Epilogo - Aprile 1671

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Il giorno si annunciava sereno: niente di meglio per partire alla volta della Marca Stellata. Ottavio si sistemava l'anello al dito indice, osservando attentamente la pietra blu scuro che vi campeggiava, cinta da una corona d'oro. Non era impaziente, non era teso; forse era solo un po' preoccupato per via della fragilità della bambina, ma dopotutto le temperature non erano più quelle invernali e la carrozza l'avrebbe protetta dagli scherzi dell'aria. Galatea sarebbe sopraggiunta di lì a poco, o almeno così gli aveva promesso quando lui aveva lasciato la camera per andare a sovrintendere agli ultimi preparativi. Da lontano giungevano i nitriti dei cavalli, quattro begli esemplari marroni, ben acconciati; c'era ancora tempo per farli scaldare, in vista della lunga cavalcata.

Avrebbero fatto sosta a metà strada, là dove la pianura si insinuava in numerose valli tra i primi colli. La mattina dopo avrebbero ripreso la via, diretti, questa volta, alla loro meta: il palazzo marchionale, nato un secolo prima come semplice casino di caccia e ora nobilitato da nobili possessori. Avrebbero avuto modo di abbellirlo successivamente, poiché la capitale diventava soffocante e la corte sovraffollata; meglio prendere congedo e allontanarsi, se non altro per qualche mese. Galatea, soprattutto, mostrava davvero di averne bisogno.

Ottavio volse gli occhi alla scalinata proprio nel momento in cui sua moglie si affacciava in cima: le sorrise inconsapevolmente, godendo della sua bellezza come di un sogno ad occhi aperti. Ora che avevano ripreso ad amarsi, e che si amavano con sempre crescente passione, la lontananza dei mesi precedenti era quasi trasfigurata dal piacere presente. Anche quella notte si erano nutriti dei reciproci baci, si erano scambiati carezze e abbracci nascosti dalle tende del baldacchino. Il corpo di lui, finalmente risanato dalla ferita alla coscia, si era ricongiunto con quello di lei, tornato snello e prestante a ormai sei mesi dal parto. La scelta di Galatea di allattare la propria figlia faceva sì che la possibilità di una seconda gravidanza si riducesse al minimo e questo li autorizzava a rifarsi della prolungata astinenza cui entrambi avevano fatto fronte con tenace speranza, speranza che era stata infine ripagata oltre le aspettative.

Ludovica lo guardava altrettanto intensamente quanto sua madre. Era in braccio alla balia, che la accudiva quando Galatea era presa in qualche attività o si riposava. Aveva un bel ciuffo di capelli scuri, la cui frangia sbucava dalla cuffietta bianca di seta e pizzo che le copriva la testa. L'abitino, confezionato in lana leggera, la avvolgeva dalle spalle fin sotto i piedi, perché non prendesse freddo per nessun motivo. Le braccine, libere ormai dalla costrizione delle fasce, si muovevano a scatti, seguendo l'eccitazione della sua curiosità: ora stringeva i merletti della cuffietta che le solleticavano le guance, ora accarezzava un lembo del vestitino, ora tastava il corpo della balia per sentirne la vicinanza.

Galatea cominciò a scendere le scale con grazia, seguita dalla serva e dalla bambina. Ludovica, riconoscendo la mamma, lanciò un gridolino e si sporse tutta verso di lei, rischiando di sbilanciare la sua tutrice. La marchesa si volse leggermente, sibilando un lungo: «Shhh» per calmarla; solo quando si trovarono in fondo alla scalinata, poco lontano da Ottavio, tese le braccia per accoglierla in grembo. Ludovica spinse la fronte contro la sua guancia e socchiuse gli occhietti dalla gioia. Un gran sorriso arrotondò ancor di più il suo viso roseo e paffuto, mentre con la manina destra indicava il padre e lo chiamava a sé. Il marchese, vinto dalla dolcezza della vocina che strillava gaiamente per lui, si avvicinò e pose l'indice nella manina ancora aperta. Ludovica strinse la presa e trasse a sé la sua mano, portandola alla boccuccia con un'aria furba e, anzi, beffarda.

«Vivì!» la rimproverò bonariamente la sua mamma, scostando la manina. La piccola, imperterrita, la sfidò nuovamente e nuovamente fu rimproverata. All'abbozzarsi di un'espressione di scontento, Ottavio la ghermì per gioco e la sottrasse a Galatea, facendo ridere e l'una e l'altra. Solleticò la figlioletta sul collo tenendola saldamente sul braccio e, quando la bimba non ebbe più fiato dalle risate, le diede un bacio sulla guancia affondandoci le labbra con gusto. Sua moglie, però, mise fine di netto a qualsiasi coccola con un commento che sapeva un po' di invidia: «Non sarebbe ora di andare?» e con un guizzo veloce si riprese Ludovica, che da parte sua non si trattenne dal ridere ancora per il gioco di furti cui i suoi genitori la sottoponevano.

Ottavio annuì alla richiesta della moglie e le fece segno di seguirlo. Attraverso un corridoio stretto e buio, che costò alla marchesina qualche momento di sbigottimento pauroso, arrivarono in un'anticamera che affacciava sul vialetto di ghiaia dove li attendeva la carrozza. Usciti all'aria aperta, con una brezza sottile a scompigliare i loro capelli, la famigliola compresa di balia si avviò per una breve passeggiata che l'avrebbe condotta alle scuderie, là dove i cocchieri e la scorta li stavano aspettando. Avrebbero viaggiato su una carrozza comoda e spaziosa, sebbene questo significasse tempi più dilatati e ritmo più lento. Non avevano fretta, dopotutto.

I bagagli con abiti, libri e ogni altra loro proprietà erano già stati spediti con carri a destinazione e, verosimilmente, vi erano già arrivati. La servitù sarebbe stata quasi del tutto reclutata tra la popolazione del luogo. Tutto era pronto, non si aspettava che il marchese. Alla carrozza, un certo numero di persone si era radunato per assistere alla partenza: non appena i giovani marchesi comparvero da una curva attorno al palazzo, la piccola folla ebbe un sussulto, due persone si distaccarono e vennero loro incontro. Uno, il duca Antonio, camminava a passo sicuro, come se stesse marciando, impettito e perfettamente a proprio agio: non era certamente lieto di separarsi dal fratello, avrebbe invece preferito avvalersi dei suoi consigli ancora a lungo, ma comprendeva le sue esigenze e gli accordava un periodo di quiete, avendogli però fatto garantire un suo prossimo ritorno. L'altro, Alessandro Ferraris, divenuto in un batter d'occhio uno dei consiglieri più in luce e rinomati del ducato, aveva il volto adombrato dalla malinconia e lo sguardo fisso alla piccola Ludovica, i piedi quasi strascicati, le spalle basse; Galatea non ebbe bisogno di altri indizi per intuire che l'amico fidato non si era ancora arreso alla necessità di vederla andare via.

Nonostante il suo attaccamento si fosse subito connotato dal punto di vista sentimentale, e nonostante lui non avesse perso occasione per sottolinearlo – specie prima del ritorno di Ottavio – nulla di tutto ciò gli aveva guadagnato un affetto che andasse al di là dei limiti concessi a una donna sposata. Era chiaro a tutti che Galatea non corrispondeva in tutto l'amore di Ferraris, ma si fermava a una solida amicizia. Le spiaceva, certo, vedere che il suo rifiuto aveva colpito il nobiluomo più di qualsiasi altra cosa, più ancora dei fatti del 30 settembre passato. Si trattava, probabilmente, del primo rifiuto dopo tanti anni di consensi e questo doveva risultare mal sopportabile per un animo in fondo vanitoso ed egocentrico com'era quello di Ferraris. Ottavio sapeva e non sapeva, ma, in ogni caso, sapeva quanto bastava. Infatti, sebbene fosse debitore della vita all'ex militare, tuttavia gli riservava maniere piuttosto fredde, quando non apertamente scostanti. Si diceva che Ferraris, subito dopo la nascita di Ludovica, avesse incontrato il marchese per concordare qualcosa in merito a Galatea. Le dame, al solo accennarne, arrossivano e ridacchiavano come tante piccole oche. Ottavio doveva essere stato categoricamente contrario a qualsiasi compromesso, forte dei propri diritti di marito; Ferraris, infine, aveva dovuto adattarsi ai confini che gli erano stati imposti.

Se non altro, le gioie dell'età matura sarebbero state colte ai rami di un altro albero, quello della paternità: il frutto più bello e più soddisfacente era quel ragazzino di otto anni che, praticamente subito, si era messo a rincorrerlo per raggiungere con lui un'antica protettrice. Giovannino, il piccolo orfano, ritrovato quasi miracolosamente – o meglio, fortunatamente – chiuso in un baule sotto il letto del principe Ferdinando il pomeriggio stesso della sua morte, era passato al servizio di Ferraris, che da paggetto l'aveva mutato quasi immediatamente in figlio adottivo, con gran giovamento per entrambi: uno, infatti, aveva trovato finalmente una figura autorevole e, a modo suo, affettuosa di riferimento, l'altro, invece, aveva scoperto un tipo di legame più durevole di qualsiasi relazione carnale e più disinteressato di qualsiasi corteggiamento e, oltretutto, impensato prima di allora. Mai si sarebbe visto padre, eppure lo era diventato piuttosto in fretta.

Così come un altro padre, che non si era mai riconosciuto come tale, aveva finalmente conquistato l'affetto del figlio cresciuto inizialmente lontano: era il piccolo Corrado il secondo bambino che, sull'esempio del più grande Giovannino, era sfuggito alla mano della madre e correva dietro al duca, sollevando nuvole di polvere con l'irruenza dei suoi quattro anni. Antonio si volse a controllare la situazione solo quando si fu fermato di fronte ad Ottavio; protese una mano per arrestare la folle corsa del pargolo, quindi lo prese per le braccia e lo sollevò alto. Ludovica, in tutto quel trambusto di risate, non poté che dare il proprio contributo con una serie di gridolini estasiati.

«Buon viaggio, Ottavio – salutò il duca, ricomponendosi dopo l'interruzione giocosa – Porta i miei omaggi al tuo amico abate, che quanto a scaltrezza non dev'essere da meno di te. Abbiamo bisogno di persone sveglie e fedeli nel nostro ducato e nel nostro tempo»

Il marchese lanciò un'occhiata eloquente a Ferraris, che la ricambiò con un cenno, e ribatté: «Ne hai già tanti, di alleati svegli. Fanne buon uso, fratello mio»

Quindi si volse del tutto all'altro uomo, gli tese la mano e gli parlò schiettamente: «La mia riconoscenza per quanto avete fatto non si esaurirà mai. Potrete sempre contare sulla mia fiducia, nonostante gli screzi – precisò, sbirciando nella direzione di Galatea, poi aggiunse, in tono più disteso – Ora è il caso di trovarvi anche una buona moglie, non trovate? Se acconsentirete, mi impegnerò personalmente con l'aiuto della marchesa»

Ferraris si lasciò sfuggire un sorrisetto complice e abbassò lo sguardo per non dare l'impressione di essere un impudente; ringraziò sottovoce e chiese di poter prendere commiato dalla marchesa. Ottavio non ebbe obiezioni e, anzi, accordò loro l'intimità di parlare a tu per tu, avviandosi verso la carrozza insieme alla balia, al duca e ai bambini.

Rimasti soli, fu inizialmente complicato esprimere le emozioni nei modi canonizzati dalle buone maniere. Sorrisi imbarazzati, occhi brillanti e labbra mute: così si potrebbe riassumere il preludio del loro ultimo colloquio prima della partenza.

«Spero davvero che possiate trovare una buona fanciulla che vi ami come io non posso fare, signore» sussurrò all'improvviso Galatea, e il luccichio delle pupille divenne un presagio di pianto. Ferraris si precipitò ad accarezzarle le guance e la rassicurò: «Voi siete nel giusto, sono io che continuo a peccare contro la morale»

La marchesa annuì, stringendo al viso quella mano che in occasioni ben peggiori l'aveva fatta sentire protetta e amata, e replicò: «Vi auguro di trovare la stessa felicità che ho trovato io con Ottavio. Non credo che sia difficile amare un uomo come voi. Farò in modo di trovare una persona che vi renda fortunata come sarà colei che vi sposerà»

Ferraris, troppo commosso per rispondere, le bisbigliò la sua ultima richiesta. Galatea impallidì e balbettò: «Un bacio?» e nel tempo in cui lo disse, se lo lasciò rapire dalle labbra. Lui le diede subito le spalle, per confondere eventuali curiosi. La precedette sul vialetto e si fece da parte per farla montare in carrozza. Ottavio, forse insospettito dal loro comportamento, o forse solo sinceramente geloso, si protese dal proprio posto e baciò a propria volta le labbra di lei, come a rivendicarne una sorta di possesso legittimo. Galatea raccolse Ludovica dalle braccia della balia e se la sistemò in grembo, agitandole davanti al nasino all'insù il suo sonaglio preferito.

La carrozza partì tra i saluti e gli auguri dei presenti. Sfilò tra le aiuole e tra le schiere di giardinieri e altri servi già al lavoro. Fuori dai cancelli principali la gente aspettava di vederli passare: tanti fazzoletti bianchi sventolarono al cielo, portando in alto le preghiere e i desideri di tanti cuori. I marchesi li guardarono con l'animo stretto dalla commozione, mentre il palazzo, dietro di loro, si faceva sempre più lontano, sempre più piccolo.

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