xxɪ - ɪɴɴᴇʀ ᴅᴇᴍᴏɴꜱ ᴅᴏɴ'ᴛ ᴘʟᴀʏ ʙʏ ᴛʜᴇ ʀᴜʟᴇꜱ

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng




Il silenzio è qualcosa che mi uccide.
A volte lo agogno, a volte lo odio.
È come un uragano che si abbatte su di me, devastando tutto ciò che pensavo di sapere, tutto ciò che credevo di essere.


Mi domando se River lo senta, se percepisca la mia confusione, il mio smarrimento. Resto ferma, immobile come una statua scolpita nell'incertezza. Le parole che ho appena pronunciato rimbombano nella mia testa, risuonano come un eco che non riesco a spegnere.

"Ho bisogno di te, River."

Ancora non mi sembra reale. Le mie mani tremano lievemente, come se il peso di quell'ammissione fosse troppo da sopportare.

«Flame, stai bene?» La voce di River è un sussurro, un filo sottile che si intreccia ai miei pensieri. Annuisco, ma non sono sicura di cosa significhi davvero.


Bene? Cosa significa "stare bene" quando il mondo che conosci si sgretola sotto i tuoi piedi?


Il bisogno di analizzare, di capire, si fa strada nella mia mente come un parassita. Ogni sensazione, ogni emozione, ogni battito di ciglia sembra dover essere scomposto e ricomposto, in cerca di un senso che forse non troverò mai.


Perché ho bisogno di lui? La domanda rimbalza nella mia mente, incessante, come un eco.
Ho bisogno di River, ma cosa significa davvero? È solo una risposta alla mia solitudine, o c'è qualcosa di più profondo, qualcosa che non riesco a comprendere?


Chiudo gli occhi e mi costringo a respirare lentamente.
Dentro, fuori. Dentro, fuori.
Il sapore salato delle lacrime mi riempie la bocca, ma non faccio nulla per fermarle. Le lascio scorrere, come se potessero portare via con sé un po' del mio dolore, un po' della mia confusione.


Mi sforzo di calmare i battiti frenetici del cuore, ma tutto questo sembra solo alimentare il caos dentro di me. I pensieri si accavallano, si scontrano, si fondono in un groviglio indistinguibile. Ho bisogno di tempo, di spazio, di capire. Ma più di tutto, ho bisogno di lui.


Perché l'ho detto? Perché ora?
Provo a fare ordine nel tumulto dei miei sentimenti. La paura di essere toccata mi ha sempre governata, come una tiranna che mi tiene in catene. Eppure, il contatto di River, seppur inaspettato e non richiesto, ha acceso qualcosa di nuovo. Non so se è il desiderio di combattere quella paura o la sensazione che, con lui, tutto possa essere diverso.


Rivivo il momento, le sue labbra sulle mie, il calore del suo corpo contro il mio. È come un incendio che divampa lentamente, lasciando spazio a qualcosa che ormai mi sembrava dimenticato, ma incredibilmente vitale. Le emozioni si intrecciano, si confondono, rendendo impossibile distinguerle.


Riapro gli occhi e trovo il suo sguardo fisso su di me, un misto di ansia e speranza che riflette il mio. Siamo qui, due anime smarrite che cercano di trovare un senso in mezzo al caos.


Le mie dita tremano mentre stringo il bordo della maglietta. Mi sento divisa tra il desiderio di fuggire lontano e quello di rimanere qui, proprio accanto a lui.


River, con i suoi occhi che sembrano leggere ogni mio pensiero, ogni mia paura. Lui, che con un solo tocco ha infranto le barriere che avevo costruito con tanta fatica. Non so se questo sia un attacco di panico, uno dei miei soliti, perché è diverso.


Le mie paure sembrano dissolversi e riformarsi in un ciclo infinito. Mi ripeto che dovrei essere spaventata, che dovrei respingerlo. Ma ogni volta che ci provo, il suo sguardo mi intrappola, mi tiene ferma, costringendomi a confrontarmi con ciò che provo davvero.


Non riesco a capire come sia possibile desiderare qualcosa che mi terrorizza così tanto. Quel bacio... quel maledetto bacio ha cambiato tutto. Ha scosso le fondamenta della mia esistenza, mettendo in discussione tutto ciò che credevo di sapere su di me.


"Ho bisogno di te, River."
Perché diamine l'ho detto?


Le parole echeggiano ancora e ancora nella mia mente, come una melodia che non riesco a smettere di ascoltare. Le ho dette io. Le ho dette perché le sentivo vere, perché in quel momento erano l'unica cosa che aveva senso.

Ma ora? Ora mi sento persa in un mare di dubbi, annegata nelle mie stesse paure.


Cerco di concentrarmi su un punto fisso, di trovare un'ancora, qualcosa che mi tenga salda. Ma ogni cosa mi riporta a lui, a quel bacio, a quel contatto. Mi sento esausta, svuotata. Le lacrime mi bruciano gli occhi.
Mi sembra di affogare nei miei pensieri.


La mia mente grida di paura, il mio corpo risponde con desiderio e con repulsione e il mio cuore...

Il mio cuore batte in un ritmo nuovo, sconosciuto, che mi spaventa e mi attrae allo stesso tempo.

Mi sembra di camminare su un filo sottile, un equilibrio precario tra la paura e la voglia di sentire.
Di toccare.
Di essere toccata.


È stato un fulmine a ciel sereno, un istante che ha sconvolto tutto. Mi ha fatto paura. Mi ha fatto desiderare. Non so come conciliare questi due sentimenti così opposti, così stridenti.


Sto impazzendo.
La mia testa esplode e non so come fermarla.
Aiuto.


«Flame, torna qui. Torna da me.» River si avvicina, non mi sfiora però, sta a debita distanza, come se capisse tutto quello che sto provando in questo momento.


Come se volesse lasciarmi il mio spazio, il mio tempo, la mia necessità di capire me stessa ma allo stesso tempo, non farmi perdere in un ciclo di tunnel malsani che mi porterebbero altrove.
Noto la paura nei suoi occhi, quando li incastro ai miei.


«Mi dispiace ok? Non volevo... non ho pensato. Scusami» continua a ripetere. Ma le sue parole sono ovattate.


«Flame...» River avanza di un passo, incerto. Le sue mani si aprono e si chiudono nervosamente lungo i fianchi, come se cercasse di trattenere qualcosa che sta per sfuggirgli di mano. «Non volevo forzare nulla. Non è mai stata mia intenzione...»


Lo guardo, cercando di vedere oltre la maschera di sicurezza che si è costruito intorno. Lo vedo tremare leggermente, come se fosse tanto spaventato quanto me. È strano, questo equilibrio precario tra noi, dove entrambi cerchiamo di non infrangere le regole non scritte che ci siamo imposti.


Annuisco, lo so. Ne sono consapevole.
Non l'ha mai fatto, ha sempre rispettato ogni mia esigenza senza andare mai troppo oltre.
Anzi, è arrivato al punto di difendermi quando gli altri non facevano lo stesso invadendo la mia barriera invisibile.


«Dimmi qualcosa, ti prego.» continua.

Ma io qualcosa l'ho detta.
Non so con quale coraggio ma l'ho fatto.


Gli ho detto che ho bisogno di lui, che in qualche modo mi è entrato sotto la pelle, stravolgendo tutto.
Eppure adesso le parole mi muoiono sulla lingua, incapaci di uscire, di farsi strada.


Le mie dita si stringono sulle braccia, cercando un appiglio che mi possa dare la forza di continuare questa conversazione. Guardo River negli occhi, cercando di trasmettergli tutto quello che non riesco a dire con le parole.


River abbassa lo sguardo per un attimo, come se stesse cercando una risposta nei dettagli del pavimento sotto i nostri piedi. Il suo respiro è irregolare, come il mio, eppure entrambi cerchiamo di ritrovare un equilibrio che sembra sempre scivolare via.
Mi chiedo se sia mai possibile capire veramente il cuore di qualcun altro. Se sia mai possibile perdersi abbastanza nelle sue profondità da trovare una risposta chiara e definitiva a tutto questo.


«Ti prego», insiste River con voce soffocata dall'ansia. «Di' qualcosa.»
Ancora una volta, mi sento come se stessi affrontando una scelta cruciale, una biforcazione nel sentiero della mia vita.


Ma non sono pronta a prendere una strada. Non ora.


«Non c'è bisogno» riesco finalmente a sussurrare, gli occhi ancora fissi nei suoi. La mia voce è un filo sottile, fragile come il vetro. «Non c'è bisogno di scusarsi.» distante, come se provenisse da un altro mondo. Un'altra dimensione.


Le sue spalle si rilassano impercettibilmente, ma i suoi occhi restano fissi nei miei. Distolgo nuovamente lo sguardo, le mie mani si torturano fra loro.
«Io... non posso accettare te..» prendo ossigeno, ne ho bisogno «...se prima non lo faccio con me stessa»


È questo il motivo principale. Devo capirmi, affrontare ciò che mi turba. Il mio passato probabilmente, ciò che ho sepolto nella mia mente e che la Worley sta cercando in modo disperato contro le mie resistenze di far venire fuori.
Stanno cercando di salvarmi, tutti, ognuno a modo suo.


River mi fa vedere il desiderio di qualcosa che non pensavo avrei mai voluto così tanto.
Mi da la speranza che ci sia veramente questa dannata lucina in fondo ad un tunnel pieno di buio.
Addie mi fa vedere il buono delle cose, il lato felice di ciò che la vita potrebbe darmi. La spensieratezza di momenti leggeri e pieni di sorrisi che ho sempre nascosto per paura di perderli subito dopo.
Emmett mi regala la lotta di tante emozioni diverse, che combattono tra loro per poi unirsi in una, principale.
E la Worley, la madre di River, cerca di scavare dove io non mi sono mai azzardata a fare, per paura.


E se voglio veramente uscire, se voglio vivere come tutti credono che io dovrei fare, non devo più restare indietro e lasciare che la vita scorra fino a quando quel maledetto mostro non mi porterà con sé.


River annuisce, silenziosamente.
Stringe le labbra fra loro, accettando i miei tempi, come fa sempre da quando ci siamo conosciuti.


E questa, per me, adesso... è la dichiarazione di affetto più grande che qualcuno mi abbia mai donato.
E va bene così.


Va perfettamente, bene così.


✘✘✘

River e io ci avviamo verso la porta con passo lento e misurato, come se il ritorno alla realtà fosse una sfida da affrontare con cautela. Il vento serale ci accarezza il viso mentre lasciamo dietro di noi il silenzio contemplativo delle altezze. Le stelle brillano sopra di noi, punti di luce nel buio che avvolge il tetto dell'istituto.


Le nostre ombre si allungano sulle pareti, accompagnandoci nel nostro silenzioso ritorno verso le stanze al secondo piano. River cammina accanto a me, ma c'è ancora una distanza rispettosa tra noi, come se il nostro breve momento di intimità sulla terrazza fosse stato un sogno che ora sfuma lentamente.


Attenti entrambi, a non mostrare le nostre presenze alle telecamere accese, consci dei movimenti da fare per non essere intercettati.
Non ci scambiamo parole, ma sento il peso dei nostri pensieri.
Mi fermo di fronte alla mia porta, la prima lungo il nostro percorso.


«Buonanotte» mi dice in un sospiro carico di tutto.
«Buonanotte» rispondo.


Ma non ci guardiamo. Come se il solo farlo, potesse scatenare l'ennesima tempesta.
La mia mano si poggia sulla maniglia, spingendola leggermente per aprirla e farmi risucchiare dentro di essa prima di chiuderla alle mie spalle.


Addie sta dormendo, beata, sotto le lenzuola che la coprono fino al naso e io, crollo, ma in modo diverso.
Un respiro profondo è quello che faccio prima di lasciare che le mie gambe cedano sotto il mio peso, proprio come il giorno prima, Addie, ha fatto prima di me.


Le lacrime iniziano a scorrere, di nuovo, come se in realtà si fossero solo fermate per pochi secondi o non lo avessero proprio fatto.
Porto le mani sul volto, ingoiando versi e rumori per non svegliare la mia amica.


Perché sono così? Perché non posso essere normale?


Perché la mia mente non fa altro che boicottare tutto ciò che potrebbe farmi bene? Vivo una costante contraddizione. Io sono una costante contraddizione.


E in questo momento, vorrei solo che tutto questo non fosse mai accaduto. Che quella notte Liv, non mi avesse trovata nel bagno, piena di sangue, del mio stesso sangue. Vorrei non aver mai messo piede qui.


Vorrei non aver mai conosciuto queste persone che mi stanno dando una nuova speranza, una felicità che non avrei mai dovuto provare.
Perché se sai che non puoi raggiungerla, annientarsi è più facile.
Se credi che non esista, perdere qualcosa che non conosci non fa male.

Ma quando ti ritrovi a farla tua, a viverla a provarla senza freni tirati, vederla scivolare via a causa di quello che sei, è insopportabile.


Stringo i pugni, combatto contro me stessa.
Vorrei spaccare tutto, vorrei spaccare me.
Gli occhi carichi di lacrime in continua uscita si poggiano sulle cicatrici che mi sono inflitta da sola nel tempo.


Un piccolo pensiero, un tarlo, un verme viscido che si insinua nella mia testolina malata, mi invita a farlo di nuovo.
A riaprirle.


Perché sono fatta così. Perché è così che funziona no?


Non puoi cambiare qualcosa che è nato per essere difettato.
Non puoi aggiustare qualcosa che è stato rotto per sempre.


Puoi provarci, puoi tentare di dargli una nuova vita, incollando piano piano ogni pezzettino con dedizione e cura, ma alla fine, sarà sempre un giocattolo rotto.


Deglutisco, sposto lo sguardo al letto dove il pupazzo di Madame, troneggia guardandomi con quel solo occhio che sembra studiarmi, giudicarmi.
Anche lui è rotto, ma non si lamenta.


Non fa discorsi del cazzo come faccio io.
Non finge di essere qualcuno che non è, come faccio io.


Stringo le labbra, ingoio la mia stessa saliva.
Il male diventa rabbia.
La rabbia si trasforma in accettazione.
Smetto di piangere, vado verso il piccolo bagno all'interno della nostra stanza e mi guardo allo specchio.


Sono un vuoto orribile.
Un attimo prima dico di volerne uscire, di voler farmi trascinare dall'aiuto delle persone che mi stanno accanto e un attimo dopo, il mio cervello dice di no.
Un attimo dopo, quella vocina nella mia testa, mi ripete che non me lo merito.


Prendo un nuovo respiro. Chiudo gli occhi. E capisco che c'è solo una cosa da fare per fermare tutto questo.
La mano si muove verso la manopola del lavandino, la spinge al massimo.
Non è molto, ma è qualcosa.


È l'idea che io stia pagando per qualcosa che non mi spetta.
Perché tutto ha un prezzo, e io devo ricordarmelo.
Porto il polso destro sotto il getto d'acqua, sento il calore bollente e ustionante che esce dal rubinetto e si infrange contro la mia pelle.


Fa male. È bello.


Una sensazione che in qualche modo, al mio cervello mancava tremendamente.
Stringo i denti, trattengo il respiro, giusto il tempo di annebbiare la mia testa e lasciare che il dolore fisico sopperisca quello mentale.


L'altra mano va a tappare la mia stessa bocca per evitare che qualche reazione naturale possa svegliare Addie e che le permetta di fermarmi.
Sono una stronza.


Non ci sto neanche realmente provando e sapevo perfettamente che sarebbe finita così.
Che la promessa che le avevo fatto era solo una bugia.
Io sono una bugia.
E sono anche una codarda.


Perché quando il dolore diventa troppo forte ritiro il mio dannato polso che ora pulsa, nel rossore che l'acqua ha generato sulla pelle.
Deglutisco, respiro in modo pesante.


Mi guardo di nuovo in uno specchio che non riflette più la mia immagine ma solo la condensa che l'acqua bollente ha causato.
La mancina si muove verso il vetro, l'indice sfiora la superficie appannata dal cambio di temperatura che ho generato.
Si muove, disegna qualcosa.
Scrive, a lettere maiuscole.


"PROBLEMA"


Quello che sono. Quello che sarò sempre.
Fisso quelle lettere, le guardo con disgusto, rivedendo i miei occhi fra le linee tracciate.
E poi, con un gesto veloce, passo la mano sopra, cancellandole.


Perché se tu non sai risolvere un problema, ci sono solo due modi per uscirne.
Ricominciare da capo o mollare definitivamente.


Ma in ogni caso, qualsiasi sia la tua scelta, per farlo, devi cancellare tutto.


✘✘✘

Ci metto un po' a prendere sonno.
Il polso fa ancora male e sento il sangue pompare nelle mie vene per il trauma subito.
Ma quando accade.
Quando i miei occhi finalmente si chiudono, me ne pento.


Sono nella mia vecchia casa, quella dove io, Liv, mamma e papà abitavamo.
L'aria è densa di silenzio.


Ho sei anni e sto dormendo nel mio letto. Mamma ha lasciato accesa una piccola lucina sul comodino perché sa che ho paura del buio. Ma ora, quella luce è spenta. C'è un rumore, un sussurro.
Apro gli occhi e mi accorgo che la stanza è cambiata, è più scura, più fredda. Sento il mio cuore battere forte nel petto. Cerco di capire cosa sta succedendo. Non mi muovo, non respiro quasi, cercando di ascoltare meglio.


Poi sento una voce. Una voce che mi dice che va tutto bene, che posso tornare a dormire. Dice che le brave bambine non devono avere paura e urlare. Ma quella voce non mi rassicura. È una voce che conosco, ma allo stesso tempo, sembra diversa.
Ma soprattutto, è vicina, troppo vicina.


Improvvisamente, sento delle mani sulle mie gambe nude, coperte solo dai miei pantaloncini. Le mani sono ruvide e fredde, premono contro la mia pelle con una forza che mi fa male. Sento il respiro caldo e affannato di qualcuno vicino al mio viso, ma non riesco a vedere nulla. Quelle mani salgono lentamente, raggiungono l'orlo dei miei abiti, si infiltrano sotto.


Sono immobile. Non so cosa fare. Sono troppo piccola. Ho paura. Le mani continuano a muoversi, a esplorare, a ferire. Un terrore paralizzante mi blocca ogni muscolo, soffoca ogni grido. Vorrei urlare, vorrei scappare, ma non ci riesco. Le parole della voce continuano a ronzarmi nella testa: "Le brave bambine non devono avere paura e urlare".


Non riesco a liberarmi, non riesco a scacciare quelle mani. Mi sento persa, intrappolata in un incubo dal quale non posso svegliarmi. Il buio intorno a me sembra diventare sempre più fitto, e io resto lì, sola, con il cuore che batte forte e le lacrime che mi bruciano gli occhi.


Poi, tutto svanisce. Mi sveglio di nuovo, ma il ricordo di quelle mani e di quella voce rimane. Non posso scappare da questo incubo. Non posso scappare da ciò che è successo.


Ho il fiatone, il petto mi fa male.
Sento il sudore che scorre dalla mia fronte, freddo.
I capelli si attaccano al mio volto come se fossero appiccicati alla mia pelle.
Tremo.


«Flame!» ho svegliato Addie. Devo aver urlato senza rendermene conto.
«Flame era un incubo va tutto bene.»


La bionda accende la luce, scende dal letto muovendosi velocemente verso di me.
Mi toglie le coperte di dosso, scoprendo il mio corpo scosso.
Mi vergogno, come mi vergognai quella mattina quando mia madre mi trovò in quelle condizioni.


Non so se è un reale ricordo, ma ogni volta, il sogno si interrompe nel momento in cui le mani di quella persona arrivano a toccarmi nel punto più intimo del mio essere.
Sempre impossibilitata a vedere il suo volto, sempre con il ricordo di quel respiro e quel contatto su di me.


«Flame guardami. GUARDAMI!» urla Addie attirando la mia attenzione su di lei.
Riconosco i suoi lineamenti, il volto contornato da ciocche di capelli biondi che ora mi si presentano davanti.


Ha ragione, era un incubo, non è niente di vero, almeno non adesso.
Prendo aria in modo rumoroso, tossendo e aspirando dalla bocca un ossigeno che non riesco a trovare.


La destra va al mio petto, come se dovesse raccogliere a breve un cuore che sta per uscire da esso ed è lì che lo nota.


«Cosa cazzo hai fatto?» la delusione nei suoi occhi nel notare il rossore sulla mia pelle. È con un gesto veloce, un riflesso, che cerco di nascondere il mio polso dietro la schiena.«Cosa cazzo hai fatto Flame?» ripete indietreggiando.


Ma io non riesco a rispondere.
Ho davanti ai miei occhi ancora la sagoma di quella persona che mi dice di non urlare. Che mi impone di stare zitta.


Ed è quello che faccio, sto in silenzio.
Non urlo, non mi lamento.


Lei prende un respiro, prova a calmarsi per me, chiude gli occhi.


«Mi avevi promesso che mi avresti chiamata...» sussurra.
Sento il fallimento, l'ennesimo, che ora apre la mia mente.
«Mi dispiace...» la voce rotta da un magone all'interno della mia gola «Mi dispiace...»
Lei annuisce.


«Ok.» dice «Va bene.»
La vedo respirare al mio ritmo, come se mi facesse da guida.
«Sono qui adesso. Non ti lascio sola. Ok? Sono qui» lo ripete come un mantra, forse più per convincere sé stessa che me.


Chino la testa, la muovo in senso di assenso.
Deglutisco.


«Ho paura» ammetto nel pianto.
«Anche io, ma... siamo insieme. Fa meno paura se siamo insieme.» mi risponde.


Sento la sua voce rompersi ma essere convincente allo stesso tempo.
Parla ai miei pensieri guerrafondai come una ninna nanna, addormentandoli per un po'.


«Vuoi che dorma con te?» mi domanda.
Non capisco all'inizio, aggrotto la fronte mentre calibro il mio respiro cercando di tornare a un battito del cuore normale.


Lei sorride, tira su con il naso e si allontana.
«Aiutami.» mi fa cenno di raggiungerla e il farlo è difficile.
Perché il mio corpo è pesante e si trascina.


Ma quando comprendo tutto diventa chiaro.
L'aiuto a spostare il suo letto in modo che si unisca al mio ma formando una 'T'.
Il suo cuscino adesso, si scontra con il lato esterno del mio materasso mentre lei si inserisce nuovamente sotto le coperte.


«Tieni» mi porge l'orsacchiotto che Madame mi ha regalato, prendendo una delle sue zampe e invitandomi a fare lo stesso mentre mi distendo nuovamente.
Siamo come una catena adesso, unite e divise da un pupazzo.


Fa quasi ridere come cosa, se non fosse inserita in un contesto tragico e di sofferenza.
La vedo chiudere gli occhi, sono certa che il sonno non sarà mai più lo stesso per nessuna di noi due.


Almeno non stanotte.


▪▪▪▪▪

NOTE DELL' AUTRICE

Sapete già cosa sto per dirvi.
Chiedete aiuto.

xoxo
Neens

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro