ᴠ - ɪᴛ'ꜱ ᴀʟʀᴇᴀᴅʏ ᴅᴀʀᴋ ɪɴꜱɪᴅᴇ ᴍᴇ, ᴍᴀʏʙᴇ ɪᴛ'ꜱ ᴍʏ ꜰᴀᴜʟᴛ

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Mi sveglio alle prime luci dell'alba. La luce del sole attraversa le grate della nostra finestrella.

Devo essermi addormentata subito dopo aver messo le cuffie nelle orecchie, perché non mi sono resa conto di qualcuno, probabilmente Addie di ritorno nella stanza, che mi metteva una coperta addosso.

Indosso ancora i vestiti del giorno prima, i capelli mi ricadono disordinati sopra il volto offuscando la mia vista.

Cerco la figura di Addison sul suo letto, provando a recuperare la mia vista ancora leggermente annebbiata dal risveglio e scostando le cuffie ormai scariche e spente dalle orecchie.
Ma Addie non c'è. Il suo letto è vuoto.

La ritrovo ascoltando il suo respiro affannato e intravedendo la chioma bionda e sudata che si alza e si abbassa da terra.

«Che stai facendo?» mugugno con la bocca ancora impastata.
Ho bisogno di lavarmi i denti, anzi di lavarmi del tutto.

«Oh sei sveglia?» la sento fermarsi e guardarmi dall'altro lato del letto, mentre le mie dita affondano sul cuscino schiacciandolo contro la mia guancia, ancora distesa sul materasso.
«Solo allenamento mattutino, mi piace tenermi in forma» sorride mostrando i denti ingialliti e sedendosi sul letto per farsi guardare.

Riconosco la bugia, non ci vuole un genio per capire che dietro quel "tenersi in forma" ci sia un modo per bruciare le calorie.
Addison mente a sé stessa e a tutti dicendo che sta meglio, che ora mangia, che tutto va bene.
Ha trovato altri metodi per mostrare agli altri qualcosa che non esiste.

«E ti svegli ogni mattina all'alba per farlo?» chiedo stropicciandomi gli occhi prima di alzare il busto e poggiare la schiena sulla parete.
«Sono mattiniera e non mi piace sprecare tempo.» alza le spalle evitando il mio sguardo.

Annuisco, non voglio infierire, non voglio farle intendere che ho capito.
È una sua scelta dopotutto e chi sono io per dirle cosa sia giusto o sbagliato. Non siamo neanche amiche, ci conosciamo da un giorno e anche meno.

«Credo che andrò a farmi una doccia vieni anche tu?» domando cambiando discorso e poggiando i piedi sul pavimento. Lei scuote la testa arcuando leggermente i lati della bocca.
«Finisco un po' di allenamento e ti raggiungo» risponde sempre evitando di guardarmi.
Non insisto, non la spingo a parlare, non faccio qualcosa che non vorrei fosse fatto a me.

Siamo tutti uguali qui dentro, ognuno con la propria storia, ognuno con il proprio modo di mentire e affrontarlo.
E se apparentemente Addison si mostra come qualcuno che sta vincendo la sua battaglia, in realtà è fottuta come tutti.

«Va bene» dico aprendo il mio borsone alla ricerca di qualche abito pulito fra quelli che mi sono rimasti e che hanno passato il controllo di Nick.
Una maglietta in cotone azzurro cielo, un paio di leggins neri, anonimi a cui aggiungo gli asciugamani lasciati accanto al mio comodino da qualcuno dello staff, grigi come la mia anima.

«Flame?» Addie attira la mia attenzione portandomi a voltarmi «Non dire a nessuno quello che hai visto ok?»

Deglutisco per poi annuire con il capo.
Questo è un luogo fatto di segreti fra pazienti. Io mantengo i suoi nella speranza che lei faccia lo stesso con i miei.

Non è amicizia, non è aiutarsi a vicenda, è semplicemente convivenza.

«Ci vediamo dopo toccofobica» sorride rimettendosi a terra pronta a ricominciare con la sua serie di addominali mentre io cammino verso l'uscita della stanza in direzione docce.


✘✘✘

Stranamente a quanto pensassi a quest'ora le docce sono vuote.

È una stanza non molto grande quella dove mi trovo.
Sei docce sono disposte una di fronte all'altra, le porte blu e spesse si muovono a molla coprendo dal collo fino alle caviglie di un'altezza media.
I lavandini, quattro, sono disposti in fondo all'opposto dell'uscita con due enormi specchi e una luce al neon ad illuminare tutto.
Non ci sono gabinetti, semplicemente perché quelli sono nelle nostre camere.

Mi spoglio lentamente, liberandomi di tutti gli indumenti che coprono il mio corpo martoriato.
Avevo quasi dimenticato come la mia pelle fosse segnata da marchi ormai indelebili, da cicatrici passate che ricordano a me stessa quanto mi odi.

Le mie braccia nude ripiene di costellazioni di tagli netti, storti, senza un disegno specifico.
Un caos così come lo sono io.

Il mio seno scialbo bruciato da tocchi di accendini che hanno lasciato macchie nere sulla mia pelle liscia.

La mia pancia imparagonabile a quella di Addie, i miei fianchi formosi, le mie cosce anch'esse tagliate da lamette seghettate e con imprecisione.

Faccio schifo, lo so, eppure la sensazione che provo quando muovo le mani su quei segni che mi sono auto inflitta mi ricorda come quei momenti mi abbiano fatto sentire padrona di me stessa.

Padrona del mio corpo, al comando della mia vita.

È quasi un'estasi, il controllo che ho su di me, la forza moderata che uso e il dolore che si mischia al sangue che fuoriesce e contrasta con il rosato della mia epidermide.

Prendo un respiro profondo, guardandomi allo specchio.
Vorrei romperlo, vorrei provare il dolore di sentire le mie nocche contro il vetro, di prendere quei pezzi che cadrebbero e usarli su me stessa.

Ma qui sarebbe celere l'intervento, qui non ho la certezza di riuscire a finire. Il rumore attirerebbe tutti.
O probabilmente rimarrei illusa nello scoprire che si tratti di materiale infrangibile.

Quindi lascio perdere per ora, poggiando gli abiti sporchi sul lavandino a debita distanza da quelli puliti e portando l'asciugamano più grande con me verso la doccia.

Nel momento in cui chiudo la porta a ventola dietro di me e apro il miscelatore dell'acqua chiudo gli occhi.

L'acqua tiepida bagna la mia pelle, lasciando scorrere lo sporco che mi invade.
Le gocce cadono veloci sul mio volto, colano lungo le mie braccia, il mio tronco, fino a toccare terra.

I capelli bagnati si appiccicano alle mie guance.
Mi ritrovo a piangere, mischiando le mie lacrime all'acqua che arriva dal soffione.
Un pianto incontrollato, senza rumore, solo pezzi di me che cadono.

Inizio a sentire il peso di essere qui, nonostante sia passato talmente poco per metabolizzarlo.
Il fardello di non sentirmi più libera. Di vivere in una gabbia circondata da persone come me e contro di me.

Lascio che lo shampoo scenda sul palmo della mia mano attraverso il dispenser attaccato alle piastrelle asettiche prima di spalmarlo sui miei capelli lunghi e spessi.
Il sapone mi brucia gli occhi, li porta a chiudersi con forza per evitare che vadano in contatto con la schiuma.

Vorrei gridare, vorrei sfogare tutto il malessere che sto provando. I pensieri neri che invadono la mia mente, i ricordi offuscati che mi uccidono.

L'immagine di mani non mie che toccano il mio corpo nudo con forza bruta, senza permesso.
La paura che si nasconde in un pianto sommesso, l'impossibilità di reagire, bloccata, inerme.
Non c'è un volto, non so neanche se è vero quello che immagino, ma il mio corpo ricorda tutto.

Ho letto da qualche parte che se la mente dimentica, la pelle non riesce.
Non so se è vero, se magari sto inventando tutto solo per giustificare la mia fobia, ma la sensazione è sempre lì, ogni volta che lascio libero il mio cervello di dedicarsi ai propri pensieri.
Ogni volta che non ho controllo.

L'acqua fa scivolare via tutto, i miei palmi si poggiano alla parete per far sì di rendermi conto che non sono dove la mia testa dice che dovrei essere.

Che sono qui, sola, dentro una fottuta doccia, in un fottuto ospedale psichiatrico dove non uscirò certamente molto presto.

Ho un attacco di panico. Lo sento mentre il mio cuore batte all'impazzata, sembra scoppiarmi dal petto.

Sono lontana dal mondo esterno e forse questo è un bene. Eppure la mia mano si poggia ora sul miscelatore dell'acqua calda portandola al massimo.

Respiro a fatica, mentre sento l'acqua bruciare sulla superficie del mio corpo. Fa male. Tanto.
Ma non importa, è meglio così. È l'unico modo per riportarmi indietro, il dolore.
L'unica via per ricordarmi che non sono chiusa nella mia testa, che ho controllo su me stessa.

È un bene che faccia male ed è una sofferenza irrisoria, passeggera in confronto a ciò che sento da sempre.
Sono io a decidere.

Potrei sciogliermi qui, lasciare che il mio corpo collassi ustionato da una semplice doccia ma una risatina divertita mi riporta alla realtà.

C'è qualcuno. Non sono sola. Non so neanche quanto tempo sia passato da quando sono entrata.

Che sia Addie che mi ha raggiunto come mi aveva detto?

Giro la manopola del tutto spegnendo il getto, la mia pelle pulsa ancora a causa del contatto con l'acqua bollente.
Silenzio.

Prendo l'asciugamano, lo avvolgo attorno a me coprendo le mie intimità e apro la porta infilando i piedi bagnati dentro le ciabattine date in dotazione.

L'acqua continua a colarmi dai capelli bagnati fino a cadere a terra e creando una sorta di scia davanti e dietro di me.

Non c'è nessuno. Forse me lo sono immaginata. Forse la mia testa si prende gioco di me più di quanto già non faccia.

Ma appena sposto lo sguardo verso il lavandino capisco tutto.
Addison mi aveva avvertita. Sono una stupida.

«Cazzo.» impreco in un sussurro.
I miei vestiti, sia quelli sporchi che quelli puliti non sono più lì dove li avevo lasciati.

«Cazzo, cazzo, cazzo» continuo a ripetere andando nel panico.  Non so cosa fare.

Non posso uscire così in mezzo al corridoio e non posso neanche rinchiudermi qui aspettando che qualcuno entri.

Al momento però, la mia mente è ancora troppo annebbiata per produrre una soluzione adatta a questa situazione.

«Ragiona Flame, cazzo.» mi auto impongo.

I miei occhi si spostano a fissare specchio, guardo il mio riflesso da pulcino bagnato in preda al panico.

Il mio volto tondo contornato da ciocche di capelli appiattiti.

Bel modo di iniziare la giornata, bel modo di mitigare quello che avevo già creato il giorno prima a mensa.

Immagino già la soddisfazione di T.T.T. nel vedermi così, eliminare una nemica che poi nemica non è senza neanche uno sforzo con un'umiliazione generale.

E alla fine, capisco che la scelta da prendere è solo una. Non c'è un bivio, non ci sono opzioni, solo la rassegnazione.


✘✘✘

Esco dalla porta del bagno guardandomi attorno e cercando di essere attenta a non trovare nessuno nei paraggi.
I corridoi sembrano vuoti e questa è una cosa buona.

Lascio scie d'acqua ad ogni passo mentre aumento la velocità della mia camminata senza mai perdere la concentrazione.

E ci sono, sono vicina alla mia stanza, manca così poco e sarà tutto finito.
È stato facile in effetti, ho lasciato che la mia paranoia avesse la meglio e mi bloccasse come al solito.

Tiro un respiro di sollievo avanzando il più veloce possibile evitando di fare rumore nonostante le infradito ai piedi siano contrarie a tutto questo, ma la schiena di Nick rivolta verso di me e in piedi proprio all'uscio della stanza mia e di Addie mi blocca.

Non posso entrare così e rischiare di farmi vedere, di far vedere il mio corpo imperfetto e pieno di tagli.
Impreco mentalmente, cerco un'altra soluzione, devo nascondermi.

"Pensa Flame, pensa" dico a me stessa prima di prendere un respiro profondo e muovermi dalla parte opposta, nella parte più sbagliata in cui io possa andare, il corridoio dei maschi.

Ma non conosco ancora questo labirinto, non so dove mi stiano portando i piedi, e non ho neanche modo di ragionare, ormai presa dal panico.

Sfreccio il più possibile, fino a quando voci di ragazzi in uscita dalle proprie stanze mi portano a prendere la prima porta che ho alle mie spalle.

Un bagno, un altro.
Non mi rendo conto di quanto io mi sia fottuta da sola fin quando l'acqua che scorre non arriva alle mie orecchie.

Qualcuno sta facendo la doccia e sta anche canticchiando qualcosa senza parole che ha le vibes di motivetti ormai vecchissimi della discografia musicale.

Rimango immobile, non so dove nascondermi, ogni via ha i suoi pro e i suoi contro.
Se uscissi di nuovo incapperei certamente in qualcuno, se resto dentro potrebbero accusarmi di perversione e aggiungerlo alla mia carrellata di disturbi mentali.

Mi muovo da un lato all'altro della stanza senza accorgermi di far rumore.

«Bob non dirmi che sei qui a spiarmi per l'ennesima volta mentre faccio la doccia» una risatina sommessa dall'acqua mi riporta alla realtà.

Mi ha sentita. Ha sentito i miei movimenti e adesso il problema più grande non è come tornare nella mia stanza con indosso solo un asciugamano, ma come sparire dalla vista di River Worley che sta per uscire dal suo loculo.

Deglutisco, il mio corpo trema ma l'istinto mi muove in modo automatico verso il loculo opposto al suo.
Mi stringo verso la parete cercando di mettermi in una posizione che non lasci intravedere il mio corpo negli spazi aperti della porta.

A quanto pare però sono così sfigata da aver scelto l'unica doccia con la porta rotta, tanto da lasciare un leggero spiraglio che ne impedisce la chiusura totale.

Ma ormai è troppo tardi per cambiare posto.

River Worley fa la sua uscita, completamente bagnato e post doccia.

Dall'apertura riesco a notare il suo corpo nudo e muscoloso nei punti giusti.
È inutile che lo neghi a me stessa, nonostante il suo carattere da pagliaccio River è fatto bene.
Continua a fischiettare qualcosa mentre stanzia proprio davanti alla porta del posto dove sono nascosta, forse, aspettandosi che ci sia questo Bob.

«Almeno se devi guardare fallo bene, non come il pervertito che sei Bobby» ridacchia.

I miei occhi scorrono lungo le sue curve, quel poco che riesco ad intravedere dallo spiraglio, fino a finire nell'unico punto dove non dovrebbero fermarsi.

"No, no, no, non guardare Flame"
Le mie mani coprono gli occhi in un vano tentativo di resistere alla tentazione di lasciare vincere i miei ormoni.

Sono due anni che non vedo un corpo maschile, due anni che non permetto a nessun uomo di entrare nella mia vita.

E lui ride. Ride pensando che ci sia questo Bobby a nascondersi al posto mio.
Bobby che ha un motivo per farlo, un disturbo. Io non ho neanche una scusa se non la mia dannata stupidità.

Sento River avvicinarsi, vedo i suoi piedi scalzi avanzare verso di me e sono certa che da lì a poco verrò scoperta dandogli una nuova serie di nomignoli da affibbiarmi.

Ma poi si ferma, smette di ridere.
La porta è ancora chiusa, io sono ancora raggomitolata su me stessa, avvolta solo dal mio asciugamano.

Sono secondi interminabili, quelli in cui capisco che lui ha abbandonato il tentativo di farmi uscire allo scoperto e si attorciglia l'asciugamano attorno alla vita, coprendosi mentre si allontana.

Tiro un sospiro di sollievo mentre i miei occhi si chiudono cercando di calibrare il mio respiro.
Il rumore della porta esterna mi riporta alla realtà. Non sono ancora del tutto salva.
Non lo sarò fin quando non avrò modo di uscire da qui.

«Non c'è acqua calda Steve, ho fatto una doccia da incubo.» sento la voce di River rivolgersi a qualcuno. «Stavo proprio andando da Nick a riferirglielo, se vai tu al posto mio mi fai un favore almeno ho il tempo di rivestirmi»

L'altro mugugna qualcosa sbuffando prima di muoversi nuovamente verso il corridoio accordando chiaramente la richiesta anche se contrariato.
Siamo soli. Io e lui. Di nuovo.

«So che sei lì Flame.» dice, per la prima volta, non usando nessuno dei suoi appellativi di merda.
Serio, freddo, quasi distante.

È un tono diverso dal solito, mi disturba seppur non sappia perché.
L'agitazione fa battere il mio cuore apparentemente più forte, non riesco a muovermi.

«Esci.» continua «Ci sono solo io.»  

Deglutisco strisciando come un verme e tenendo stretto a me l'unica stoffa che copre il mio corpo bagnato in questo momento.

La mia mano si appoggia alla porta scostandola leggermente.
Non so cosa dire, non so cosa fare, mi vergogno così tanto in questo momento che vorrei solo sparire.

Quando porto gli occhi all'esterno però, una cosa mi stupisce.
River non mi sta guardando, non aspetta che io faccia la mia uscita per prendermi in giro, per deridere il mio corpo imperfetto e segnato dal mio cervello disturbato.

Mi da le spalle, mi mostra quel tatuaggio lungo la colonna vertebrale che recita le parole: "You are not your mind" scritto con inchiostro nerissimo.

I suoi ricci ribelli ancora bagnati, vari lividi sulle scapole, altre cicatrici più spesse di quelle sul volto, probabilmente derivate da ferite più profonde.
Rimango lì, a fissare il tutto, incantata per l'ennesima volta, a dispetto di ciò che penso di lui.

«Prendi il corridoio sulla sinistra, nessuno ci passa a quest'ora, seguilo tutto e arriverai prima nella tua stanza» continua.

Non so perché faccia così, non so perché mi aiuti anziché prendersi gioco di me. Non so perché eviti di guardarmi.

Forse gli faccio schifo allo stesso modo di quanto mi faccio schifo io.
Forse pensa che non ne valga la pena.

Prendo un respiro profondo e non aspetto neanche di darmi una risposta o di darla a lui prima di dirigermi verso la porta d'uscita.

«Ah e la prossima volta...» mi ferma «... se vuoi vedermi nudo basta solo chiedere Scintilla» ghigna, come al solito.

Stringo i pugni, contengo la rabbia. Vorrei prenderlo a schiaffi, fargli cancellare quella smorfia da sbruffone, per quanto non possa davvero vederla.
Ci diamo le spalle a vicenda, nessuno vuole guardare l'altro.

«Vai a farti fottere River» grugnisco uscendo il più in fretta possibile.

Sapevo che quella gentilezza nascondeva altro, eppure ci sono cascata di nuovo.
E questa volta con tutte le scarpe.


▪▪▪▪▪

NOTE DELL' AUTRICE

Qui per ripetervi sempre di chiedere aiuto nel caso provaste le stesse cose che prova Flame.
Non lasciatevi mangiare da voi stessi. Mai.
Urlate, sbraitate, fatevi sentire e accogliete le mani che arrivano a prendervi per farvi uscire dal tunnel.

❤️

Vi ricordo che potete farmi sapere le vostre impressioni, oltre che qui tramite stelline e commenti anche su tik tok e instagram dove mi trovate come: neensonwattpad
I miei dm sono sempre aperti per qualsiasi cosa <3

xoxo

Neens

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro