ᴠɪɪɪ - ᴀɴᴅ ɴᴏᴡ ᴡʜᴇɴ ᴀʟʟ ɪꜱ ᴅᴏɴᴇ ᴛʜᴇʀᴇ ɪꜱ ɴᴏᴛʜɪɴɢ ᴛᴏ ꜱᴀʏ

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Quando riapro gli occhi al mattino sono nel mio letto.
Avrò dormito sì e no tre ore ma non mi pesa per niente.

«Ti sei svegliata finalmente» Addie mi accoglie nel mondo reale con la sua voce squillante come ogni mattina, alle prese con la sua serie di esercizi fisici per bruciare le calorie.
«Ma come cazzo fai ad essere così attiva di prima mattina Addie» bofonchio buttandomi nuovamente sul cuscino.

«Perché a differenza tua non faccio le ore piccole in giro con River, raggio di sole.» noto quel sorrisetto che presenta ogni volta che il suo busto si alza e la sua testa supera il bordo del letto mostrandosi a me.

«Come fai a...» la mia espressione cambia, sbianco di botto, come se avessi commesso il maggiore dei peccati e fossi stata appena scoperta.
«Ero sveglia quando siete tornati. Che carini... sembravate veramente due piccioncini davanti alla porta di casa, al primo appuntamento» dice la bionda modificando la sua voce per prendermi in giro.

«Ma sta zitta!» la mia mano afferra il cuscino per poi lanciarglielo addosso colpendola mentre esegue una delle sue addominali a terra.
«Ehi, sono cagionevole io, potevi rompermi un braccio!» ride, ma c'è tanto di vero in quella frase.
Addie è un fuscello, seppur si stia riprendendo, ha ancora tanta strada da fare.

«Quindi? Voglio i dettagli... vi siete baciati?» lei si ferma, sale sul letto, pronta ad assaporare ogni gossip che io possa darle.
Peccato che non ci sia niente da dire se non che io abbia avuto un attacco di panico in piena regola.

«No, non è nulla di quello che pensi Addison» roteo gli occhi, eppure, una piccola risata esce dalla mia bocca.
La leggerezza di questo momento mi fa stare bene, mi rilassa.

«Lo conosco quello sguardo. Quella da 'sono cotta, fottuta, innamorata da far schifo'» risponde lei di rimando.

Apro la bocca per dissentire, ma non esce niente se non un suono strano che si blocca all'estremità della gola.

«Oh mio Dio sei proprio sotto un treno Flame. Ti si legge in faccia!» mi punta un dito contro.
Dal canto mio abbasso gli occhi, sento una sorta di bruciore sulle guance, segno che io stia arrossendo.

«Non è proprio così.» sospiro. «È stato carino con me, tutto qui» alzo le spalle evitando sempre di guardarla.
«E...» insiste.

«No, non ci siamo baciati, non riesco a farmi toccare da nessuno figuriamoci a baciare qualcuno Addison» non mi accorgo di aver alzato la voce mentre mi lascio andare in un respiro esalato che sa tanto di resa.

Non nego di aver avuto quel pensiero ad un certo punto, quando, isolata da tutto il resto mi sono permessa di guardarlo un po' di più nel silenzio delle nostre parole e nel rumore della musica nelle mie orecchie.

Ormai è chiaro anche a me stessa che River mi piaccia, che scateni in me qualcosa che non riesco neanche a contemplare.
Non è lo stesso che avevo provato con Aaron tempo prima, non era quella sorta di sottomissione alle sua volontà, quella tossicità invisibile che contornava le nostre giornate.

Aaron mi aveva tolto tutto, mi aveva richiesta come proprietà e io me l'ero fatta andare bene.
Non era cattivo, non mi aveva mai trattato male o fatto intendere qualcosa, ma la vivevo nei suoi sguardi quella sorta di pressione e l'insicurezza di sentirmi sempre sbagliata con lui.
Né troppo magra, né troppo intelligente, né troppo bella, né troppo socievole.
Anonima.

Aaron Rogers era entrato nella mia vita nel momento più giusto in cui potesse farlo e allo stesso tempo in quello più sbagliato.
Bello da far mozzare il fiato, capitano della squadra di football, ottimi voti, reputazione da invidia.
Era il ragazzo perfetto e non solo sulla carta.

Ricordo che quando mi chiese di uscire la prima volta dopo la festa post partita ero fuori di me dalla felicità.
Io, così insignificante ero stata notata da lui, così irraggiungibile ai miei occhi.

Ma quando sei abituata a vivere nel silenzio anche il minimo rumore ti spaventa e seppur agli occhi degli altri, la nostra sembrasse la relazione perfetta, in realtà non la rappresentavamo per niente.

Aaron mi aveva tirato fuori dall'ombra dell'anonimato e mi aveva catapultato nel brillante riflettore della sua attenzione.
Era come se ogni movimento, ogni parola, ogni aspetto della mia vita fosse improvvisamente definito da lui.
E quella pressione era diventata asfissiante.

Essere la ragazza del più popolare della scuola significava molto più di semplicemente essere con lui.
Significava adattarsi a un certo standard, a un'immagine ideale che, onestamente, non sapevo se avrei mai potuto raggiungere.

Aaron aveva il potere di plasmare chi ero e cosa dovevo essere per lui, e mi sentivo costantemente inadeguata.

Era come se fossimo destinati l'uno all'altra, due pezzi di un puzzle che finalmente si incastravano. Passavamo ore insieme, parlando di tutto e di niente, ridendo e condividendo segreti.
Come se fossimo isolati dal resto del mondo, solo noi due in una bolla felice e protetta.
Ma allo stesso tempo dovevo essere sempre adeguatamente impeccabile, sempre al suo fianco, sempre pronta a soddisfare le sue aspettative e quelle degli altri.

Ogni passo che facevo era sotto osservazione, giudicato da occhi critici che aspettavano solo il momento in cui avrei sbagliato.

Mi ero persa nella convinzione che lui fosse la mia roccia, l'ancora a cui aggrapparmi, e il sesso fra di noi dava quella spunta in più per rendermi ancora più dipendente dalla sua persona.

Poi mia madre è morta.
Lo sapevamo, lo aspettavamo, ma quando è successo mi sono sentita morire dentro anche io.

Le crepe nella nostra relazione hanno cominciato a farsi più evidenti.
Le discussioni diventavano sempre più frequenti, le incomprensioni sempre più profonde.

Il sesso, era diventata l'unica cosa a tenerci uniti in quel mare di merda che ci stava venendo addosso, fino a quando, il mio corpo non ha iniziato a rigettare anche lui.

È stato graduale, all'inizio provavo solo fastidio.
Ogni volta che lui poggiava le mani su di me mi sentivo sporca, usata, come se stessi commettendo il peccato più grande e terribile.

Ogni orgasmo diventava finto, si tramutava in pianto sommesso e dolore.
Le menzogne finirono per esaurirsi fino a venire allo scoperto.

Lui cambiò atteggiamento verso di me, iniziò ad essere più distante, gelido...
Il suo sguardo perforava la mia anima, la distruggeva, ricordandomi come fossi diventata un involucro vuoto che non riusciva neanche più a darsi e a dargli piacere.

Forse, in Aaron avevo visto quella figura maschile che avevo perso quando mio padre aveva deciso di abbandonarci, di sparire dalla vita mia e di Liv dopo che mia madre lo aveva sbattuto fuori casa.

Non mi hanno mai detto perché, ma il fatto che lui non mi abbia cercata mi ha portato ad essere sempre più convinta che fosse colpa mia.

Avevo sei anni e l'uomo che mi aveva concepita sbatteva la porta di casa per non tornare mai più.
E poi ne avevo diciannove e il ragazzo che mi aveva tolto l'ultimo pezzo di me, faceva lo stesso.

E anche quella volta, come sempre, per colpa mia.
Come se tutto quello che toccassi o che mi rendesse felice, non fosse destinato a farlo per sempre.

Perché io distruggo non costruisco.
Io annullo.
Me e gli altri.

«Beh sia chiaro se River ti tratta male, anche se è mio amico, gli cavo gli occhi» Addison mi riporta alla realtà, mi sveglia da quei pensieri autodistruttivi, dalla voglia di perdermi nuovamente in me stessa.

La vedo che assottiglia gli occhi, incurvandosi nelle sue stesse ossa e mettendo le dita ad uncino con una smorfia che mi fa sorridere.

«Tu stai creando dei film che non esistono Addie» rido lasciandomi andare sul materasso e guardando il soffitto, eppure non riesco a togliermi quella dannata espressione rilassata dal volto.

«Non mi chiamo T.T.T. io so quello che dico! Scommetto che in pochissimo tempo vomiterò perché tu e River starete qui a limonare senza pudore e ritegno come due piccioncini disgustosi» fa una smorfia schifata per poi ridere, portandomi a roteare gli occhi nuovamente.

«Non credo proprio.» nego.
Ma non è una bugia.

C'è un filo sottile fra il potere e il volere, ma il mio ha deciso di legarmi stretta impedendomi di scegliere da che parte andare.


✘✘✘

«Non riesco a guardarlo, vi prego devo sistemargliela.» Trevor indica NarcoChriss immerso nel suo sonnellino momentaneo dovuto alla narcolessia.

«Non possiamo svegliarlo e se poi gli viene un infarto?» chiede Sam preoccupato.
«È narcolettico, non sonnambulo Sam.» si aggiunge Betty in una risata divertita.
«Non puoi saperlo, potrebbe fargli bum una vena e sbam, stecchito, sul colpo e noi saremmo tutti assassini» Trevor alza le spalle mimando anche un' esplosione immaginaria.
Non so perché ma questa scena mi fa sorridere.

La terapia di gruppo inizialmente mi era sembrata una perdita di tempo.
Un cerchio di persone che risponde a domande, argomentava discorsi, litigava a volte ma in modo apparentemente sano per poi, involontariamente, creare anche teatrini del genere, dove Trevor con i suoi disturbi ossessivo compulsivi dava il meglio di sé.

Ma oggi tutto questo ha l'odore della normalità.

Dustin, il terapista che ci guida è un uomo rossiccio, dalla barba folta e con un paio di occhiali tondi che si appoggia sul naso.

Addie lo chiama il fratello di Psycho, semplicemente perché il modo in cui ti fissa quando ti ascolta inizialmente ti lascia stordito come se volesse vederti attraverso.

«Possiamo tornare al centro della discussione Trevor?» il dottore chiude gli occhi per un attimo lasciando muovere la sua gamba accavallata in un leggero dondolio. «Stavamo appunto dicendo...»

Ma non ha il tempo di finire.
La porta della stanza si apre, accogliendo la figura di Emmett appena uscito dall'isolamento.
Non sembra molto felice di essere qui e lo dimostra dal modo in cui trascina una sedia facendola rumorosamente venire a contatto con il pavimento e si siede a gambe divaricate accanto ad un River silenzioso e immerso in un libro.

«Felice di vederti Emmett» Dustin regala un sorriso sincero aggiungendo un cenno della testa mentre sposta lo sguardo su di lui.

Non posso fare a meno di fissarlo.
Il suo volto contrito e decisamente di un umore non proprio affabile mi fa porre mille domande.

«Sei pronto a condividere con noi i tuoi sentimenti del momento Emmett? O con chi sto parlando ora?» chiede l'uomo perpetuando il suo sguardo.
Aggrotto la fronte, non capendo.

«Cole» risponde il ragazzo incrociando le braccia al petto e portando gli occhi scuri altrove in un punto indefinito della stanza, come se non avesse per niente voglia di parlare.
Noto un accento marcato nella sua voce, americano, ma di quello rude, strascicato.

«Oh bene quello più simpatico del gruppo.» Betty rotea gli occhi.
«Hai qualche problema leccafagiane?» la smorfia che si mostra sul volto dello psicoratto è inaspettata per me.

Non lo avevo mai sentito parlare così.
Di lui avevo colto solo silenzi, un legame mentale fatto di distanza e gesti lontani.
Accanto a me adesso, una persona nettamente diversa si stava palesando.

«Cos'è? Non ti hanno messo la pillolina magica nella colazione stamattina?» risponde Betty di rimando cercando il confronto.
«Cosa cazzo hai detto puttana?» Emmett si alza per andarle addosso.

Mi stringo nella mia stessa sedia, come se mi aspettassi una rissa da lì a breve.
Immobile, deglutisco a fatica sentendo la gola secca.
Le dita sono serrate sulla plastica colorata dei braccioli, così forte che i legamenti delle mani mi fanno male, ma il dolore mi aiuta a restare presente.

Dustin si alza di scatto, il viso teso, pronto a intervenire prima che la situazione sfugga di mano. Ma non è il solo a muoversi.
Anche River, con un movimento fluido, posa il libro per terra.
Sospira profondamente, e con una calma disarmante, mette una mano sul petto di Emmett.

«Non ne vale la pena» dice River, con una voce bassa e rassicurante, come se avesse gestito situazioni simili un'infinità di volte.
Si interpone tra lo psicoratto e Betty, con un gesto della testa che invita l'amico a fermarsi.
Non ci sono suoni se non il leggero scricchiolio della sedia che riaccoglie Emmett, che si siede di nuovo, irritato.
Lo fa con uno sbuffo evidente e un gesto sgraziato, come se tutto ciò fosse un'enorme seccatura.

Osservo la scena con il fiato sospeso, sentendo un groviglio di emozioni.
Vedo Dustin ringraziare River con un cenno e poi invitarlo a tornare al suo posto, cosa che fa rimettendosi a leggere.
La tensione si allenta leggermente, ma io mi sento ancora persa. Non capisco più nulla, travolta dalle sensazioni e dall'incertezza di ciò che accadrà.

Quello non è Emmett.
Non è lo stesso ragazzo che ho ricercato all'interno dell'isolamento per sentirmi in pace con me stessa immersa nei silenzi che ci legavano.

«Comunque riguardo a quello che stavamo dicendo Dustin...» T.T.T. interviene con la sua voce melodica attirando l'attenzione su di sé, ma è chiaro a tutti che l'unico interesse che vuole verso la sua persona è quello dell'unica che non la sta degnando di uno sguardo, perché troppo immerso nelle parole di un libro che non riesco neanche a capire quale sia.  «...io credo che una bella scopata possa aiutare tanto ad essere felici»

Sorride in un chiaro invito rivolto a River, mentre i suoi occhi chiari si volgono alla sua figura.
Ma lui niente, né un cenno, né un segno di aver inteso e di condividere.

«Oh scusate, abbiamo qui una che ormai non sa neanche cosa significa provare un orgasmo» la lama che Tess infilza metaforicamente nel mio corpo e atta a fare male, in realtà mi scivola leggera.

Sono abituata a tutto questo e so benissimo perché lo fa.
Ed è una fortuna, forse, che non abbia idea della mia notte passata con River nel magazzino, seppur non ci sia stato niente di compromettente, se non un bel momento profondo a livello mentale.

«Epicuro parlava dell'atarassia, uno stato di serenità e assenza di turbamento.
È la vera felicità, secondo lui.» ancora immerso nella sua lettura River esordisce con questa frase.
Tutti ci voltiamo verso di lui in modo quasi simultaneo.

«La ricerca della felicità, per Epicuro, non consiste nel piacere carnale, ma nella tranquillità dell'anima. Significa evitare il dolore e il turbamento, raggiungendo uno stato di pace interiore.» continua sempre senza alzare lo sguardo.

«Quindi, secondo lui, basta evitare il dolore per essere felici?» mi ritrovo a parlare.
Non lo avevo mai fatto in queste sedute da quando sono qui, mi ero sempre limitata a lasciare che fossero gli altri ad inserirsi nei discorsi, ascoltando senza battere ciglio, ponderando le domande in me stessa senza ricercare risposta.
Ma ora, quasi involontariamente, le parole escono dalle mie labbra, in una curiosità quasi naturale.

«Non esattamente» risponde River «Non si tratta solo di evitare il dolore, ma di raggiungere un equilibrio. Riconoscere ciò che ci causa sofferenza e fare scelte che ci portino alla tranquillità.»

Mi sento come se dovessi dire qualcosa.
Voglio dire qualcosa.
Ma le parole sembrano bloccate in gola.

«E come si fa a raggiungere questa... atarassiaMangiatuttoKate prende il mio posto, all'interno della discussione.
Dustin annuisce lentamente, come se avesse previsto la domanda anche se non era stato lui a creare il dibattito.

«È una domanda complessa, Kate. L'atarassia non significa eliminare completamente il dolore, ma gestirlo. Accettare che esiste, ma non permettere che ci controlli. Si tratta di trovare momenti di pace anche nelle difficoltà.»

Lo psicoratto sbuffa, aggrottando la fronte. «Facile a dirsi» commenta con sarcasmo. «La vita è piena di schifo»

«Capisco il tuo punto di vista, Cole» continua Dustin usando quel nome diverso che adesso pare identificarlo. «Ma è un percorso, non una destinazione. Ognuno di noi può trovare la propria strada verso la tranquillità, anche se il cammino è lungo e difficile e ricordate non c'è una via prestabilita per farlo.»

Guardo gli altri, vedendo nei loro volti lo stesso misto di scetticismo e speranza che sento dentro di me.

«Pensateci in vista del prossimo incontro e grazie River per le tue pillole consuete di filosofia che fanno riflettere.» aggiunge il rosso alzandosi dalla sedia e ricevendo dall'altro un gesto della mano in risposta.

Due dita, indice e medio, si sollevano simultaneamente verso il sopracciglio destro.
La punta delle dita sfiora brevemente la pelle, quasi come a eseguire un saluto discreto.
Poi, con un movimento fluido, si staccano dal volto e si proiettano verso l'alto, descrivendo un arco netto nell'aria ritornando nel suo silenzio.

«Vorrei sapere di più di questa teoria che hai detto River» cinguetta TellTaleTess avvicinandosi al ragazzo una volta che il cerchio si è sciolto.
Provo l'istinto automatico di voltarmi verso la scena, constatando come T.T.T. si stia per l'ennesima volta rendendo patetica davanti all'altro.

Ma chi sono io per dirlo?
Probabilmente, vista dall'esterno, anche io avrò mostrato segni simili quando stavo con Aaron e di conseguenza altri avranno pensato lo stesso di me.

«Tieni» risponde il ragazzo senza considerarla più di tanto e chiudendo il libro che ha fra le mani per poggiarlo su quelle della bionda. «Leggi, fa bene ed è gratis»
L'espressione sconvolta di Tess è tutto un programma mentre River si alza e invita Emmett a fare lo stesso per allontanarsi.

So che non dovrei.
So che è sbagliato.
So che da ragazza il mio dovere dovrebbe essere palesare una sorta di solidarietà verso di lei.

Ma nonostante cerchi di farlo con tutta me stessa, la soddisfazione che mi riempie dentro la supera di gran lunga mentre rido silenziosamente avviandomi verso l'uscita della stanza.


✘✘✘

Quando mi accorgo che Addie non è più accanto a me è troppo tardi.
Mi aspetto di sentirla commentare per l'ennesima volta la figura di merda di Tess, ma non è così.
Sparita, scivolata dalla mia vista, in mezzo al gruppo in uscita dalla stanza.

Ma non mi preoccupo, sicura che sicuramente ne starà combinando una delle sue.
Quasi inconsciamente mi ritrovo a separarmi dagli altri prendendo una strada diversa che mi porta alla mia stanza.
La stessa che mi aveva mostrato River quando siamo tornati dal magazzino la notte prima.

Nonostante non voglia ammetterlo a me stessa, questo posto sta iniziando a piacermi e per la prima volta negli ultimi due anni, non sto sentendo più la continua esigenza di spingermi verso la fine.
Non so perché.
Non è passato neanche tanto tempo da quando sono qui eppure, seppur non avvertendo il loro tocco in modo fisico, è come se li sentissi tutti vicini in un modo o nell'altro.

Non mi era mai successo.
Ho sempre allontanato tutti perché sentivo che non mi capivano, perché erano così diversi da me e adesso, ritrovo in loro le mie stesse paure.

Mi perdo così tanto in questo pensiero che mentre cammino lentamente lungo il corridoio, non mi accorgo subito della porta semi aperta che da sul balcone.

In effetti, mi ritrovo a dover tornare indietro sui miei passi per notarla, attirata da un riflesso di fumo ondeggiante nell'aria che si alza dall'altro lato della finestra.

È strano come un sorriso appaia sul mio volto, come i miei piedi mi portino ad avvicinarmi fino a poggiare le mie dita sulla porta socchiusa fino a svelare a me stessa chi vi sia nascosto in un posto a noi vietato.

Ed è come se una parte di me sapesse già che lì dietro, non ci fosse uno dello staff che mi avrebbe rimproverato in men che non si dica.

«Non avete paura di essere beccati?» chiedo chiudendo la porta alle mie spalle nel medesimo modo in cui l'ho trovata

River si volta incrociando lo sguardo con il mio, dapprima stupito, quasi spaventato, per poi regalarmi uno dei suoi ghigni divertiti che ormai ho capito mi piacciano un casino.

«Sono un amante del rischio pensavo fosse chiaro.» vedo i suoi gomiti poggiarsi sulla rete anti suicidio prima di passare la sigaretta ad Emmett.
Il suo sguardo mi studia, dall'alto al basso, come se mi vedesse per la prima volta.

«Tu sei quella che piace a Ben.» Emmett inclina la testa facendo un tiro alla sigaretta ormai quasi finita prima di buttare il fumo dalla bocca.

«Ben?» la parlantina ritrovata dell'altro mi stranisce.
Devo ancora metabolizzare che in questo momento io non stia parlando con la stessa persona che ho "conosciuto" se così si può dire, all'interno dell'isolamento.

«Lo hai incontrato il primo giorno, è una delle sue personalità» River alza le spalle guardando altrove verso il cortile oscurato in parte dalla rete posta sulla ringhiera.

«Però se vuoi, puoi conoscere anche me dolcezza.» Emmett fa per avvicinarsi, la sua mano che si allunga nel tentativo di prendere la mia vita per tirarla a sé poco prima che io faccia un passo indietro.

«Sei disgustoso Cole, è normale che nessuna te la dia se fai così.» River lo interrompe, ridacchia, ma mostra anche una smorfia contrita nel farlo, quasi come se gli desse fastidio.

Cerco di ricompormi, abbracciando il mio corpo e abbassando lo sguardo verso il pavimento.
Non so perché sia ancora qui, perché non me ne sia ancora andata via.

«Quindi tu sei Cole?» chiedo tornando a guardare lo psicoratto.
«In carne, ossa e cervello deviato tesoro.» Cole, o Emmett o chiunque sia getta la sigaretta attraverso uno dei piccolissimi buchi della rete facendola cadere verso il cortile e fissandola lungo il suo tragitto.

«Dovresti tornare nella tua stanza toccofobica» mi rimbrotta River in una specie di consiglio.
Ma non voglio farlo.
Non adesso almeno.

Inclino la testa mentre dalla mia bocca escono dei suoni, una domanda che mi si è impigliata nella testa sin dal primo giorno dentro il St. Margareth.
«Non prima di sapere perché tu sei qui. Voglio dire, ognuno di noi ha un motivo per essere in questo posto e tu non sembri avere nessun problema se non l'essere uno che si sente superiore a tutti e gioca a fare l'arrogante con le ragazze che provano qualcosa per lui» le parole mi escono come un mare in piena.

Non le controllo.
Ma quando sto in sua presenza, in un modo che neanche capisco, qualcosa si agita in me.
Mi fa essere qualcosa, qualcuno che pensavo non sarei mai stata.
Quella capace di ribattere, di rispondere, di non farsi annullare dalla presenza di un uomo.

«Ouch, la ragazza ha le palle amico.» la voce di Cole si inserisce «Mi chiedo come potrebbe stare sopra le mie»

Le parole della personalità mostrata adesso da Emmett mi danno il ribrezzo.
Mi fanno sentire nuovamente sporca, incapace di ribattere.

Distolgo lo sguardo, ripuntandolo su River, in attesa di una qualche risposta.
Lui di contro mi osserva, mi studia di nuovo, lasciando andare indietro di poco la testa e mordendosi il labbro inferiore assottigliando leggermente gli occhi.

«Fai troppe domande Scintilla» la sua risata fatta solo di aria mi disturba, non mi basta.
«In realtà ne ho fatta solo una.» rispondo mantenendo il suo sguardo.
La sento di nuovo, quella sorta di elettricità che parte da me e arriva a lui per poi ritornare al mittente.
La stessa che avevo provato quando ci siamo parlati la prima volta.

«Mi hai chiesto come mi sia fatto le mie cicatrici.» continua citando la sera prima e le mie curiosità.
Quasi dimentico che non siamo soli, che Emmett ci sta guardando, gustandosi la scena.
«E non mi hai risposto.» è un battibecco che non finisce mai fatto di fermezza da parte mia e di divertimento dalla sua.
Mi irrita. Mi irrita da morire il modo in cui se la ride prendendomi in giro.

«Perché hai paura di essere toccata?» si stacca dalla ringhiera in quel sussurro, il suo volto fa per avvicinarsi al mio, è un millimetro quello che ci separa bloccando il mio respiro e lasciando che la tachicardia prenda possesso di me.
«Non lo so.» dico perdendo la connessione con il suo sguardo.
Cedendo nel bel mezzo di una battaglia che non posso combattere.

Lui ghigna, scuote la testa.
«Abbiamo tutti i nostri segreti stellina e non ti conviene scoprire i miei.» si tira indietro poi, lasciandomi lì, facendo cenno ad Emmett di seguirlo verso il corridoio.

Non posso fare a meno di chiedermi perché faccia così.
Perché mi tratta ogni volta in modi diversi.

Mi difende e poi ride di me.
Mi riporta indietro, mi riempie di belle parole e consigli e poi non apre sé stesso.
Le sue contraddizioni mi spaventano e allo stesso tempo, in un modo così masochistico mi attirano come una calamità che cerca la sua parte opposta.

Chiudo gli occhi, prendo un respiro profondo prima di lasciare il balcone alle mie spalle e chiudere la porta reimmettendomi all'interno.
Questo posto mi sta cambiando, lo noto.
Mi fa interessare alle persone, mi fa crescere una voglia di scoprirle, forse, per capire se stanno peggio di me e aggrapparmi a quella sottile patina di speranza.

Il corridoio silenzioso si ciba del vorticare della mia testa.
Dei troppi pensieri che si accumulano dopo il breve incontro appena avuto.

Mi hanno sempre detto che penso troppo.
Ed è vero.
Arrivo al punto di pensare di pensare troppo entrando in un loop malsano che mi annienta piano piano.

Il percorso fra il primo e il secondo piano mi sembra interminabile adesso, cadenzato dai miei passi che strisciano sul pavimento.
Dalle sensazioni che mi rimangono e di quel respiro contro il mio, così vicino.
Così tremendamente e paurosamente vicino.

Ma è nel momento in cui salgo le scale e mi avvio verso la mia stanza che il rumore sommesso di gemiti ovattati mi risveglia.
La curiosità prende possesso di me, di nuovo.
Mi fa fare qualcosa che forse non dovrei fare.
Fino a mostrarmi l'immagine che di certo non mi sarei mai aspettata.

«Non ci credo.» sussurro forse ad un volume troppo alto.
Stupita, o peggio sconvolta nel vedere la chioma bionda davanti ai miei occhi rivelare il volto di Addie che si stacca in modo immediato dalle labbra dell'ultima delle persone che mai avrei potuto immaginare.


▪▪▪▪▪

NOTE DELL' AUTRICE

Se subisci violenza fisica o psicologica. Denuncia.
Se ti senti come Flame con Aaron, lascia.
Quello non è amore. Ricordalo sempre.

❤️

Ci vediamo Martedì per il prossimo capitolo.

P.S. Grazie al mio professore di Filosofia  del liceo che con le sue modalità anticopia mi ha costretto a studiare la materia e amarla. 
River, involontariamente, è nato un po' anche grazie a lui. 


Su tik tok e instagram dove mi trovate come: neensonwattpad
I miei dm sono sempre aperti per qualsiasi cosa <3

xoxo

Neens


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