa mia.»

Presi il violino di mia madre e lo guardai come se lo vedessi per la prima volta.

Non riuscii più a trattenermi, stringendolo appena e spostando il capo di lato per evitare che Low mi vedesse. Le lacrime iniziarono a scendermi lungo le guance, ininterrottamente, la schiena scossa dai sussulti. Mi portai una mano sul volto, cercando di contenermi, ma senza riuscirci, spezzata e distrutta come non lo ero mai stata in vita mia.

Mi osservò senza dire una parola, a volte attraverso lo specchietto, altre voltando appena lo sguardo nella mia direzione. Capire cosa pensasse di me, di quella situazione, del mio comportamento o in generale era a dir poco impossibile.

«Lo so che sembro una piagnucolosa ragazzina» borbottai a un certo punto, asciugandomi le lacrime.

«Se ti fa sentire meglio, sfogati pure» rispose lui impassibile, come se il mio stato d'animo gli fosse indifferente. Si guardò il polso per vedere l'orario, fuori era ancora buio, ma meno pesto di quando eravamo partiti.

«Non cambierebbe niente» mormorai sospirando. «Ma se avessi un fazzoletto mi sarebbe d'aiuto.»

«Nel cruscotto.» Mi fece segno lui con lo sguardo. «Suppongo tu debba mangiare. Hai preferenze?» Non era gentilezza, era più che altro un dato di fatto.

«No. Va bene tutto» risposi in un mormorio, prendendo un fazzoletto.

Ero stravolta e stanca, e avevo fame e sonno, eppure non riuscivo a calmare il disagio e il dolore che avevo in petto. Avevo solo il pensiero fisso e la speranza che la realtà dei fatti fosse diversa.

Guidò per quasi un'altra ora, prima di arrivare ad un paesino impolverato, sempre senza dire una parola. Fermò l'auto lungo la strada e si voltò a guardarmi.

«Prendi quello che ti serve. Entreremo in città a piedi e cambieremo l'auto dopo aver mangiato, con questa diamo troppo nell'occhio per dove stiamo andando.» Scese senza neanche darmi il tempo di rispondere od obiettare qualcosa. «Dobbiamo anche cambiarci.» Iniziò ad avviarsi verso la città, sicuro che lo seguissi.

Dopotutto, sapevamo entrambi che non avevo altra alternativa, se non volevo essere massacrata dai demoni. Quantomeno io. Dubitavo che contro di lui potessero anche solo arrivare a sfiorarlo, viste le sue abilità.

Lo seguii prendendo praticamente solo il violino, considerando che non avevo altro con me.

Scivolai accanto a lui, guardandomi attorno per cercare di capire dove fossimo. Era forse una delle poche volte in cui mi trovavo fuori da Los Angeles e avvertivo una sensazione di forte smarrimento e confusione, come se tutto ciò che fosse attorno a me fosse sbagliato, irreale. Il fatto stesso di chi fosse il mio accompagnatore in quel momento, rendeva tutto quanto ancora più illogico.

Non disse una parola per tutto il tragitto. Arrivammo ad una tavola calda, una specie di fast-food che faceva anche da caffetteria, di quelle aperte durante la notte per i camionisti.

Low, con quegli abiti eleganti e costosi, spiccava maledettamente in quella città polverosa. Si sedette ad un tavolo, aspettando che facessi altrettanto. Avevo i suoi occhi grigi addosso, mi fissava senza ritegno, studiandomi.

«Che cosa hai da guardare?» esordii ad un certo punto, a disagio, incrociando le braccia al petto con espressione seria.

«Mi chiedo quale sia il modo migliore per corrompere la tua candida anima.»

Si avvicinò al tavolo una cameriera, forse un po' troppo truccata, la cui bellezza e giovinezza doveva essere svanita decisamente troppo presto, che ci osservò masticando rumorosamente la gomma.

«Allora, cosa vi porto dolcezze?» Dal suo sguardo si capiva chiaramente che si stesse chiedendo cosa ci facesse una come me, lì dentro, con un tipo impaccato di soldi; probabilmente mi aveva scambiata per una prostituta che dovesse soddisfare un tipo dai gusti particolari. La cosa peggiore era che non sembrava neanche essere qualcosa d'inusuale.

«Un hamburger. E una birra» ordinai. Nonostante l'orario mattiniero avevo una fame da lupi e una sete assurda. Sarebbe stato più coerente ordinare un espresso o un latte macchiato, ma da quando ero entrata là dentro avevo solo sentito i morsi della fame e della sete, forse dovuti allo stress e all'ansia per Luke.
Anziché chiudermisi lo stomaco mi si era decisamente aperto.

«Per me una colazione, un caffè e una fetta di torta.» Low non rivolse neanche uno sguardo alla donna, continuando a tenere gli occhi su di me. Lei, al contrario, alternava lo sguardo tra noi due, chiedendosi con tutta probabilità se fossi una professionista o se mi fossi trovata per caso in quel ruolo.

«Nient'altro?» chiese facendo rumore con la gomma.

«Nient'altro» confermò lui.

«Neanche io ho idea di cosa potrei fare per cadere. Però è decisamente inquietante sentirsi dire una cosa del genere» ripresi subito il filo della conversazione appena la donna si allontanò dal nostro tavolo con le ordinazioni.

«Inquietante dici? Però è esattamente così che andranno le cose. Perderai il tuo candore.» A orecchie ignare dei fatti poteva sembrare davvero che stessi per vendere la mia innocenza ad un riccone annoiato.

«Ci sono cose più importanti della mia purezza» dissi con un sospiro, cercando di mantenere quella conversazione privata usando un tono basso di voce. «Non credo che tu capisca. Anche se tutti mi dicono che Luke è morto lo voglio cercare. Non posso farne a meno. L'alternativa sarebbe vivere con il continuo pensiero che possa essere lì, da qualche parte» spiegai, guardando verso la finestra. «Anche se dovessi morire nel tentativo, non mi importa. Lui ha passato parte della sua vita a proteggermi.»

«Così come ha fatto con tutte quelle prima di te» replicò lui, tranquillo. «Non commettere l'errore di credere di essere speciale per lui, non sai quante Nephilim ci sono all'Inferno che erano convinte esattamente della stessa cosa. Non dovresti mai fidarti delle parole di un angelo, sono in grado di dire e promettere qualunque cosa pur di obbedire agli ordini.»

«Non aveva con loro lo stesso rapporto che ha con me. Luke mi ama!» asserii sicura, senza distogliere lo sguardo. «Non lo ha fatto solo per tenermi lontana da te.» Strinsi le labbra. «Anche se impazzirebbe all'idea che io sia in tua compagnia.»

«Tu credi di conoscere le persone solo perché passi con loro un po' di tempo. Abbiamo centinaia di anni, Luke migliaia. Tu non sai niente di noi.» Indurì leggermente lo sguardo. «Ma francamente la cosa non mi interessa. Voglio essere un po' più onesto di Luke con te, tu sei principalmente un lavoro.»

«Bene, allora andremo d'accordo. Io servo a te e tu servi a me per scendere all'Inferno» sentenziai seria a mia volta.

«Sarà molto più piacevole collaborare che doverti dare la caccia. Confesso che è molto più intrigante e stimolante cercare un modo di corromperti mentre sei consenziente.» La cameriera arrivò proprio in quel momento con la nostra ordinazione e un'espressione sconcertata per quello che aveva origliato.

Posò i piatti e le bibite senza fiatare.

«Ti consiglio di provare anche il dolce.» Suggerì Low. «In questo posto cucinano inaspettatamente bene e ti serviranno energie per quello che ci aspetta.» La cameriera spostò lo sguardo tra noi prima di defilarsi rapidamente, decidendo di farsi gli affari propri.

Accennai un sorriso di circostanza, anche se, effettivamente, potevo ritenermi d'accordo con le sue parole.

Il fatto che mi stesse dando la possibilità di scendere all'Inferno e cercare Luke mi aveva risollevato il morale.

Per quanto avesse detto che fosse morto non mi importava, avevo uno scopo e lo avrei cercato ovunque, anche a costo di cadere e finire per sempre dannata.

«Che cosa ci aspetta?» domandai bevendo. «Cosa farai per corrompermi?»

Si appoggiò contro lo schienale, incrociando le mani sul tavolo. «Non ne ho idea, non ancora per lo meno» spiegò. «Ciascuno di noi è potenzialmente orientato verso un peccato, qualcosa che sia più affine alla sua anima e che non gli crei problemi di coscienza o sensi di colpa. Può essere il pestaggio di un barbone, l'omicidio, il furto, la sfrenata lussuria, la vendetta, il suicidio... i peccati sono molti. Basterà trovare il tuo, e ammetto di essere davvero curioso di capire quale possa essere, anche se escluderei il suicidio, lo faresti solo perché sei convinta di aiutare il mezzo caduto. In quel caso sarebbe un sacrificio e finiresti in Paradiso.»

«E se non ne avessi?» domandai scuotendo il capo. Ciò che desideravo in quel momento era solo rivedere Luke. «Quindi tu davi la caccia ai Nephilim e cercavi di capire quali fossero i loro peccati?»

Per un attimo ricordai il momento in cui mi aveva fatto uscire le ali e mi aveva mostrato le sue, nere e lucenti. Scossi il capo, distogliendo lo sguardo, cercando di reprimere quel ricordo. Quell'uomo mi metteva come al solito a disagio.

«Sono piuttosto bravo a tirare fuori alle persone ciò che hanno dentro.» Mi fissava e sembrava star seguendo la mia stessa linea di pensieri.

«Allora sarà interessante, anche perché non ho tempo da perdere.»

Se Luke era vivo non volevo aspettare più del dovuto. Inoltre ero un tipo iperattivo, non riuscivo a star ferma oltre che qualche secondo.

Finii di mangiare l'hamburger per poi alzarmi. «Allora che facciamo ora?» domandai tornando a guardarlo con espressione seria e decisa.

Mi allungò la torta. «Assaggia il dolce. Poi andiamo a cercare vestiti e noleggiamo una nuova auto.»

Guardai la fetta di torta, poi lui, poi di nuovo la torta e infine mi risedetti, iniziando a mangiarla. «Non hai nessuna fretta, vedo.»

«Il viaggio è parecchio lungo e ci serve tempo per tirare fuori i tuoi peccati, quindi no, direi proprio che non c'è nessuna fretta.» Sorrise arrogante. Quel sorriso gli dava un'aria piuttosto affascinante.

Infatti distolsi lo sguardo e finii di mangiare la torta in silenzio. «Ok, ho finito, possiamo andare?» Non terminai neanche la domanda che già mi stavo rialzando, tornando a guardarlo. «Ormai albeggia» aggiunsi anche, guardando fuori dalle finestre.

Lui si alzò, lasciando alcune banconote sul tavolo, per poi dirigersi all'uscita.

Lo seguii fino ad un negozio che si accingeva a tirar su le serrande e ad aprire. Aveva attraversato la città come se la conoscesse da sempre.

Aspettammo che il signore aprisse mentre io sbadigliavo pesantemente, iniziando a risentirne per la stanchezza della notte persa e della battaglia, con la pancia piacevolmente piena.

Low mi tenne aperta la porta per farmi entrare. «Scegli quello che vuoi. Ci vediamo alla cassa appena hai fatto.» Si avviò, quindi, tra gli scaffali senza più considerarmi.

Iniziai a girare per il negozio guardandomi attorno, cercando qualcosa che potesse essere utile. Presi uno zaino e qualche vestito, pantaloni, magliette e felpe, assieme a un po' di biancheria, per poi dirigermi alla cassa.

Lo trovai già lì, indossava un jeans, scarpe da ginnastica e una maglietta a mezze maniche grigia scura. Sul bancone c'era un borsone già pieno di roba ed un paravento nero col cappuccio.

«Conto unico» disse tirando fuori la carta di credito. Così vestito riuscivo a intravedere i tatuaggi che aveva sulle braccia, oltre che sulle mani.

Rimasi a guardarlo qualche istante, prima di osservare quello che aveva preso, poi tornai a guardarlo.

«Che significato hanno?» domandai curiosa.

«Cosa?» rispose, riponendo la carta di credito e mettendosi il borsone in spalla, per poi passarmi il mio zaino. «Ce la fai?»

«Certo che ce la faccio» risposi con fare sicuro. «Parlavo dei tatuaggi. Ne hai molti, vedo.»

«Sono in vita da un po', le cose importanti preferisco averle addosso» mi spiegò, anticipandomi per aprirmi la porta. «Questi sulle braccia li ho fatti nel posto in cui siamo diretti.» Non fece cenno agli altri, ma ero sicura che ce ne fossero, mi era sembrato di vederne qualcuno far capolino dalla camicia aperta durante le nostre lezioni. Ammetto che, al tempo in cui li vidi, mi avevano incuriosito parecchio.

«Dove siamo diretti?» domandai, varcando la porta e guardandomi attorno. «Quindi sei venuto qui più di una volta. Quanti anni hai?»

«Una trentina, più o meno.» mi rispose con un sorrisetto. «Ma ho vissuto per quasi settecento anni.» Si muoveva agile tra le stradine. «Sono pochi i posti in cui non sono stato, ma quello verso cui siamo diretti è una zona franca. Né gli angeli né i demoni possono entrare.»

«E tu invece si?» incalzai, camminandogli accanto e guardandomi attorno. «Non sei anche tu un angelo caduto che lavora per l'Inferno?» C'erano ancora troppe cose che non mi erano chiare e che non conoscevo.

«Io ho uno speciale lasciapassare.» Mi guardò ghignando. «E lasceranno entrare te sulla mia parola.»

Arrivammo a un noleggio auto e lui prese a guardarsi intorno per sceglierne una adatta. Seguii il suo esempio dirigendo lo sguardo nella stessa direzione. «Perché tu, a differenza dei demoni, non vuoi uccidermi?» domandai mentre camminavamo, affiancandomi a lui.

«Perché mi interessi più da viva» rispose, osservando il venditore avvicinarsi. Un uomo basso, grassoccio e sudaticcio, con folti baffoni rossicci ed uno spennacchiato riporto. Davvero l'opposto dell'uomo che mi accompagnava.

«Salve ragazzi, vi posso aiutare? La sua fidanzata ha già visto qualcosa che le piace?»

A quella domanda vidi Low accennare un sorrisetto divertito, senza però ribattere assolutamente nulla.

«Che? No, no... Non siamo fidanzati!» mi affrettai a chiarire la situazione, lanciando un'occhiataccia al mio accompagnatore. «Però qualcosa che mi piace l'ho vista.»

«Chiedo scusa, non sapevo foste sposati» incalzò il venditore, mentre il mietitore non si scomponeva minimamente, anzi sembrava divertirsi del mio disagio. «Cosa ha colpito la vostra attenzione, bella signora?»

«Qualche auto sportiva, ma non so se mio marito sia d'accordo» risposi sarcastica, guardando poi Low.

«Decisamente no, cara» mi rispose, senza distogliere l'attenzione dal venditore. «Cerchiamo un'utilitaria, sa quelle auto noiose per chi vuole mettere su famiglia.» Mi rivolse un sorrisetto. «Di seconda mano sarebbe meglio.»

L'uomo mi rivolse un'occhiata perplessa, doveva essere abituato a scene ben diverse.

«Un'utilitaria...» dissi con un'espressione stranita, lanciandogli un'occhiata per poi sospirare. «Per mettere su famiglia, certo.» Sbuffai, scuotendo il capo. «Anche se una sportiva sarebbe più veloce, visto il lungo viaggio che dobbiamo fare... tesoro, e almeno così non sembreremo due rapinatori di banche.»

«Non somigliamo minimamente a Bonnie e Clyde.» Sembrava scherzasse, ma ebbi l'impressione che stesse facendo sul serio il paragone con quei due e che, tra l'altro, li avesse forse persino conosciuti. «Tranquilla, prenderemo una sportiva alla fine del viaggio, non vorrei si rovinasse nel tragitto. Sai bene che non ti negherei niente, ti farò divertire anche in una macchina sportiva, non preoccuparti.» Mi guardò in un modo molto lascivo, strizzandomi un occhio, neanche stessimo parlando di concepire l'allegra famigliola proprio in quell'auto. Mise in imbarazzo persino il venditore, che, a quel punto, sembrava solo volersi liberare di noi due.

Arrossii anche io, non riuscii a farne a meno e distolsi lo sguardo, incrociando le braccia. Se il suo obiettivo era farmi desistere e zittirmi, ci era riuscito benissimo. «Vada per l'utilitaria» borbottai infastidita.

«Ehm... si... certo...» Il venditore tossì per sciogliere l'imbarazzo. «Se volete seguirmi, firmiamo i documenti e concludiamo l'affare.»

«Ma certo» borbottai di nuovo, senza guardarli, seguendoli poi nell'ufficio.

Rimasi in silenzio mentre Low firmava e pagava, per poi andare a vedere l'utilitaria che aveva scelto.

Era un'auto banalissima e abbastanza vissuta. Il venditore ci consegnò le chiavi e partimmo subito.

«Perché hai lasciato credere che fossimo sposati?» domandai scocciata, senza guardarlo. «Ti sei divertito a mettermi in imbarazzo?»

«Io non gli ho fatto credere niente, ha fatto tutto lui.» Sorrideva ancora. «Però ammetto che è stato divertente.»

«No che non lo è stato! Glielo hai fatto credere, visto che non hai negato. Senza contare il "farmi divertire".» Sbuffai guardando fuori dal finestrino «Tu sei davvero irritante! Comunque non verrò mai a letto con te!»

«Io parlavo di farti divertire con un'auto di lusso, mica con me. Mi piace il fatto che ti piacciano le auto sportive.» Era divertito. «Dovresti prendere le cose con più leggerezza. Essere così rigida e bacchettona non ti aiuterà di certo a cadere.»

«Certo. Che problema c'è? Sono solo in macchina con uno che viene chiamato il mietitore e che caccia i mezzosangue come me.» Sbuffai seccata. «Sicuramente dovrei prendere la cosa con più leggerezza.» Tornai a fissarlo scuotendo il capo. «Tu sarai anche immortale, ma io no. Non ho tutto il tempo che voglio e vorrei scendere all'Inferno in fretta. Non sono un giocattolo per divertirti!»

«Se non trovi il tuo peccato non cadrai mai e divertirti è un buon modo per iniziare a capire.» Guidava tranquillo e rilassato. «Anche se ne dubito fortemente, a lungo andare potresti scoprire che potrei essere proprio io il tuo peccato.» Mi provocò, ghignando con sarcasmo.

Mi irrigidii, fissandolo palesemente con astio. «E cosa vorresti fare, per farmelo capire, di così tanto divertente?» domandai sospirando frustrata, ignorando la sua ultima allusione. «Assurdo che per comprendere il mio peccato debba divertirmi.»

«I paradossi dell'Inferno.» Sorrise lui.

«Beh... Non è ciò che si desidera alla fine? Che sia gola, superbia, lussuria, indivia o altro, è ciò che ci fa piacere che si va a cercare» valutai. «Ma non sempre serve peccare per essere felici.»

Lui, a quelle parole, si incupì di colpo. «Non si può essere felici, Hope. La vera felicità non esiste, per questo esistono i peccati, per darti la breve illusione di poterlo essere.» Tornò ad essere serio e a guardare la strada.

«Ti sbagli. La felicità esiste» dissi con convinzione, accennando un sorriso. «Anche se, rispetto all'eternità, la vita umana è corta, si può essere felici. Così come distrutti dal dolore e dalla sofferenza. Sono due lati della stessa moneta» mormorai con tono basso.

«Sei ancora giovane, ma capirai che ciò a cui tieni, prima o poi, finirai comunque col perderlo; allora ti renderai conto che la felicità non esiste.» Non si stava più divertendo.

Rimasi a guardarlo qualche istante riflettendo sulle sue parole, poi tornai a guadare di fronte a me. «Hai perso qualcuno che amavi in passato?» domandai con tono più gentile, un po' titubante.

«Dovresti approfittarne per riposare, abbiamo ancora molta strada da fare.» Per lui il discorso era chiuso, non era intenzionato a sbottonarsi con me.

«Già» dissi solo, fissandolo, per poi appoggiarmi al sedile in maniera più comoda.

Dopo poco tempo, cullata dal dondolio della macchina, e complice la stanchezza e la notte passata in bianco, mi assopii, crollando dal sonno.

Note delle autrici: 
Ci teniamo a pubblicare questa immagine di Kora fatta da una nostra "fan"! 
Grazie Marianna :P

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