Fine settembre 1670 pt. 3

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

 A tarda notte, Galatea udì un rumore metallico. Lì per lì pensò di esserselo immaginato, con l'irrequietezza che la agitava dall'incontro con Ferdinando senza darle un attimo di requie. Tese le orecchie e rimase in attesa trattenendo anche il respiro, pur di avere assoluto silenzio intorno a sé. Una delle due serve rimaste per la notte russava leggermente, guastandole le condizioni per un ascolto attento e infallibile. Ciononostante, quando il rumore metallico si ripeté, lo percepì bene, troppo bene per potersi illudere di aver sognato ad occhi aperti. Si alzò seduta, tastando le lenzuola alla ricerca di qualcosa di indefinito che infatti non trovò: l'unico aiuto sarebbe potuto arrivare dalle due donne che le dormivano poco discoste, su un giaciglio quasi improvvisato; ma se si fosse fatta scoprire sveglia dall'intruso, forse le cose sarebbero addirittura volte al peggio. Sapeva che Ferdinando possedeva un grimaldello e il suo primo timore fu che si trattasse di lui, tornato a ricordarle l'impegno preso per assicurarsi che non ci ripensasse. Avrebbe potuto tentare la fuga, se solo la sua pancia non fosse stata così ingombrante e scomoda. Gemendo di fatica riuscì a inginocchiarsi in mezzo al materasso; il rumore metallico proveniva dalla serratura e si faceva sempre più forte e ravvicinato. Ringraziò la precauzione, insegnatale da Ferraris, di lasciare la chiave di sbieco, ma non fece in tempo a rallegrarsene troppo, perché un tintinnio sinistro le rivelò che proprio quella chiave ormai non era più né di sbieco né nella serratura. Dopo due scatti rapidi e netti, la maniglia si abbassò e la porta si socchiuse.

Era un uomo; su questo non aveva alcun dubbio. Era vestito di scuro, ma non era un miserabile e tantomeno un malintenzionato: il suo abito, per quanto l'oscurità lasciava intravedere, era quello di un rispettabile borghese di città che non voglia ostentare uno stato agiato, benché vi si ritrovi. La foggia era tipica del ducato, per cui non si trattava di un forestiero, e i colori discreti lasciavano sospettare che fosse abituato a simili sotterfugi e non lasciasse nulla al caso. Riaccostò l'uscio e, dopo un'occhiata tutt'attorno, si diresse spedito verso il letto, ma, grazie alle tende che chiudevano lo spazio privato sotto il baldacchino, non si accorse del fatto che lei fosse in ginocchio e vigile. Galatea sbirciava dalla fenditura centrale per capire che strada avrebbe preso lo sconosciuto: se si fosse portato sulla sinistra, avrebbe provato a sgattaiolare via scendendo dal lato alla propria destra, e viceversa. Tuttavia, qualcosa la trattenne ad osservare di più e presto l'euforia divenne inarrestabile. Aspettò che fosse lui a scostare i tendaggi per coglierlo di sorpresa con un sorriso raggiante.

Ferraris afferrò i lembi delle due tende damascate e li separò dal centro con un guizzo, soffocando a stento un'esclamazione liberatoria.

«Shhht!» lo ammonì lei, aprendo subito le braccia. Lui, sfilandosi a malapena il tabarro e togliendosi le scarpe, sorrise, impaziente di raggiungerla. Quando si sdraiò sul materasso a pancia in su, esausto, Galatea gli si distese accanto con un fare fin troppo accondiscendente rispetto al solito. Ferraris la guardò, tentato di baciarla sulle labbra, ma non avrebbe mai potuto farlo.

«Come sta il bambino?» domandò ansimando. Contro tutte le sue aspettative, la luce dirompente negli occhi di lei si eclissò, e la sua voce rotta gli trasmise la paura con un brivido sottilissimo: «Già sapete...?»

Si trasse seduto, sostenendosi sul braccio destro: «Dipende. Cosa dovrei sapere?»

Il suo tono si era fatto duro e spigoloso, come se la sua gola fosse stata di ferro. Galatea dubitò di riuscire a parlare ancora, invece poté dire: «Corradino è arrivato e sta bene; il mio bambino scalpita come sempre e vuole nascere... Ma...»

«Ma?» la imboccò lui, prendendole il viso tra le mani e indagando quelle pupille spente.

«Giovannino...»

Gli raccontò come meglio poté del suo dialogo con il principe, senza nascondergli più la natura del loro rapporto e del loro dono: lo vide farsi incredulo e timoroso per la prima volta da che l'aveva conosciuto, percepì la pelle d'oca sul suo braccio quando lo sfiorò inavvertitamente, e soffrì enormemente il silenzio che inghiottì le sue ultime frasi, proferite di fretta e senza connessione: «Alle quattro nel giardinetto delle rose. Il trenta, di pomeriggio, nel giardino»

Dopo una pausa che parve lunghissima, Ferraris si schiarì la voce e sussurrò: «Quanti credete abbiano il vostro... dono?»

«Non ne ho la minima idea – rispose, parlando veloce – So solo che ce l'ho io e che ce l'ha lui»

«Avete mai pensato che rischiate di passare per una strega?» continuò lui, celando le proprie espressioni di straniamento nella semioscurità. Galatea, però, coglieva nel suo modo di parlare una paura velata di superstizione.

«Anch'io ho temuto di esserlo, ma vi giuro di non aver mai inteso usare questo dono per nuocere» si giustificò, rabbrividendo.

Dopo un'altra, brevissima pausa, Ferraris le confidò: «Non avete pensato che potrebbe denunciarvi al Sant'Uffizio, quando non avrà più bisogno di voi?»

Galatea si ritrovò a propria volta stranita: «No, non ci ho mai pensato – ammise – Cosa mi consigliate di fare?»

Ferraris parve riprendere un po' del proprio autocontrollo e rispose: «Non andate all'appuntamento; al vostro posto ci andrò io e sistemerò quel malvagio una volta per tutte»

«E Giovannino?»

«Se è nel suo appartamento, sarà facile trovarlo»

«E se non fosse più lì? Se il principe intendesse servirsi di lui per ricattarci? Non lascerò che gli accada qualcosa!»

«Nemmeno io – concordò, cambiando d'un tratto intenzioni – Ma se volete davvero presentarvi, quel giorno, sappiate che dovrò avvertire lui»

Galatea gli afferrò il braccio: «No! È rischioso! Potrei rovinare tutto, mandare all'aria mesi di lavoro. Non voglio che lui abbia parte in questo»

«Siete coraggiosa e vi ammiro; so anche che siete furba, perciò potrei concedervi di agire da sola. Io non dubito di voi, ma temo che dilungarsi ancora molto non faccia altro che irrobustire le forse dell'avversario a nostro sfavore. Pensate cosa potrebbe succedere se quell'uomo si impossessasse davvero della morte!»

«Non accadrà, ve lo assicuro, ma anche se dovesse accadere gli ho fatto giurare che non avrebbe usato questo potere per nuocere a me e ai miei cari»

Ferraris le dedicò un'occhiata scettica e controbatté: «I giuramenti non significano nulla, credetemi»

«Non per me!» obiettò.

«E per lui?»

Abbassò gli occhi, ammutolendo per la stizza. Ferraris non si mosse, concentrato ad architettare uno stratagemma. Di tanto in tanto sussurrava una o due parole, oppure mugolava scontento. In un paio di momenti, in cui evidentemente si sentiva mancare le idee, cambiava posizione, ora distendendosi su un fianco, ora coricandosi di schiena. Galatea, ancora turbata dalla prospettiva nera che lui le aveva palesato dietro i falsi giuramenti di Ferdinando, si astenne dal dargli aiuto e dal confortarlo per timore di arrecargli fastidio. Solo quando lui si fu rimesso seduto a gambe incrociate sul materasso trovò il coraggio di parlargli di nuovo: «Avete un piano?»

Ferraris sospirò afflitto e negò: «Vorrei dirvi di sì, ma mentirei: questa storia è troppo strana»

Anche Galatea sospirò, confessando: «Non avrei voluto coinvolgervi»

«Figuratevi! Mi ci sarei gettato da solo – rispose ironico – Sono proprio curioso di assistere a ciò che capiterà»

«Ma quindi intendete ancora seguirmi lì!»

Le prese la mano e, avvicinatala alle labbra, le baciò il dorso mentre le accarezzava le dita: «Certo che sì» sussurrò, ammiccante. Lei rise, una risata imbarazzata, e lo rimproverò bonariamente: «Dovreste smettere questi modi da corteggiatore. Il tempo sta scadendo, non trovate?»

E Ferraris, dissimulando le proprie reali emozioni, la provocò di nuovo: «Finché c'è tempo...» e, accostandosi al suo viso, le baciò la guancia.

«Siate prudente... Dovrete esserlo entrambi, ma temo la vostra audacia...» sospirò.

«Volete che ve ne dia una prova?» continuò lui sui toni di prima, per distrarla da pensieri dolorosi.

Galatea accettò la sfida e lo allontanò da sé giocosamente, bisbigliando: «Voi siete il peggiore dei due: nemmeno un briciolo di pudore vi trattiene dall'assediare una donna che non è vostra»

Ferraris la raggiunse per un altro bacio sul collo: «Alle vostre dita c'è un solo anello, mi pare: il mio»

«Qualcuno ne avrà a male con voi» lo avvertì, concedendosi riflessioni più piacevoli. Poi, d'un tratto, ecco tornare quella stretta al cuore, quella sensazione di pericolo incombente, quel presentimento di prossima disgrazia; approfittando della vicinanza di lui, Galatea gli mise le braccia al collo e si lasciò scivolare contro il suo corpo, cercando di riempire il vuoto della paura con la certezza della sua presenza e della sua buona salute. Lui la premette contro di sé, non del tutto innocentemente, e si tolse lo sfizio di un bacio rubato alle sue labbra.

«Smettetela! – frignò, nascondendo il viso – Non burlatevi di me»

Si dedicò, allora, ad accarezzarle i capelli; lo faceva con movimentiben distesi e tranquilli, trattenendo i fremiti d'amore che l'avrebbero spintoa ben altre attenzioni. Ma lei aveva ragione, non era più il tempo dei giochi.    

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro