Fine settembre 1670 pt. 5

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Angolo Autrice

Buongiorno a tutti! Eccoci qui, ma prima di iniziare, una nota introduttiva: questo è il capitolo più lungo di tutta l'opera, ma merita di essere letto in una volta sola. Scegliete un momento in cui non possiate essere disturbati o interrotti (è un consiglio!).

Mi aspetto tanti commenti, non deludetemi ;-)



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Un gemito soffocato sorse alle spalle di Fortuna, senza per questo che il suo ghigno malefico si scalfisse. Sembrava la statua di un demone per la piega che il suo sguardo aveva assunto, ma Galatea era troppo coinvolta per farsi impressionare: ben altro effetto le aveva fatto quel gemito, che aveva trafitto il suo cuore della fitta peggiore, il senso di colpa. Affrettandosi, per quanto la sua condizione le permetteva, verso il luogo della caduta, la duchessina bisbigliava preghiere per scongiurare scenari tremendi. Fortuna non si mosse finché lei non fu a meno di un passo di distanza e, facendosi di lato, svelò quanto era accaduto: Ferraris si era gettato, pronto ad atterrare sul principe distratto; ma il cattivo tempismo di Galatea aveva fatto sì che Ferdinando avesse l'occasione di cogliere di sfuggita un'ombra sopra di sé. Con un piccolo balzo si era posto al sicuro e Ferraris, rovinando imprevedibilmente, non era riuscito a colpirlo come sperato; era riuscito, però, ad afferrare un lembo del suo abito e a trascinarlo con sé al suolo.

Entrambi gli uomini si muovevano, scuotendosi di dosso la polvere; Ferraris, dei due, era il più dolorante, poiché lamentava una fitta al polso sinistro. Ferdinando, da parte sua, si massaggiava la schiena con la faccia paonazza per la rabbia.

«Avete attentato alla mia vita! – sbraitò contro colui che era stato suo alleato – Come avete potuto osare tanto?!»

Trattosi in piedi, il principe non perse tempo, mettendo subito mano all'elsa dello spadino che portava alla cintura. La lama del fioretto brillò alla luce del sole sotto lo sguardo soddisfatto di Fortuna; Galatea, invece, inorridì, comprendendo che Ferraris non avrebbe mai potuto schivare un eventuale fendente, data la sua difficoltà a rialzarsi in fretta. Egli, infatti, più che tentare la fuga, si trascinava con fatica sulla ghiaia senza mai volgere le spalle all'avversario; così facendo, però, gli offriva apertamente il petto inerme e un solo colpo ben sferrato avrebbe potuto costargli la vita.

«Ebbene? Hai intenzione di vederlo morire?» domandò Fortuna con una voce nuovamente squillante. Galatea si volse a lei e la trovò splendida: forse non tutto era perduto.

«Dimmi cosa devo fare, avanti!» la incalzò, gettando occhiate allarmate ai due contendenti per tenere sotto controllo la situazione.

Fortuna sorrise sbalordita: «Io?! Vorrai scherzare, figlia di mercante»

Galatea urlò di paura, coprendosi la bocca con entrambe le mani: Ferdinando aveva minacciato Ferraris con un rovescio che gli aveva appena graffiato la spalla. Benché la ferita fosse solo superficiale, il sangue ne fluì copiosamente, riempiendo di paura il cuore della spettatrice disarmata.

«Ti prego! – gridò in preda allo strazio – Indicami cosa devo fare» e, parlando, cominciò a guardarsi intorno.

«Inutile affannarsi così – la schernì – Tanto morirà, perché sei sempre una piccola indecisa»

«Questo non è vero!» obiettò fuori di sé.

«Dimostralo, allora – disse con aria di sfida – Cogli l'occasione, Galatea...»

Non ci pensò due volte poiché la rabbia, lo sconforto e la ribellione le tolsero la lucidità. Afferrò i capelli di Fortuna e li strattonò così forte da pensare di poterglieli strappare tutti in una volta. Gridò, la ragazzina viziata, pianse e rise insieme, contenta e sofferente, appagata più che arrabbiata. Svanì tra le sue mani, lasciandole le dita contratte e le unghie conficcate nella carne tenera dei palmi; per un momento, lo sconforto prese il sopravvento sulle altre emozioni e le fece cadere le braccia lungo i fianchi, come se fosse impotente di fronte alla forza degli altri. Poi i suoi occhi videro quella pietra: era una pietra divelta dal piccolo recinto di un'aiuola, proprio ai suoi piedi, alla portata e pericolosa. La raccolse, la soppesò, e con quel contatto freddo tornò fredda anche la sua mente, lucida e disposta a tutto, anche a improvvisare. Si volse verso il duello che, impari, assisteva al progressivo ferimento di Ferraris: ora sanguinava anche da una gamba, sempre per via di una ferita superficiale. La lama dello spadino di Ferdinando gocciolava ancora del rosso sangue dell'altro e la sua faccia allucinata prometteva un infierire sadico e irrazionale.

Galatea caricò il tiro e, senza prendere la mira, lanciò la pietra nella loro direzione: fortuna volle che colpisse il principe alla spalla destra e, un po' per la sorpresa, un po' per la percossa improvvisa, questi allentò la presa e si vide scivolare il fioretto dalla mano. Ferraris non si lasciò sfuggire l'opportunità e, afferrata una manciata di polvere, gliela scagliò violentemente contro il viso allorquando Ferdinando si chinò per recuperare l'arma. Non indugiò molto ad assicurarsi di averlo momentaneamente accecato e si accontentò di sentirlo imprecare in malo modo contro i suoi genitori; pensò piuttosto a volgersi a pancia in giù, per sollevarsi più facilmente in piedi. Issatosi sulle ginocchia, valutò se far peso o meno sul polso dolorante e capì immediatamente che non l'avrebbe sostenuto nemmeno per il tempo necessario a rialzarsi. Si gettò uno sguardo alle spalle appoggiandosi sui gomiti: Ferdinando si strofinava una manica contro gli occhi e, di tanto in tanto, scuoteva la testa come un toro aizzato dai suoi macellai. Galatea era più indietro, pallida ma cocciuta, impegnata in una guerra contro la paura. Avrebbe voluto agire, ma i timori erano troppo numerosi per essere accantonati.

«Rimanete dove siete!» le urlò, facendosi forza per alzarsi definitivamente. Una volta in piedi avrebbe estratto il proprio spadino e si sarebbe fatto valere. Era genuflesso, in procinto di darsi l'ultima spinta, quando Ferdinando gli piombò addosso, immobilizzandogli le braccia dietro la schiena: incapace di vedere bene per via della sabbia che aveva ancora negli occhi, aveva preferito usare la forza bruta invece della spada. Ferraris non si arrese, sferrò anzi una gomitata al suo costato, spezzandogli il respiro. Libero, scivolò via barcollando, andando a cercare sostegno presso un alberello ornamentale. La destra cingeva già l'elsa, ma qualcosa lo tratteneva dall'estrarre lo spadino: Ferdinando era in evidente impaccio, gli occhi gli bruciavano insopportabilmente, il petto gli faceva male. Guardò Galatea per decidere il da farsi. La vide atterrita, dubbiosa quanto lui: forse ucciderlo non sarebbe stata la migliore delle idee, non allora.

«Dov'è il bambino?» lo interrogò, rompendo all'improvviso il silenzio spietato della tregua. Ferdinando, senza cessare di strofinarsi gli occhi, ringhiò inferocito. Ferraris non si fece spaventare e ripeté: «Dov'è il bambino?!»

Lo scivolio della lama placò i versi animaleschi del principe, che levò il viso dalla manica mostrando le iridi castane circonfuse da un alone rosso acceso.

«Credete che sia disposto a dirvelo?» ribatté beffardo; a quel punto fu Galatea ad intervenire: «Lo farete, o mancherete l'appuntamento»

«Cosa dite, stupida ingenua?» la aggredì quello, rassomigliando un cane che abbaia esibendo i denti aguzzi. Nemmeno la duchessina, però, si fece trovare sensibile a quella vista e replicò a voce chiara e sicura: «Fortuna me l'ha spiegato: possibile che non abbiate capito anche voi? È per il bambino che la Morte sta per venire»

Parlava spinta dalla necessità di distrarlo, mettendo in ogni parola, in ogni gesto ed espressione la giusta dose di credibilità. Non avrebbe permesso che Ferraris lo uccidesse prima di avergli carpito quell'informazione essenziale, ma non avrebbe dovuto nemmeno farsi riconoscere per una bugiarda.

Ferdinando parve averla smascherata quando le rinfacciò: «Era in ottima salute quando l'ho lasciato e tale lo ritroverò. Ora gettate la spada, Ferraris, e consegnatevi al vostro destino di traditore» minacciò infine.

«No – obiettò Galatea battendo il piede a terra – Il bambino sta per morire, vi dico!»

«Che muoia, allora. Se Fortuna mi ha indicato di venire qui, vorrà dire che la Morte, oggi, sarà piuttosto impegnata. Di certo, tra meno di un istante quest'uomo ragguardevole sarà pasto del mostro cieco» ribatté, puntando il dito contro Ferraris, che deglutì con un sussulto.

Galatea, prendendo un respiro, volse le spalle, diretta al palazzo. Ferdinando strabuzzò gli occhi irritatissimi dietro di lei, infuriandosi per una tale provocazione: «Non difendete il vostro fidanzato?!» la rimproverò, riuscendo a recuperare la propria spada; Ferraris, sempre più confuso, tuttavia non desistette dalla posizione di difesa, pronto a reagire a qualsiasi attacco. Galatea, per conto suo, camminava come se nulla fosse, tornando sui propri passi. Solo quando ebbe raggiunto la meta, una panchina di pietra accerchiata di cespi di rose, si fermò e sedette. Asciugandosi la fronte con il dorso della mano, prima mostrò di ignorare il principe, quindi gli rispose seccamente: «Non avanzerò nemmeno una parola a vostro vantaggio, quando arriverà la Morte. Il patto era che non avreste nuociuto alla mia famiglia e, be', voi l'avete già fatto in molti modi. A costo di consegnarmi personalmente a lei, io non spenderò per voi il minimo gesto»

Ferdinando avvampò ancora di più, stringendo forte i pugni e i denti. Gli occhi rossi contribuivano a dargli un'espressione ferina, spaventosa, ma Galatea sostenne il suo sguardo infuocato con un atteggiamento di gelida ostinazione. Impettita, orgogliosa e scaltra, era decisa a imporsi come vero arbitro della vicenda, superiore a tutto e tutti, e come unica risolutrice: erano lì per lei, uno per proteggerla, uno per usarla; ma sarebbe stata lei a stabilire le condizioni. Ferraris ansimava di fatica e dolore, eppure non distoglieva la propria attenzione da lei, come se fosse ipnotizzato; Ferdinando, parimenti, la guardava fissa per metterle soggezione e costringerla alla resa.

«Voi farete ciò che dico io!» tuonò, la voce resa gracchiante dalla foga rabbiosa. Galatea non si mosse, continuando a sfidarlo: «Io farò ciò che riterrò giusto e voi non potrete costringermi a cambiare idea»

«Se voi non obbedirete a me, il vostro paggetto farà una brutta fine!» minacciò.

«Cosa dovrebbe importarmi? – replicò, simulando il pianto – Tanto, quando tornerete, lo troverete già morto. Perdiamo tempo qui e forse la Morte l'ha già raggiunto: Fortuna vi ha ingannato, signore»

Sperava di essere stata convincente. In effetti, la sua espressione era cambiata: ora sembrava tentennante, forse perché il dubbio cominciava a insinuarsi nella sua mente. I suoi pugni non erano più così chiusi e tutto il corpo appariva meno teso alla lotta e pervaso invece da un terribile dubbio. Dopo un solo istante di paralisi, il principe si riscosse violentemente, venendole incontro a larghe falcate. Ferraris gli corse dietro incespicando sulla gamba ferita, mentre Galatea attese immobile che la raggiungesse.

«Ora verrete con me – sbraitò Ferdinando, brancandola per il braccio e costringendola ad alzarsi nonostante la sua resistenza – E sarà meglio per voi che abbiate detto la verità!»

Un suono leggero e ritmico cominciò a rimbombare lontano, provenendo dall'interno del palazzo. Era un suono di passi irregolari cui si mescolava un tonfo più netto e puntuale, come di un bastone da passeggio. Ferdinando fu il primo a sussultare, consapevole che, se qualcuno li avesse trovati in quella situazione, certamente avrebbe fatto domande e sarebbe diventato un testimone scomodo.

«Nessuno osi fare il minimo rumore – minacciò, tenendo d'occhio soprattutto Ferraris – O in questo giardino, presto, avverrà una strage»

Forse, pensava, si trattava solo di un cortigiano di passaggio per il corridoio: se nulla avesse attratto la sua attenzione, certamente non sarebbe uscito a curiosare dove non avrebbe dovuto. Da dove si trovavano, inoltre, era possibile vedere la porticina, ma nessuno avrebbe potuto scorgerli da dentro. Tacquero tutti, trattenendo perfino il respiro, ma il suono si fece sempre più forte, per poi arrestarsi all'improvviso. Galatea percepì un brivido nella stretta di Ferdinando, che ancora premeva attorno al suo braccio.

La maniglia girò lentamente e la porta si socchiuse; sul vetro spesso si disegnò l'ombra scura di un uomo alto con una parrucca nera molto folta. Il principe, pressato dalla situazione, sbuffò e fece risedere la duchessina sulla panchina, ingiungendo poi a Ferraris di allontanarsi e di nascondere la spada. Cercò di ravviarsi i capelli radi, dato che la parrucca era rimasta a terra troppo distante, e per di più sgualcita.

La porta si richiuse e lo sconosciuto volse leggermente il viso nella loro direzione: solo gli occhi risaltavano tra i riccioli neri. In un primo momento, l'intruso osservò attentamente i tre, studiando i loro volti e gli abiti sporchi e strappati. Quindi decise di girarsi del tutto verso di loro e di scendere gli scalini per raggiungerli. Nel farlo confermò i loro sospetti: zoppicava e, per questo, si serviva di un bastone da passeggio.

«Chi siete? Sappiate che avete interrotto un colloquio privato tra gentiluomini» lo riprese Ferdinando con fierezza. L'altro non rispose e continuò ad avanzare a testa china. Il principe, storcendo il naso, rincarò: «Andatevene o ve ne pentirete amaramente»

L'intruso si arrestò, i capelli lunghi sulle spalle gli lambivano le guance, confondendo i suoi lineamenti, e gli cadevano un poco sugli occhi, annacquando il suo sguardo indagatore.

«Je suis le comte Charles de Revay-Nance – rispose rialzandosi ritto – Vous ne me reconnaissez pas, mon oncle?»

Con la mano destra afferrò l'attaccatura della parrucca al centro della fronte e se la sfilò con un gesto plateale, quindi con il dorso rimosse il rossetto e il velo di trucco dalle guance.

Ferdinando impallidì di colpo, indietreggiando senza accorgersene; si premette una mano sul cuore, sentendo il respiro venir meno e gli occhi strabuzzare fuori dalle orbite, mentre la gola gli diventava secca e tutto il corpo cominciava a tremare come in preda alle convulsioni. Istintivamente cercò l'elsa dello spadino, ma Ferraris, avendolo raggiunto da dietro, glielo sottrasse, gettandolo lontano. Stupefatto, il principe prese a guardarsi intorno istupidito, reso folle dalla sorpresa di ritrovarsi di fronte una persona data molto tempo per morta.

Ottavio mosse due passi avanti, gonfiando il petto di orgoglio e di rivalsa. Brandendo il manico del bastone, ne rivelò il trabocchetto estraendo uno spadino lungo e affilato che puntò immediatamente contro lo zio. Ma a quel punto Galatea si alzò in piedi e gli abbassò il braccio, sussurrando: «Non ce n'è bisogno, sta morendo...»

La Morte sarebbe dovuta arrivare, quel giorno, per qualcuno. Giustamente, quando Ferdinando aveva domandato a Fortuna quando l'avrebbe incontrata, lei, ancora una volta, gli aveva detto la verità: il 30 settembre, ventitré minuti dopo le quattro. Avrebbe incontrato la propria morte, come aveva chiesto. La donna ammantata di nero avanzava da un angolo del giardino e il principe, così scosso, non si era ancora voltato da quella parte. Ignaro di cosa lo aspettasse, arrancava prendendo respiri sempre più faticosi, mentre i palpiti del suo cuore di facevano sempre più forti e aritmici. Ad un tratto, divenuto troppo debole, si accasciò sulle ginocchia ai piedi del nipote, che lo guardò con disprezzo e, contemporaneamente, con brama di ferirlo mortalmente.

«Come fai ad esserne sicura? Io preferirei togliermi ogni dubbio!» affermò implacabile, poggiando la punta della lama alla gola dello zio.

«Non macchiarti di un crimine tanto grave. So che sei adirato, so che tante passioni ti spingono a questo... Ma ascoltami, Ottavio: oggi lui morirà – ribadì Galatea e, voltatasi a Ferraris, gli accennò di spostarsi indicando – La vedo, è qui»

Ferraris avvertì un brivido lungo la nuca e cercò di seguire lo sguardo di lei per capire cosa stesse avvenendo. La Morte si avvicinò con il suo passo solenne, silenziosa come sempre. Solo all'ultimo Ferdinando poté vederla: provò ad urlare, atterrito, e balbettò: «No! No!»

Ma la Morte, ancora una volta, mostrò di non tenerlo in minima considerazione: allungò il braccio, tese l'indice e, nonostante lui si sottraesse, lo sfiorò al centro del petto. Dopo l'ultimo rantolo, il principe stramazzò al suolo, gli occhi rossi aperti e storti, un filo di sangue da una narice.

Galatea si trovò stretta tra le braccia di Ottavio, mentre il duca Antonio compariva al loro fianco con una poderosa scorta armata. Tutto era finito. Il traditore era morto.

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