ᴠɪɪ - ᴡᴇ'ʀᴇ ʀᴀɪꜱɪɴ' ʜᴇʟʟ ʟɪᴋᴇ ᴀ ᴄʟᴀꜱꜱ ᴡʜᴇɴ ᴛʜᴇ ʟᴜɴᴄʜ ʙᴇʟʟ ʀɪɴɢꜱ

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Il tempo trascorre in maniera surreale all'interno di questa struttura.

È come se ogni istante si dilatasse, prendesse forma propria, si avvolgesse intorno a me come un abbraccio soffocante.

Sono qui da tre giorni ma sembrano mille e ogni secondo che passa pare portare con sé una nuova sfida.

È come se fossi naufragata in un mare di pensieri confusi, senza bussola, né rotta.
Durante questi tre giorni ho imparato a muovermi nell'ombra.
Non perché voglia nascondermi, ma perché ho bisogno di quel momento di solitudine, di quel breve respiro di libertà che mi permette di ricordare chi sono veramente.

Dopo quello che è successo alla mensa con T.T.T. nessuno ha cercato di pormi domande.
Sono diventata invisibile, come se tutti avessero paura di toccarmi anche solo con lo sguardo o con le parole.
E va bene così.

L'unica a volerci provare costantemente è Addie.
Non si arrende.
Mi studia.
Aspetta il momento giusto per lanciarsi come un kamikaze che non ha paura di essere rifiutata.

Lei non mi chiede mai come sto. Non vuole saperlo perché conosce già la risposta.
Al contrario mi ricorda di come Tess sia una stronza, mi ripete quanto avrebbe voluto spaccarle quel naso da principessina e farla piangere come una bambina di due anni a cui è stato rubato il giocattolo preferito.

Un giocattolo, che poi, non le avevo neanche tolto realmente.

Perché non avevo chiesto io a River di difendermi, non lo avevo costretto a parlarmi o a dedicarmi attenzioni.
Neanche le voglio dopotutto.
Tutto ciò che chiedo è di essere lasciata in pace.
Non voglio eroi, non voglio protezione o cose simili.
Voglio quel silenzio che solo una persona, qui dentro, è stata in grado di darmi.

Così, anche oggi, come tre giorni prima lo sto facendo di nuovo.
Ho aspettato il coprifuoco, ho atteso che Addie chiudesse gli occhi e si addormentasse, prima di sgattaiolare fuori dalla mia stanza.

Furtivamente, avanzo lungo il corridoio deserto per poi scendere le scale verso il primo piano. Il cuore batte veloce, quasi come se volesse tradirmi.
Il silenzio intorno è opprimente, interrotto solo dal mio respiro affannato e dai leggeri fruscii dei miei passi prudenti sul pavimento lucido.
Ogni suono improvviso mi mette in allerta, mentre cerco di rimanere nell'ombra e fuori dalla vista.

Poi la vedo.
Un'infermiera, Leah, si avvicina con passo deciso.
Il panico mi assale, ma non posso permettere che mi scopra.
Mi nascondo dietro un angolo, cercando di essere il più silenziosa possibile.
Ho la tachicardia e temo possa essere udita a chilometri di distanza.

La guardo passare, il respiro trattenuto fino a quando non sono sicura che sia lontana.
Solo allora mi muovo di nuovo, con cautela estrema fino a raggiungerla.
Davanti a me, la porta dell'isolamento dove Emmett è rinchiuso da giorni stanzia a vietarmi l'ingresso.

Ma non mi importa, come non mi è importato tre giorni fa.

La mia mano si poggia velocemente sulla maniglia e il mio corpo scivola all'interno dandomi nuovamente la visuale delle vetrate che nascondono la presenza dell'altro ragazzo.

Emmett è lì, come quella volta.
Un umore diverso, come se avesse paura.

Lo vedo stringersi su sé stesso, le mani alle tempie, la sofferenza ben visibile nei suoi occhi serrati.

Deglutisco mentre lo fisso.
Non so perché mi faccia così bene stare qui.
Non so perché ne avessi talmente bisogno.
È come se mi cibassi del dolore altrui, ne facessi la mia batteria personale.

Le mie dita si poggiano leggere sulla vetrata, picchiettando per attirare la sua attenzione.

Ho passato tre giorni a chiedermi come stesse, come vivesse nel suo silenzio forzato e ora, a vederlo davanti a me è come se non fossero mai passati.

Emmett alza lo sguardo, noto la lucidità delle sue iridi, come se avesse pianto, un atteggiamento ben diverso da quello mostrato in precedenza.

Inclina la testa, mi guarda, come se mi vedesse per la prima volta mentre il suo petto si alza e si abbassa al ritmo del suo respiro pesante.

«Sei proprio una stupida Ragazza di fuoco» un sospiro e una voce che ormai conosco benissimo mi sorprendono alle spalle.
Voltandomi la figura di River si palesa davanti ai miei occhi.
Le sue braccia incrociate al petto, la testa che si scuote, le sue cuffie calate a contornare il collo.

«Cosa ci fai qui?» chiedo con il respiro mozzato.
«Bella domanda, potrei chiederti la stessa cosa...» alza le spalle «Lo sai che è vietato stare qui vero?»
Mi guarda come se fosse un avvertimento.

«Andrai a correre da mammina a rivelargli la tua scoperta?» deglutisco, cerco di mantenere il suo sguardo, senza mostrare nessuna paura.

Io e River non abbiamo avuto modo di parlare dopo ciò che è accaduto alla mensa, dopo la sua difesa non richiesta. In realtà, non lo avevo proprio visto fino ad ora, come se si fosse volatilizzato.

«Credi che sia così stronzo?» aggrotta la fronte quasi stupito dalla mia visione delle cose «E poi se lo facessi dovrei spiegare come abbia fatto io a scoprirti» continua con il suo sorrisetto usuale.

Abbasso lo sguardo al pavimento, le mie dita che tirano con forza le maniche del mio pigiama.
«Ci sono le telecamere comunque, rischiavi di essere vista a prescindere» lui rotea gli occhi appoggiando la schiena alla parete.

Perdo un battito.
Non ci avevo pensato.
Sono una stupida.
Probabilmente la Worley starà già pensando al modo di punirmi, di farmi pentire di ogni mio gesto.
Di togliermi ogni privilegio che potrei ottenere nei prossimi mesi.

«Tranquilla, ci ho pensato io, mi devi un favore» esala un respiro prima di avanzare verso la vetrata dando un'occhiata ad Emmett ancora nel suo isolamento.

«Ehi amico, ti sei fatto la stalker hai visto?»
Ridacchia verso il compagno di stanza che al momento, non accenna a dar segni di recepire il messaggio.

«Perché lo fai?» chiedo interrompendo il momento ilare.
«Cosa?» i suoi occhi castani si volgono nuovamente a me.
«Perché mi difendi? Perché mi aiuti? Neanche mi conosci.» faccio quella domanda che avrei dovuto fare quel giorno a mensa se non avessi dato di matto dopo che T.T.T. mi aveva toccata.

«Devi conoscere qualcuno per dare una mano? Cazzo, hai proprio una visione di merda di quello che sono non è così Scintilla?» ride in modo silenzioso mischiando un sospiro con il suono della sua voce. «Non mi piace quando la gente viene bullizzata senza motivo, tutto qui.»

Stringo le mie dita sul tessuto della mia maglia, pronta a trovare una risposta che possa essere valida alla sua affermazione.
Ma non so cosa dire. Non so che parole usare per controbattere.
Lascio che la mia stessa saliva scenda lungo la gola, continuando a fissare le sue cicatrici come se mi aggrappassi a quell'immagine per rimanere in piedi.

Un rumore di voci nel corridoio interrompe il silenzio che perpetua fra me e River, facendo sbiancare il volto di entrambi.

«Seguimi!» esclama senza perdere tempo, come se conoscesse lo schema a menadito.
E non ho neanche il tempo di fare domande mentre lascio che mi guidi fuori di lì.

Il respiro mi si mozza.
Lancio un ultimo sguardo ai silenzi di Emmett prima di seguirlo verso una strada diversa da quella che ho fatto per arrivare qui.

River si muove davanti a me, con un passo accelerato, con un respiro pesante che disegna con un rumore sommesso ogni suo passaggio.
Si sposta come un esperto, mostra di conoscere davvero ogni angolo di questo dannato edificio.
Porte che vengono aperte in un labirinto che non conosco ma che mi limito ad attraversare accettando il suo aiuto.

Non so dove stiamo andando, ma non mi importa adesso.
Giriamo un angolo, poi un altro, lui cammina più veloce di me, lo perdo per un attimo e un brivido percorre la mia pelle.

Non so dove andare, non so dove nascondermi.
Le voci sono sempre più vicine, devono aver notato qualcosa, magari le telecamere hanno ripreso un nostro movimento.

Il mio respiro si fa pesante, impaurito, non riesco a muovermi.
Fin quando, la mia pelle non avverte il contatto con qualcosa e il mio corpo viene tirato indietro nel buio.


✘✘✘

La mano di River stanzia sulla mia pancia, mi tira a sé contro il suo petto duro e pieno di muscoli.
Il suo respiro sbatte contro l'incavo fra la mia spalla e il collo.
Mi da i brividi.
Lo sento bruciare come se fosse fuoco mentre mi trascina verso una stanza vuota e chiude la porta con la mano libera.

Sono immobile, non riesco a respirare.
I miei occhi sgranati dal panico, il sapore ferroso di sangue all'interno della mia bocca.
Non sono pronta. Non lo sono assolutamente.

«Va tutto bene Flame, non ci troveranno qui» sussurra contro la mia epidermide prima di rendersi conto che sono una statua fra le sue braccia.

Chiudo gli occhi, mentre cerco di non tremare provando a calibrare il mio respiro.
«Oh cazzo, scusami... scusami... io...» mi molla in un attimo, come se bruciassi anche io come il mio nome.
Vedo il panico nei suoi occhi.

Sono immersa nel buio, un buio che sembra stringermi come un bozzolo, soffocandomi lentamente.
Il mio respiro diventa affannoso, come se l'aria intorno a me si fosse improvvisamente trasformata in una massa densa e viscosa.
Le mani mi tremano, le dita agitate come foglie in una tempesta.
Il terrore mi avvolge come un mantello gelido, stringendomi il petto fino a farmi male.

Il contatto è stato come un fulmine che ha squarciato il mio corpo, un'onda di paura che ha iniziato a diffondersi rapidamente da dove mi ha toccata, irradiando come cerchi concentrici in un lago calmo.
La sua mano sulla mia pelle è stata come un'esplosione, scatenando una tempesta dentro di me.

Il mio cervello urla, sussurrando ossessivamente che devo scappare, che devo liberarmi da quell'orrore che mi sta avvolgendo.
Ma il mio corpo sembra essere diventato di pietra, incapace di muoversi, paralizzato dalla paura.

Le mie gambe vacillano, le ginocchia cedono sotto il peso di quest'ansia che mi schiaccia.
Vorrei urlare, ma le mie corde vocali sono serrate da un nodo di terrore.

Ogni cellula del mio essere è in allerta, come se un esercito di soldati si fosse improvvisamente svegliato dentro di me, pronti a combattere una guerra che non possono vincere.
Il mio cuore batte così forte che mi sembra di sentirlo rimbombare nelle orecchie, come il tamburo di una marcia funebre che annuncia la mia condanna.

E mentre combatto per resistere a questa marea di terrore, i miei pensieri si incagliano sull'unica soluzione che conosco, un'uscita di emergenza che so essere dannosa ma che sembra così allettante.

Voglio solo spostare quel dolore.
Voglio solo rendermi esausta e sanguinante e perdere coscienza.

Non ce la faccio, tutto questo è troppo.
Ogni volta è sempre troppo.

Trattengo le lacrime in un magone che non accenna ad andarsene dalla mia gola, dimenticandomi totalmente di non essere sola in questa stanza che neanche conosco.

«Respira.» la voce di River mi porta a guardarlo mentre cattura le mie orecchie con le cuffie che poco prima gli facevano da collare.

«Concentrati sulla musica e respira.» aggiunge mentre le sue mani rimangono fisse sulle cuffie stando ben attente a non sfiorare me.

Il suono provocatorio di una canzone che neanche conosco si insinua nei miei canali uditivi, parole che parlano di cose che non fanno parte di me.

Cerco di seguire il suo consiglio, concentrandomi sui suoni rudi e sulla voce incisiva del rapper che urla attraverso il dispositivo ad un volume più alto del sopportabile.

Chiudo gli occhi, immergendomi nel testo, lasciando che svuoti la mia mente dalle voci che mi uccidono.

Non so se River stia continuando a parlare, non posso vedere neanche le sue labbra che si muovono ma il mio cuore ricomincia a battere normalmente, il mio respiro si calma lentamente.
Sento di nuovo i miei polmoni riempirsi di ossigeno.
Va meglio.
Non so come, ma va meglio.

«Okay» sibilo.
Sento che il volume si abbassa dopo la mia conferma e riapro gli occhi notando le sue dita ormai lontane da me e intente a girare la rotellina che mi permette di ritornare nel mondo reale.

Ho ancora la vista appannata ma almeno sono qui.
Non sono andata via.

«Meglio?» mi chiede chinandosi verso di me come se mi avesse letto nel pensiero.
C'è dolcezza nella sua voce, un tono che si contraddice a tutto il sarcasmo usato fino ad ora.

Annuisco, stringendomi su me stessa.
Striscio verso la parete tirando le gambe verso il mio petto.

«Ascolti musica di merda.» dico mentre riprendo aria. Non me ne rendo conto ma mi esce un riso liberatorio, le mie labbra si incurvano e lascio che dell'aria venga esalata.

«Ehi, calma con le parole signorina, questa è musica vera... quella che viene dalla strada. Quella della vita.» ride smorzando il momento.

Mi ritrovo ad accorgermi di quanto stia bene quel sorriso su di lui.
Non è lo stesso di sempre, non è quello dalle note sarcastiche atto ad irritare la gente.
Non è un ghigno, è un sorriso, di quelli veri, genuini, naturali.

«Giusto, effettivamente un tizio che inneggia parole narcisistiche, volgari e maschiliste è il top del top, come ho fatto a non accorgermene?» scuoto la testa.

«Questi tizi...» sottolinea. «Sono stati i primi a vincere  premi nella categoria Hip Hop negli anni ottanta.»

«Ovvio che stupida... dopotutto è un testo così carico di emozioni. Taylor Swift dovrebbe solo imparare da questi individui» roteo gli occhi al soffitto.

Lui mi guarda per qualche secondo, in silenzio. Mi chiedo cosa stia pensando mentre aggrotto la fronte.

«Intanto questi individui, come li chiami tu, ti hanno aiutato a tornare da me» risponde in modo serio.
«Non credo che Cosa Swift ci sarebbe riuscita con le sue 'emozioni' da cui tu stai cercando dannatamente di scappare»

Il mio corpo si irrigidisce, non so cosa rispondere mentre sento il petto esplodere.
Lui distoglie lo sguardo per un attimo, muovendo la lingua all'interno della sua bocca tanto da creare piccole montagne con le sue guance e contrarre le sue cicatrici.

«Te le sei fatte da solo quelle?» mi ritrovo a chiedere, forse, per spostare il discorso lontano da me.

River torna a guardarmi, la sua mano va su uno di quei solchi che si ritrova sul volto come se dovesse ricordarsi dove sono.

«Perché ti piacciono?» ghigna in quel modo irritante. «Non ti biasimo, sono davvero sexy»

Ed eccolo di nuovo, il suo modo arrogante di rovinare tutto.
Ma forse è proprio questo.

Io le emozioni le rincorro, anche se mi uccidono, forse per farmi ancora più male, lui i sentimenti li estrania, li nasconde per bene sotto quella patina da stronzo antipatico.

«Sei proprio un coglione.» distolgo lo sguardo ma non posso fare a meno di sorridere.
«Lo so.» ammette «Ma sono un coglione simpatico almeno»
«Se lo dici tu...»

Il silenzio torna a invadere quel nostro spazio vitale.Mi accorgo adesso, che siamo in una specie di magazzino dove imballate da carta trasparente ci sono varie attrezzature e utensili per gli infermieri e i medici.

«Credi che siano ancora lì fuori a cercarci?» chiedo guardando la porta tenendomi ancora stretta alle mie ginocchia.
«Non saprei, ma in ogni caso parlo io con Nick» dice lui alzando le spalle e sedendosi proprio accanto a me.
Divarica poco le gambe poggiando la schiena contro il muro.

«Vuoi tornare adesso?» mi domanda voltandosi.
La richiesta mi rimbomba addosso, vagliando le varie opzioni che mi si presentano davanti fino a decidere la risposta che non ho dubbi di voler dare.
«No» dico in modo secco e deciso.
«Okay» replica.

«River?» sussurro senza guardarlo.
Per la prima volta il silenzio non mi piace. Questo silenzio non mi piace.
Scatena cose che non riesco ad accettare, esigenze che vanno ben oltre la mia volontà.

«Mhm?» mugugna portando il castano dei suoi occhi su di me.
«Puoi rimettere quella canzone di merda?» chiedo mentre mi aggiusto le cuffie a coprire nuovamente le mie orecchie.

Non ne sono sicura, ma mi pare di notare il suo stupore trasformarsi in soddisfazione mentre tira fuori dalle tasche della felpa nera il dispositivo e clicca play riportando quel suono poco armonioso a coprire tutto il resto.

«È proprio tremenda.» rido, ma lo faccio di gusto.

Come non lo faccio da anni.
E per un attimo, solo per un millesimo di secondo, mi dimentico chi sono, perché sono qui e tutto quello che fa parte di me.

Mi perdo in quella risata naturale, in quella sorta di felicità che avevo dimenticato potesse esistere.
Lo guardo, mantenendo quella luminosità sul mio volto, lo vedo muovere le labbra ma non riesco a capire.

E forse, al momento, è meglio così.


▪▪▪▪▪

NOTE DELL' AUTRICE

La scena finale è una di quelle che non vedevo l'ora di mettere per iscritto.
Quando l'ho pensata, tempo fa, è nata in modo così naturale e genuino che non mi sembrava neanche vero.
Sono una fan di Taylor, non è una novità, ma il paragone che fa River con le emozioni è qualcosa che ho vissuto sulla mia pelle, così, quando ho pensato alla giusta contrapposizione fra i due, Raising Hell dei Run-DMC, è stata una scelta automatica.

Ne approfitto anche, per ringraziare, chi mi sta scrivendo in privato.
Chi commenta, chi stellina, chi mi carica di belle parole che mi danno il buongiorno e mi fanno anche piangere.
F.E.A.R. è nato con l'obiettivo di aiutare chi non sa chiedere aiuto o chi vuole chiederlo ma non sa come fare.
Non è una vergogna farlo. La sanità mentale non è un gioco, non è meno di un dolore fisico, anzi, a volte è anche peggio.

Sentitevi liberi di scrivermi, di usare i miei DM sui social a vostro piacimento, di parlare, di sfogarvi .
Non sono una psicologa, non sono una psichiatra, non pretendo di esserlo ma so per esperienza che anche solo essere ascoltati, a volte, può aiutare più di quanto sembri.

Ci vediamo Venerdì per il prossimo capitolo

❤️

Su tik tok e instagram dove mi trovate come: neensonwattpad
I miei dm sono sempre aperti per qualsiasi cosa <3

xoxo

Neens

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