ᴠɪ - ᴡᴏɴᴅᴇʀ ᴡʜᴀᴛ ɪᴛ'ꜱ ʟɪᴋᴇ ᴛᴏ ʙᴇ ᴏᴋᴀʏ

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Quando riesco a tornare nella mia stanza tiro un sospiro di sollievo.
Non c'è traccia né di Addie, né di Nick e mi basta chiudere la porta alle mie spalle per sentirmi di nuovo al sicuro, se così si può dire in un posto simile.

La mia schiena ancora bagnata si poggia sulla superficie legnosa mentre il mio respiro cerca di calibrarsi e il mio cuore torna a battere normalmente.
Quello che mi era appena successo era ridicolo. Io ero stata ridicola.

Impreco mentalmente per poi avviarmi nuovamente verso il mio borsone per tirare fuori gli ultimi vestiti puliti rimasti.
Una gonna nera a pieghe elasticizzata, una camicetta bianca in cotone.

Mi mordo il labbro inferiore soffocando la rabbia che sto provando prima di dirigermi verso il bagno e cambiarmi velocemente.

Sembro una di quelle studentesse di qualche college da ricconi, una di quelle che se la tirano.
Tutto il mio opposto.

«Flame sei qui?» la voce di Addie mi fa sobbalzare dall'interno del bagno.
«Sì sono in bagno.» rispondo finendo di mettermi le converse senza lacci.

«Ti ho cercato nelle docce ma non c'eri. Tutto ok?» mi chiede mentre sento la sua voce avvicinarsi alla porta.
«Sì, sì tutto okay» cerco di dire, ma dal mio tono è chiaro che stia mentendo.

«Non stai facendo qualcosa che mi potrebbe fare urlare vero?» ed è ovvio a cosa si stia riferendo non ci vuole un genio a capirlo.

Non si fida di me e d'altronde come potrebbe?
Neanche io mi fido di me stessa.

«N-no. Sto uscendo giuro.» esalo un respiro prima di aprire la porta e ritrovarmela davanti.

I miei capelli ancora bagnati sono stati legati in due trecce lunghe che ricadono sulle mie spalle mentre mi mostro a lei.

«OMMIODDIO MA SEI CARINISSIMA!» urlacchia saltellando sul posto come una cavalletta impazzita. Ha i fili biondi della sua chioma sottile legati in una crocchia alta che accentua ancora di più i lineamenti duri del suo volto.

Non le chiedo come mai Nick fosse qui poco prima, non sono affari miei dopotutto.

«Certo come no...» roteo gli occhi dirigendomi verso il mio letto «Sono gli unici che mi sono rimasti, Milly mi ha rubato quelli che mi ero preparata, mentre ero sotto la doccia.»
Addie ride, è divertita.

«Prendila come un'iniziazione, succede a tutte da quando Milly è qui.» si siede sul letto incrociando le braccia esili al petto piatto. «E comunque non stai male, davvero.»

«Questi vestiti non sono neanche miei Addison, deve averli ficcati mia sorella Liv quando mi ha preparato il borsone perché quelli che mi erano rimasti erano inutilizzabili. E gli altri... beh Nick li ha fatti sparire.» sospiro arresa.

«Senti, se proprio non ti piacciono posso prestarti qualcosa io... se per te va bene.» lei alza le spalle aprendo uno dei cassetti del suo comodino tirando fuori qualche indumento.
«Fammi pensare...» si morde il labbro inferiore prima di fissarmi e squadrarmi dalla testa ai piedi «La gonna resta ma...»

Inizia a far uscire vestiti su vestiti passando dal cassetto all'armadio, neanche stesse giocando a fare il mago con il coniglio dal cappello.

«Dove diavolo l'ho messo...» mugugna mentre infila il suo corpo dentro l'armadietto che abbiamo in dotazione e che io non ho ancora usato.

«Come fai ad avere tutti quei vestiti?» chiedo sconvolta. Io che ho tre cose messe in croce dopo la perquisizione, lei che ha il mondo.
«Sto qui da più tempo di te ricordi? Me le hanno mandate.» mi risponde come se niente fosse.
Come se fosse la cosa più normale del mondo.

«Eccolo!» esclama tirando fuori un crop a maniche lunghe bianco in lana. «Questo è perfetto! E pensa puoi anche tenerlo, a me non sta.»


Mi lancia quel maglioncino fra le mani. È morbido, sembra quasi una nuvola. Il mio occhio cade, involontariamente sull'etichetta e soprattutto sul cartellino con tanto di prezzo.

«Ma è nuovo Addie e... guarda quanto costa...» dico mentre quell'enormità di zeri e il nome di una marca che ho solo sentito nominare perché non accessibile alle mie tasche mi appare davanti.

«E allora? È un fottuto maglioncino, niente di eclatante e ti ripeto a me non sta quindi resterebbe lì a marcire in eterno.» alza le spalle con nonchalance.

«Io... non posso accettare... non...» non so che dire. Non mi è mai successo in vita mia di avere tra le mani un qualcosa che avrei solo e unicamente potuto sognare.
Addie era davvero così ricca da potersi permettere cose del genere senza neanche indossarle?
«Mettila così, sta meglio a te che a me. Almeno tu hai un seno da far vedere.» ridacchia sdrammatizzando mentre si tasta il petto sopra quella felpa nera che indossa.

«Ok... ma ti ripagherò... in qualche modo...» sospiro tornando a guardare quel maglioncino che so per certo non potrò mai risarcire.

«Resta viva.» mi dice con fermezza guardandomi negli occhi.
«Ci provo.» l'avrò detto così tante volte che forse non è più tanto una bugia.
«Va bene» sorride dolcemente.

E lo sento che non è solo uno scambio di parole. Sembra più una promessa senza dirlo apertamente.

Annuisco prima di sbottonare la mia camicia e restare con quell'unico reggiseno da sport che mi Nick mi ha lasciato.
Senza ferretti, senza sostegno reale.
Addie non commenta ciò che vede, non commenta i miei segni, i miei tentativi di farla finita, di provare dolore.

Mi lascia vestire mentre il soffice tessuto di quel maglione che mi scopre la pancia mi avvolge.

«Sai cosa penso? Che quando usciremo da qui dovremmo farci un tatuaggio. Qualcosa che ci lega che abbia un significato.» esordisce all'improvviso. Noto quella forma di eccitazione che le illumina gli occhi e la fa sorridere con gusto.

«Tipo cosa?» chiedo aggrottando la fronte.
«Non lo so, ma ci penseremo. Dopotutto siamo amiche no?»

Rimango immobile.
La conosco da neanche un giorno e lei già mi vede come qualcuno di importante al punto da fare un tatuaggio insieme.
Non lo ha chiesto a Betty, a Paige, a Kate... lo ha proposto a me.

«Sì... credo di sì» mugugno guardando il pavimento.
Ho perso la concezione di amicizia due anni fa. Ho allontanato tutti e gli altri si sono fatti allontanare senza neanche lamentarsi.

È stata una cosa naturale. E adesso, all'improvviso, qualcuno mi chiedeva di far parte della sua vita.Io che la mia vita la disprezzo.

«E allora è deciso!» corre verso di me, apre le braccia con il tentativo di abbracciarmi prima di rendersi conto che io faccio un passo indietro quasi in automatico.

«Oh... giusto, la toccofobia... fai finta che ti abbia abbracciato fortissimo fino a stritolarti» non si lamenta, anzi, sorride.

Addie sorride sempre, anche quando tutto va male, cerca sempre di sorridere e ti tirarsi su.
Forse non avrà la forza fisica che dovrebbe avere se stesse bene, ma di certo, la sua forza emozionale è più forte di qualsiasi cosa.

E l'ammiro. Vorrei essere come lei.
Farmi scivolare tutto, rialzarmi dalle mie stesse cadute.
Ma non posso.
Non riesco.
Sono un caso perso.

«Andiamo, sono le 9 e mezza, ci aspettano giù per la colazione.» continua prima di dirigersi verso la porta muovendo le sue gambe magre coperte da dei leggins neri che lasciano scoperte le caviglie.

«E comunque stai da Dio con il mio maglione sappilo» mi fa un occhiolino prima di sgattaiolare via.

No, non potrò mai essere come Addie.
Né ora, né mai.

✘✘✘

È assurdo come quel dannato maglione mi faccia stare bene e allo stesso tempo sentire terribilmente a disagio. Le mie braccia si stringono a contornare la mia pancia scoperta.

«Forse è meglio che torno nella nostra stanza, non si accorgerà nessuno della mia assenza.»  dico. Sono agitata, non so neanche io perché.

È come se avessi una strana sensazione che mi fa ribollire il sangue.

«Flame, smettila okay? Hai un bel corpo, sei bella, certo dovresti imparare a sorridere di più ma non hai niente che non va.» Addie mi sorride, come al solito, non capisco ancora come faccia.

«Non è questo...» sospiro. È ovvio che sia anche questo ma non voglio che lei ne sia certa.
Non con i problemi che ha.
Non quando sta dicendo a me che sono bella mentre al contrario dovrebbe dirlo a sé stessa. «È successa una cosa prima...»

Lei corruga la fronte mentre facciamo il nostro ingresso all'interno della mensa dove già altri pazienti hanno iniziato la loro colazione e altri ancora stanno in fila con Ruth e la sua cuffia colorata a servirli.

«Prima... io...» voglio davvero dirglielo. Lei mi ha detto tante cose. Mi ha chiesto di avere un legame più forte e forse per me potrebbe essere davvero un primo passo per smettere di allontanare tutti.
Per avere un'amica. Una vera amica.

Ma qualcosa interrompe il mio flusso di parole. «Ehi nuova arrivata!» la voce di T.T.T., squillante e limpida arriva alle mie orecchie attirando l'attenzione di tutti. «Bell'outfit da puttana!»

Tess ridacchia, insieme alle sue due amichette. Le braccia incrociate al seno perfetto, i capelli lunghi a contornarle il volto dai lineamenti delicati.

«Ehi T.T.T. bella faccia da stronza!» Addie risponde al posto mio con aria di sfida facendo qualche passo avanti.

«Non fa niente Addison... davvero...» bisbiglio. Non voglio che rischi altro a causa mia.
Non voglio che venga richiamata di nuovo e che perda qualcosa più importante di un'uscita premio.

«Oh andiamo Addie stavo scherzando... non credo che la tua nuova amica sia così suscettibile vero?» un sorrisetto divertito compare sul volto di TellTaleTess mentre avanza verso di me attirando lo sguardo di tutti i presenti.

Perfino Ruth ha smesso di mettere le colazioni sui vassoi.
Sono al centro dell'attenzione e io odio esserlo.
Odio quanto i riflettori si puntano su di me, non sono fatta per la luce.
Sono nata per il buio.

«Credo che questi siano tuoi, ho beccato Milly manolesta nel corridoio che si vantava della sua conquista...» ghigna mentre prende dalle mani di una delle sue spalle i miei vestiti, gli stessi che mi erano stati rubati in bagno.
Alzo lo sguardo dal pavimento a lei, le mie labbra si aprono poco nello stupore.
«G-grazie» rispondo in un sussurro incredulo.

Deglutisco estendendo il mio braccio per afferrarli e riaverli di nuovo con me.
Ma nel momento in cui sto per farlo Tess lascia la presa facendoli cadere a terra.

«Ooops scusa» dice quasi dispiaciuta.
Alzo le spalle e lentamente mi chino per riprenderli, cosa che fa anche lei.
Le dita si allungano ad afferrare il tessuto dei miei abiti evitando lo sguardo di tutti.
So che sta per succedere qualcosa, lo sento.
Tremo, seppure all'esterno non si veda.

«Stai lontano dal mio River, troia di merda hai capito?» la rabbia nelle sue parole mi prende alla sprovvista.
Il cambiamento nel suo atteggiamento è qualcosa che se avessi prestato più attenzione, sarebbe stato chiaro.

Mi fa perdere l'equilibrio mentre alzo i miei occhi sconvolta.
Vedo il suo volto contrarsi, la sua bocca creare una smorfia piena di odio prima che il peggio arrivi.

Perdo la presa sui miei indumenti gettati a terra quando lei si lancia su di me, pronta a colpirmi, nel tentativo di spingermi del tutto a terra.
E non riesco ad evitarlo, non riesco ad allontanarmi in tempo.

La sua mano afferra il mio polso con una forza crudele, costringendomi a confrontarmi con il mio peggior incubo.
Il contatto umano è un inferno per me, un tormento che mi fa rabbrividire dalla testa ai piedi.

Mi sento intrappolata, costretta a difendermi da un attacco che so di non poter sconfiggere. Il terrore si insinua dentro di me, avvolgendomi come una morsa.
Il mio corpo si blocca, immobilizzato dalla paura.
Le sue dita continuano a toccare la mia pelle, un contatto che brucia terribilmente.

Il panico mi invade, annientando ogni pensiero razionale.
Il respiro diventa un sibilo disperato, il cuore batte come un tamburo impazzito nel petto.
Cerco di urlare, ma le parole rimangono imprigionate nella mia gola serrata dalla tensione.

La mia mente è una tempesta di paura e disperazione, urla di impotenza che si perdono nell'oscurità che mi avvolge.
Vorrei scappare, fuggire da questa tortura, ma sono intrappolata in un corpo che non risponde ai miei comandi.

Sento come se il mondo stesse andando a rallentatore. Il suono attorno a me è ovattato, mentre lei continua a urlarmi contro parole piene di ira che io non riesco neanche a comprendere.

TellTaleTess mi insulta, mi schernisce, mi umilia o almeno è quello che recepisco dalle sue risate divertite, da quella voce che rimbomba nelle mie orecchie.
I miei pugni si stringono, sono in iperventilazione.

Sento Ruthie che urla cercando aiuto, dicendo che due delle ragazze si stanno picchiando.
Ma io non sto facendo niente. Io non sto picchiando nessuno.
Io sono ferma. Io sono una statua.

Addie cerca di spingere via Tess dal mio corpo, mentre alcuni incitano l'altra a continuare il suo lavoro.
E non so reagire.
Non posso. Non so come si fa.

Chiudo gli occhi, aspetto solo che tutto finisca. Come quella volta.
Come quando già non sono riuscita a fermarlo.
Lascio che il mio cervello prenda possesso di me, che mi porti via, che mi allontani da tutto questo.

Ma pochi secondi dopo, il contatto svanisce.
Tess non mi sta più urlando addosso quanto io sia una lurida puttana.
Apro gli occhi, il battito del mio cuore è ancora instabile così come il mio respiro.
Addie si china al mio fianco, non mi tocca, ha paura di come potrei reagire.
Ma io non la sto guardando davvero.

La mia attenzione è su quel ragazzo che ora sta prendendo le mie difese.
«Cosa cazzo ti dice il cervello Tess?» River urla contro di lei.
Le sue spalle verso di me, a tenerla lontana.
Deve essere stato lui a tirarla via.
«Io... io non volevo, non lo sapevo... io... credevo che lei volesse portarti via da me.» piagnucola Tess.

«Non c'è un me e te Theresa, non c'è e non ci sarà mai. Smettila di inventarti cazzate ti fa solo male e danneggia anche gli altri.» ribatte River senza curarsi dei sentimenti dell'altra.
Freddo, secco, duro come la pietra.
«Ma... ma... tu... tu mi hai detto... tu mi hai detto che...» continua la bionda.
Non riesce neanche a parlare, così come io non riesco ancora a muovermi.
Sono qui, ma non sono qui.

Ascolto, ma non ascolto davvero.
Il mio corpo trema ancora, come se sentisse perpetuare un tocco ruvido sulla mia pelle.
«Io non ti ho mai detto un cazzo Tess, te lo sei inventata, così come ti inventi la maggior parte delle cose che dici.» chiude lui.

«COSA STATE COMBINANDO?» di nuovo, così come il giorno prima, la Worley fa il suo ingresso.
River guarda la madre quasi con paura prima di fare un cenno impercettibile ad Emmett seduto al suo tavolo e isolato dal resto della gente.

Ed è come se gli avesse dato un via. Un ordine.
Emmett scatta. Le sue mani si aggrappano al tavolo, inizia ad urlare con furia e senza controllo attirando l'attenzione su di sé e togliendola dalla mia persona.
Con forza, rovescia il tavolo su cui stava mangiando, si porta le mani alla testa guardando tutti con lo sguardo assassino che Addie mi aveva già descritto.

«NICK LA CAMICIA» urla la Worley rivolgendosi al suo fidato infermiere che si lancia ormai esperto nella presa del ragazzo per allontanarlo dalla stanza, mentre Emmett si dimena.

«Non posso lasciarvi un momento che fate scoppiare una rissa? Davvero?» la dottoressa continua perpetuando il suo sguardo principalmente su suo figlio.
«È tutto ok ma', la cosa è stata esagerata, nessuno si è picchiato, c'è stata solo un'incomprensione» dice River rivolgendosi a sua madre per poi guardare malissimo Tess.

Fa ancora strano sapere che il capo supremo di quest'ospedale abbia un figlio fra noi pazienti e soprattutto che tale ragazzo sia anche lo stesso che non fa altro che irritarmi ma che adesso prende le mie difese.

«Mi dispiace dottoressa Worley... io... io non sapevo che Flame fosse... che avesse paura... che...» continua a piagnucolare la bionda nel tentativo di difendersi.
«Ma stai zitta!» le parole di River vengono sputate con diffidenza prima di sospirare e allontanarsi anche lui, come se non volesse nemmeno un grazie da parte mia o della madre.

La Worley sospira, noto quell'atteggiamento quasi indifferente, come se facesse finta di nulla, come se non le importasse davvero.
«Ero proprio venuta a prenderti per la tua prima visita Flame... » la donna mi guarda dall'alto mentre io sono ancora a terra tremante.

Non si abbassa per toccarmi, per aiutarmi ad alzarmi.
Annuisco, deglutisco, cerco di calibrare il mio corpo e a dargli la forza di tirarsi su mentre recupero piano piano il contatto con la realtà.
Addison mi sta guardando sconvolta, preoccupata e così tutto il cerchio di ragazzi che mi si è formato attorno e che non mi fa respirare.

«Vieni, parliamo un po' io e te ok?» non sorride la Worley, ha sempre quello sguardo duro e austero che quasi mi spaventa.

Chino il capo, alzandomi lentamente, in silenzio, non guardando nessuno.

Mi vergogno così tanto che vorrei solo morire. Vorrei che Tess mi avesse colpito davvero, che mi avesse picchiata fino a farmi perdere conoscenza.
Che quel dolore, mi facesse dimenticare ogni cosa.
Ma così non è stato.

Quindi cammino, lungo la mia strada della vergogna, come una peccatrice qualunque, anche se i miei peccati, lo so, distruggono solo me stessa.


✘✘✘

La dottoressa Worley mi trascina in una stanza al primo piano, in fondo al corridoio e molto vicina all'isolamento dove Emmett è stato portato da Nick poco prima.

Mi muovo in silenzio, trascinandomi sui miei passi, mentre le mie dita si stringono in un gesto ormai usuale da parte mia, sul tessuto del mio maglioncino, come se ne cercassi protezione.
Lo faccio sempre quando ho paura, quando sono nervosa, quando mi ritrovo in un posto che non conosco.

«Siediti Flame» mi dice la Worley con serietà, indicandomi una sedia.
La stanza è spoglia, non è come il suo ufficio, ed è chiaro che non sia il posto dove porta i suoi pazienti di solito.

Sembrano quattro mura adibite ad altro, o magari senza un reale motivo di esistere.
«Ascolta, mi dispiace per quello che ti è successo... prenderò i miei provvedimenti con Theresa.» continua guardandomi e sedendosi di fronte a me.
Scuoto la testa velocemente.

È come se la mia lingua sia attaccata al palato, come se le mie labbra fossero serrate e non volessero aprirsi mai.

«Siamo qui per te Flame, sono qui per aiutarti ma tu devi lasciarmi entrare ok? Devi aprirmi la tua porta.» la sua voce non è più dura, si è addolcita.

Mi guarda in modo diverso, ma non come fa mia sorella, con la pena negli occhi.È un altro tipo di sguardo che non so ancora riconoscere, che ho visto solo da una persona prima di lei.

«Come stai intanto? Come è stato il tuo primo giorno? Sei riuscita a fare amicizia?» mi chiede, mentre alza la sua cartellina pronta a scrivere qualcosa.
Sono sotto esame.

So che ogni risposta che darò, verrà giudicata, verrà segnata con una casellina che decreterà se sono giusta o sbagliata.

«Posso... posso tornare nella mia stanza?» sento la mia bocca impastata, come se non emettessi suoni da anni. Voglio sono evitare questo test.

«Flame... ti prego.» ma è inutile il suo insistere.
Non voglio. Non voglio essere usata come cavia da laboratorio, come esperimento su cui agire.
Io non ho la forza di Addie, non vedo una luce in fondo al tunnel.
Ci ho provato, ma ogni volta diventa sempre peggio.

Affondo le mie unghie sui palmi della mia mano, per quanto siano state tagliate per evitare di farmi male, la ricrescita veloce mi permette di sentire un leggero dolore quando stringo.

Non parlo, mi rifiuto di farlo, mentre i miei occhi si spingono a fissare il pavimento.
Mi concentro sugli spazi fra una mattonella e l'altra, sull'opacità delle linee sul linoleum.

«Va bene, ci riproveremo un'altra volta ok?» sospira alzandosi.
«Posso riavere le mie medicine?» chiedo evitando ancora di guardarla e stringendomi su me stessa, cercando di diventare un tutt'uno con la sedia.

Tiro le maniche del maglioncino, ormai stropicciato, che Addie mi ha regalato.
Era nuovo e io l'ho già rovinato. Bella merda che sono.

«Ti prescrivo degli antidepressivi ma non posso fare di più Flame, ho bisogno di capire cosa ti porta a fare quello che fai, da cosa dipende... ma se tu non fai un passo verso di me io non posso farlo verso di te capisci?» mi ricorda mia madre in questo momento.
Prima di morire, prima che io diventassi quello che sono adesso, mi accarezzava con gli occhi allo stesso modo.
Mi cullava con la melodia della sua voce come se fossi la cosa più importante del mondo, nonostante fosse tormentata anche lei da cose più gravi.

«Chiamo Nick e ti faccio accompagnare nella tua stanza ok?» mi dice mentre mi alzo dalla sedia.
«Grazie ma... conosco la strada» sussurro continuando ad evitarla.
Lei esala un respiro dalle narici, annuisce, mi lascia andare seguendomi con lo sguardo fino a vedermi sparire quando esco dalla stanza.

Mi ritrovo un corridoio vuoto davanti.
Alla mia destra le altre sale mediche, alla mia sinistra l'isolamento.
Ed è un pensiero veloce, un impulso che non riesco a controllare.
So che tornando nella mia stanza troverò Addie ad aspettarmi, il suo sguardo preoccupato, le sue domande, la sua apprensione nei miei confronti.
E io voglio solo stare da sola.

Guardo da un lato all'altro assicurandomi che nessuno mi veda, prima di sgattaiolare dietro la porta spessa che porta all'isolamento.
Davanti a me altre tre stanze, le vetrate sicuramente anti rottura, mostrano camere vuote, tranne una.

Emmett, seduto a terra, con le gambe leggermente divaricate, appoggia la sua schiena ad una delle pareti.
Lo sguardo verso il pavimento, una pallina che fa rimbalzare con le mani.
Sembra che abbia perso la furia di poco prima.
Rimango a fissarlo attraverso il vetro.

So che se qualcuno dovesse entrare e mi vedesse qui finirei nei guai, ma non mi interessa adesso.

Lo psicoratto, come lo chiama Addie, alza lo sguardo, incastra i suoi occhi con i miei continuando a far rimbalzare la pallina da tennis dal pavimento alla sua mano.
Non si alza, rimane solo lì a guardarmi, con quello sguardo gelido come il ghiaccio.

E poi, come se la mia mente si fosse connessa alla sua, nella ricerca di un segno da parte del ragazzo, lui molla il suo gioco spasmodico, facendo cadere la pallina che si allontana dalla sua figura.

Le sue dita formano una "L", l'indice si punta su di me.

Uno sparo invisibile verso il mio corpo, prima di lasciarsi andare in una risata.
Le labbra si muovono per mimare il colpo.

Non reagisco, rimango salda nella mia posizione, solo il mio respiro si fa più pesante e subito dopo in un gesto involontario o forse no, la mia mano si muove poggiando il palmo sul mio petto, come se fossi stata davvero colpita, senza averne paura.
Le dita si stringono piano piano, scontrandosi con il tessuto della lana che mi ricopre, in un pugno.
Lo sguardo che non cede, stanzia sui suoi occhi, fisso.

E capisco una cosa.
Non mi servono parole con lui.
Ho creato un contatto, seppur inusuale.
Emmett sorride in un ghigno, mi studia, inclina la testa.
Capisco che è stupito dal mio atteggiamento, dal fatto che io non abbia timore dei suoi gesti.
Io non cerco di capirlo a differenza di altri, lui non cerca di fare lo stesso con me.

Accettiamo cosa siamo, chi siamo, qual è il nostro destino.
E non c'è niente di sbagliato.
Non c'è giudizio.
Nessuna casellina da segnare su un foglio pieno di termini medici.
Ed è come se l'isolamento arrivasse anche per me, trascinandomi insieme a lui in un posto diverso.

In un legame fatto di pensieri che non riveliamo ma che conosciamo perfettamente, perché in qualche modo, qualcosa ci accomuna.
Siamo fatti della stessa sostanza, che non sono i sogni come diceva Shakespeare, ma il trauma che ci pervade.

Siamo tutti racconti intrecciati dai fili del dolore, tessuti con la stoffa delle nostre esperienze più profonde.
Frammenti di una realtà distorta che solo chi ha conosciuto il buio può comprendere.
Come noi.


▪▪▪▪▪

NOTE DELL' AUTRICE

È un capitolo molto più lungo del solito, ma non potevo fare altrimenti.
Spero che vi piaccia, che vi faccia ancora di più entrare nel tormento di Flame, che vi inviti a capire che per quanto sbagliato, è difficile aprire le porte alla speranza.
Che vi aiuti a comprendere chi vive queste cose e allo stesso tempo, a chi le vive, che c'è sempre qualcosa in fondo al tunnel, basta solo vedere più là senza perdersi nella paura della propria mente.

Ci vediamo Martedì per il prossimo capitolo

❤️


Vi ricordo che potete farmi sapere le vostre impressioni, oltre che qui tramite stelline e commenti anche su tik tok e instagram dove mi trovate come: neensonwattpad
I miei dm sono sempre aperti per qualsiasi cosa <3

xoxo

Neens

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