Estate 1661

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Le piaceva l'odore del fieno che riempiva la stalla. Era ciò che le mancava quando giocava con le bambole nella stanza dei giochi a palazzo. Le sue amiche non sapevano nemmeno che odore avesse il fieno. Per lei era l'odore di casa, non perché abitasse in una stalla, ma perché era nella stalla che le piaceva giocare. Ci si sedeva, ci si sdraiava sopra... la paglia era così tanta che avrebbe potuto tranquillamente nuotarci dentro, se solo avesse avuto un'idea di come si nuota. Poteva leggere, poteva ricamare, poteva semplicemente fermarsi a contemplare la natura negli occhi profondi delle mucche o dei cavalli. Le mucche hanno uno sguardo placido e contento, come se non mancasse mai nulla: la loro felicità è la compagnia delle loro simili e il muggire insieme di tanto in tanto. I cavalli invece sono focosi, imprevedibili, e anche il loro sguardo è così. C'era anche un cane nella stalla e aveva gli occhi più devoti che Galatea avesse mai visto.

Francesco aveva lo stesso modo di guardare di un cavallo: non si soffermava per troppo tempo sulla stessa cosa, come se la sua attenzione avesse un tempo prestabilito per qualsiasi oggetto. Dopo quel tempo doveva volgersi a qualcos'altro, o avrebbe cominciato a scalpitare impaziente. Di questo suo padre non si dava pace: impossibile spiegargli qualcosa senza essere interrotto frequentemente dalle domande più diverse e meno corrispondenti all'argomento della lezione. Eppure la mercatura non aspetta i tempi dell'attenzione: la stessa impazienza che Francesco dimostrava nell'apprendere sarebbe potuta costargli cara un giorno. Ma Vincenzo buttava le sue parole quando lo riprendeva, perché anche per le ramanzine Francesco aveva un tempo misurato, dopodiché, qualsiasi cosa si fosse detta, gli sarebbe sfuggita. La nonna diceva che era un fatto d'età immatura, che crescendo avrebbe perso il vizio di volgersi continuamente altrove e sarebbe diventato uno dei ragazzi più svegli.

"Anche tu eri così alla sua età, ma tu non lo ricordi" ripeteva al figlio, che a quel punto alzava le mani in segno di resa e cambiava stanza per non rimuginarci troppo.

Galatea aveva preso dal ramo nobile dellafamiglia. Aveva la pacatezza di modi di sua madre a domare l'insaziabilecuriosità della figlia di mercante che era. Teodora era ancora piccola peroffrirsi a tali speculazioni. Coccolata come si deve, essendo la più piccola,si crogiolava nelle cure della mamma e della nonna. Per lei, Galatea vedeva unfuturo da mucca, ossia un temperamento placido e remissivo, senza particolaridoti intellettuali ma non per questo inferiore a lei o Francesco: le doti dellospirito docile sono tanto rare e preziose quanto il dono di un'intelligenzafuori dal comune. E le voleva bene perché quei grandi occhi scuri ispiravanosimpatia: era impossibile non rispondere alla richiesta infinita di amore chetraspariva da tutti i suoi atteggiamenti. Non riusciva mai a trattenersidall'abbracciarla quando la vedeva, anche di sfuggita. Profumava ancora difasce perché dormiva ancora nella stessa culla in cui l'avevano posta appenanata.    

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