Settembre 1670 pt. 2

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Ferdinando, minaccioso, puntò l'indice contro il volto di Ferraris, che fu costretto a indietreggiare.

«Voi – ringhiò – Non so cosa abbiate in mente di fare, ma per stanotte dovrete mettere da parte la vostra lussuria e cedere il passo a me»

Ferraris, intuendo di essere stato scambiato per un amante che si voglia infiltrare di nascosto nella camera dell'amata, e non per il suo custode, colse al volo l'occasione per sfoderare le sue doti da spia per carpirgli informazioni: «Cedere il passo? Ricordate che si tratta della mia fidanzata, oltreché della vedova di vostro nipote»

«Non vi facevo così meschino – fu la replica – Non è mia intenzione macchiare l'onore della fanciulla. Ella mi serve per altro, per qualcosa che non vi riguarda»

Il principe si diresse verso la camera, raccogliendo il grimaldello lungo la strada.

«Come sarebbe a dire che "vi serve"?» incalzò Ferraris, prendendolo per un braccio. Ferdinando, con uno strattone, si liberò dalla sua presa e ribatté, sempre più innervosito: «Non vi riguarda, ho detto – poi, dopo aver infilato il grimaldello nella serratura, aggiunse – Il desiderio deve avervi fuso il cervello: avete avuto la vostra opportunità a palazzo De Spini e, mi spiace per voi, l'avete persa. Non contento, ve la volete addirittura sposare! Non avrei mai creduto che vi sareste asservito a simili vincoli pur di soddisfare i vostri appetiti»

Mentre parlava, con il grimaldello tentava invano di far scattare la serratura. Dopo due fallimenti, il principe estrasse lo strumento e brontolò tra sé: «La chiave è incastrata, maledizione!»

«Se avessi saputo che quella serva era in realtà la duchessina non avrei neanche osato fantasticare su di lei» si giustificò Ferraris, per distrarre l'altro e avere il tempo di pensare a come allontanarlo.

«Colpa mia! – sbottò Ferdinando, volgendosi a lui – Avrei dovuto essere più chiaro con Isabella, invece lei, a quanto mi è stato riferito, ha impedito alla fanciulla di venire da voi. È stato un errore, non credete? In ogni caso non avete che da portare pazienza e tra qualche mese lei sarà vostra. Io, invece, ho l'assoluta necessità di portarla con me stanotte!»

Ferraris negò: «Impossibile nelle sue condizioni! Si affatica con poco e di notte ha bisogno di riposare»

«Ricordate quella carica di ambasciatore che vi avevo promesso? Ecco, scordatevela qualora non voleste aiutarmi. Vi ricordo che avete ucciso per quella carica, e avete ucciso proprio il marito della donna che dorme nell'altra stanza. Cosa volete fare, dunque? Rifiutate la carica per una femmina come potrebbero essercene molte altre?» lo provocò, sapendo di toccare un argomento delicato.

Il nobiluomo chinò la testa pensieroso, mordendosi le labbra, dando l'impressione di essere stato colpito nel profondo degli interessi personali. Uno sguardo alla camera, nido desiderato, e un altro a Ferdinando, e la scelta venne confermata.

«Lasciate fare a me» disse soltanto, avviandosi verso la porta chiusa a chiave. Bussò con due colpi energici e incrociò le braccia sul petto. Ferdinando si confuse nella semioscurità del salottino e rimase a guardare. Venne ad aprire una delle due serve, il viso assonnato e la divisa stropicciata; quando riconobbe Ferraris oltre la soglia, trasalì e, d'istinto, corse a svegliare la padrona. Lui entrò, socchiudendo la porta alle proprie spalle, e per qualche momento sembrò non accadere niente. Di tanto in tanto un mormorio concitato giungeva alle orecchie del principe, troppo flebile però per permettere di comprendere ogni parola.

Poi, senza nessun segno premonitore, la porta si spalancò di nuovo e la luce di una candela inondò il salotto, tradendo la presenza dell'ospite indesiderato. Galatea, stretta al braccio di Ferraris che la sorreggeva, aveva due occhi grandi di stanchezza, lievemente velati di sonno e timore, quando apparve sulla soglia. Indossava una veste da camera di lana pesante, legata sotto il seno da un nastro, e ai piedi un paio di ciabatte foderate di pelliccia. Ferraris le fece coraggio con una carezza e, insieme, si avviarono incontro al principe che, di contro, li aspettava impettito e arrogante come al solito.

«Cosa volete da me a quest'ora della notte?» sibilò Galatea livida in volto.

Ferdinando la osservò con alterigia: «Se avete saputo le ultime notizie, credo possiate immaginarlo da sola»

«Si era detto non prima del parto» gli rinfacciò.

«Un'occasione del genere va sfruttata»

Ferraris la sentì rabbrividire e perciò la strinse a sé con più vigore, ma lei gli parve una bambola inanimata.

«Non c'è modo di farvi cambiare idea?» bisbigliò rassegnata.

«Temo di no» fu la secca risposta del principe. Galatea si volse a cercare il viso di Ferraris, affinché le infondesse la sicurezza che le mancava.

«Verrò anch'io, dovunque vogliate portarla – disse lui a quel punto – Se non potrò venire io, allora non verrà nemmeno lei. La decisione, come sapete, spetta a me»

Il principe fece un'espressione di indifferenza e si voltò per aprire la strada; i due fidanzati lo seguirono di malavoglia, lei con riottosità manifesta, lui con una certa diffidenza. Lungo il corridoio incontrarono le guardie di ronda che offrirono loro la scorta, ma Ferdinando declinò e continuò a camminare a ritmo sostenuto, costringendo gli altri due a rincorrerlo. Nonostante fosse molto strano trovare tre personaggi del loro rango a zonzo per il palazzo a quell'ora della notte, nessuno osò chiedere spiegazioni o vietare la prosecuzione. I soldati avevano prima di tutto il dovere di obbedire ai superiori e Ferdinando, in qualità di zio del duca, godeva di una certa libertà di movimento; Ferraris, invece, godeva di una fama ineguagliabile nelle caserme e qualsiasi arruolato gli avrebbe mostrato la massima ammirazione. Galatea, avvolta nella sua veste calda, non passava inosservata per l'andatura tipica delle donne incinte di molti mesi, ma, anche per lei, nessuno ebbe da obiettare: la presenza di due nobiluomini quali erano il principe e l'ex militare rassicurava circa le intenzioni e lo scopo di quello spostamento improvviso.

Camminarono per qualche minuto, soli per la maggior parte del tempo, sempre zitti, come se anche respirare fosse un rischio. Ferdinando non mostrava incertezza di fronte ai bivi e sapeva orientarsi tra corridoi molto simili, mentre Ferraris, troppo coinvolto emotivamente dalla vicinanza di Galatea, non faceva caso al tragitto. D'un tratto il principe si arrestò e bussò a una porta per nulla diversa dalle altre.

«Dove siamo?» sussurrò Ferraris, parlando tra sé. Non si aspettava una risposta, ma Galatea gliela diede ugualmente: «Dal generale» disse in un soffio appena comprensibile. Lui sbigottì e si rivolse al principe senza preoccuparsi di approfondire come lei sapesse con tanta sicurezza dove si trovassero: «Portate una donna incinta al capezzale di una moribonda?!»

La porta si aprì in quel momento e Ferdinando scomparve all'interno: «Vive ancora?» lo sentirono domandare, e una voce rispose: «Sì, ma le manca poco»

Il principe si affacciò nuovamente sul corridoio, insistendo perché lo seguissero. Non aveva intenzione di spiegare nulla, considerandolo una perdita di tempo. Si fece condurre fino alla soglia della camera da letto dal servo che gli aveva aperto: essendo notte fonda, erano veramente pochi coloro che si erano trattenuti presso la donna morente. Ferraris, sempre più a disagio, si trattenne nell'anticamera, rifiutandosi di avvicinarsi di un solo passo; e Galatea, senza di lui, non sarebbe andata da nessuna parte. La abbracciò forte, lisciandole i capelli sulla schiena, avvertendo con insolito piacere il suo bisogno di rassicurazione. Non aveva timore, né eccessivo pudore, ad accarezzarla lungo le spalle, i fianchi, o sul collo. Una volta o due si permise di baciarle la fronte, ma ad un certo punto lei nascose il viso contro il suo petto, impedendogli qualsiasi coccola, eccetto le carezze.

«Venite – ingiunse loro Ferdinando dopo un momento – Sono tutti usciti, saremo soli»

«Giù quelle mani – ammonì Ferraris, sottraendogli Galatea – Noi non ci sposteremo da qui»

Il principe si scosse per la stizza e ripeté l'ordine, concludendo: «Se voi preferite rimanere fuori, fate pure. Lei viene dentro con me»

Ferraris era pronto a replicare con parole di fuoco, ma la duchessina gli scivolò dalle braccia e, prendendolo per mano, lo invitò a seguirla: «Io devo andare, ma non voglio rimanere sola... Vi prego...»

Si pentì subito del cedimento, ma quegli occhi grigi erano stati irresistibili: nella camera il lutto era già ostentato dai drappi neri, dalle lacrime di cristallo sul velluto della cortina funebre già montata al baldacchino, dall'inginocchiatoio ai piedi del letto. Un'atmosfera lugubre che non fece altro che contribuire ad allarmare ulteriormente l'inconsapevole Ferraris. Guardò Galatea sedersi accanto alla moribonda, la vide fare il segno di croce e sussurrare le preghiere del rosario; gli sembrava di sognare, perché si sentiva come sospeso, spettatore di qualcosa che non avrebbe mai potuto comprendere fino in fondo.

«Dov'è il generale?» domandò a mezza voce solo per non rimanere zitto.

«Nell'altra stanza. Dorme»

Ferdinando lo affiancò con le mani dietro la schiena e, poco dopo, soggiunse: «Ora ci tocca aspettare, si spera non molto»

«Si tratta di magia? È una strega?» ipotizzò, sentendo i capelli rizzarsi al solo pronunciare quel nome.

«No, no. Non c'è stregoneria. È un dono; o una maledizione; o semplicemente una sensibilità più acuta della norma» spiegò placido.

A metà del terzo mistero doloroso, Galatea percepì un'ombra di fronte a sé; alzò gli occhi e la vide venire vicina, nera e alta. Volse allora lo sguardo alla donna nel letto e notò che ansimava più di prima, gli occhi strabuzzati, le mani strette alle lenzuola.

«Eccola» proferì allora Ferdinando, scorgendo la Morte. Era ormai presso il baldacchino e avanzava lenta e solenne, le braccia lungo i fianchi. Si sistemò sul lato opposto a quello di Galatea e si piegò leggermente avanti. Tese un dito e sfiorò la gola della vittima, traendone in un istante l'ultimo respiro. Quindi si rialzò, pronta a voltarsi per riprendere la strada.

«Presto, intervenite!» proruppe il principe, facendo un passo nella sua direzione, quasi potesse impedirle il cammino. Galatea scattò in piedi dalla seggiola e la chiamò: «Fermatevi, ve ne prego»

Lì per lì, la Morte non diede a intendere di aver sentito e continuò il suo lento ciondolare trascinando il mantello lungo sul pavimento.

«Vi prego, signora, il tempo di una parola» singhiozzò, portando le mani al pancione in un movimento di affetto istintivo. A quell'implorazione la Morte arrestò il passo e chinò la testa, come a sbirciare dietro di sé.

«Vi devo parlare a nome di un'altra persona – principiò Galatea, cercando di non farsi prendere dal panico – Una persona cui voi vi mostrate ostile»

La Morte si volse verso Ferdinando, che accennò un inchino.

«Egli vorrebbe parlarvi, vorrebbe udire la vostra voce, signora. Vi chiede solo questo favore...» continuò Galatea, assistendo immobile a quello scambio di sguardi.

La Morte non si mosse, non rispose. Rimase come inchiodata lì, forse in attesa di altri argomenti che la convincessero definitivamente. Galatea deglutì e prese un respiro profondo, prima di aggiungere: «Egli considera un grande onore potervi vedere, ma ancora di più potervi parlare»

Detto questo lanciò un'occhiata al principe, accennandogli di provare a farsi avanti; Ferdinando, sempre più gonfio di aspettative, ripeté il gesto di riverenza e cominciò: «Signora, vi porgo i miei saluti»

Non appena ebbe parlato, la Morte si rivolse avanti di scatto e riprese a incedere solenne e intoccabile, sorda a qualsiasi altra preghiera Galatea provasse ad avanzare. Misteriosamente com'era apparsa, così scomparve nella penombra lasciata dalle poche candele quasi del tutto consumate. D'un tratto fu silenzio, gelo e desolazione. Galatea guardò di nuovo verso la moglie del generale: mani strette alle lenzuola, labbra socchiuse e occhi sbarrati. Affannata come l'aveva trovata, così la Morte l'aveva lasciata.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro