ɪɪ - ʏᴏᴜ'ʀᴇ ᴏɴ ʏᴏᴜʀ ᴏᴡɴ ᴋɪᴅ, ʏᴏᴜ ᴀʟᴡᴀʏꜱ ʜᴀᴠᴇ ʙᴇᴇɴ

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Muovo i primi passi nella nuova stanza dopo che Nick la apre per me.
Un rettangolo spoglio illuminato da una luce pallida che filtra attraverso le sbarre alle finestre.

Le pareti, grigie e sbiadite screpolate in alcuni punti, sembrano assorbire ogni traccia di vita.
Il letto singolo, con lenzuola di un bianco sterile, occupa un lato della camera.

Mi appoggio alla porta, mi lascio stringere dal mio cardigan.
Il tessuto ruvido mi graffia la pelle, ma è meglio di niente.
Ho sempre odiato gli ospedali, e il St. Margareth non fa eccezione.
È un luogo di confinamento, un labirinto di mura di cemento che imprigiona la mia anima fragile.

Eppure da quando mamma se ne è andata due anni fa non ho fatto altro che entrarci, ma mai per esserci rinchiusa.
Nick, avanza silenziosamente.
Ha occhi gentili, ma il suo sguardo è freddo come il pavimento di linoleum.

Liv, si morde il labbro inferiore mentre chiude la porta alle mie spalle.
La mia nuova compagna di stanza non c'è.
Non so il suo nome, né cosa abbia vissuto.
Ma so che condivideremo questo spazio angusto, queste pareti che ci stringono come una morsa.

Non voglio essere toccata, eppure so che presto dovrò affrontare la sua presenza.
Forse è una prigioniera come me, forse ha le sue cicatrici invisibili.
Ma per ora, è solo un'ombra, un'assenza che incombe su di me.

Faccio qualche passo all'interno sentendo come se le pareti si stringessero sempre di più fino a togliermi il respiro.

«Addison sarà qui a momenti, l'hai già vista prima. Sono certo diventerete amiche.» Nick mi sorride, cerca di riportarmi in questo mondo e non farmi perdere nelle mie turbe mentali.

Addison, Addie, la ragazza bionda di poco prima sarà la mia coinquilina in questo mare di merda e non so se trovare una nota positiva o negativa in tutto questo.
Cerco conforto nella stoffa lanosa dei miei abiti.

«Devo perquisirti Flame» dice Nick senza avvicinarsi in un chiaro invito di farlo da me per evitare di toccarmi e crearmi disagio.

La mia mano va alla ricerca del cellulare all'interno della tasca dei jeans, lo poggio sul letto, mentre Liv consegna il mio borsone.

«Hai sigarette, oggetti taglienti o pillole?» mi chiede l'infermiere.

Sospiro, vorrei non farlo ma so che in un modo o nell'altro in questo posto mi scoprirebbero.
Apro il bottone dei miei jeans, una bustina di plastica trasparente e piccola fuoriesce dall'elastico delle mie mutandine.

Ci sono dei medicinali sparsi, pillole di ogni genere.
Dalle aspirine rubate dalla scatola apposita in bagno, a qualcosa di più serio oltre che due lamette consunte e ancora sporche del mio stesso sangue rappreso.

Il mio kit per lasciare questo mondo di merda, ora consegnato dalle mie stesse mani in un gesto imposto.

Liv mi guarda con la tristezza negli occhi, la delusione di una sorella che non sa più cosa fare con me.

Lo sento il giudizio del suo sguardo, il chiedersi il come la bambina che ha visto crescere davanti ai suoi occhi sia diventata un'aspirante assassina di sé stessa.

Nick mi osserva per un attimo, ritirando il tutto e aprendo il mio borsone.
Lo scruta con accuratezza, rimuovendo vestiti che contengono zip o ferri di qualsiasi genere, eliminando parti della mia vita apparente, fino ad afferrare il mio ipod.

«No, quello no» la mia voce esce come un fischio implorante.
«Non posso lasciartelo Flame» afferma aggiungendo anche le mie cuffie anti rumore esterno alla refurtiva.
«Ma la Worley ha detto che potevo ascoltare musica» piagnucolo senza però emettere lacrime.
Le ho finite, sono vuota ormai.

«Ti verrà riconsegnato, ma dobbiamo essere sicuri che non contenga cose che potrebbero peggiorare la tua situazione» risponde con la freddezza che il suo lavoro richiede.

«È davvero necessario?» domanda Liv guardandolo.
Una parte di lei si sta pentendo di avermi portata qui, il tremolio nella sua voce ne è la chiara rappresentazione.

Mi ritrovo a volgere gli occhi sulla sua figura, quasi a pregarla silenziosamente.
«Ogni cosa è necessaria qui, non hai idea di cosa possano inventarsi per farsi del male» Nick sospira scuotendo la testa.

Sono certa che avrà risposto a questa domanda milioni di volte da quando lavora qui.
Mia sorella prende un respiro, non controbatte, arrendendosi alle parole di qualcuno che ne sa più di lei e annuendo a quell'ultima goccia che sembra distruggermi più di quanto una lama possa fare.

«Devi togliere anche i lacci a quelle» Nick sposta l'attenzione sulle mie scarpe.
Stringo la gola, resto in apnea deglutendo la mia stessa saliva, accettando controvoglia.
Mi convinco del fatto che lo stia facendo per Liv.
Per non essere più un peso nella sua vita, per lasciarla libera da qualcosa che non ha mai chiesto.
Perché Liv non ha mai voluto essere una madre, mia madre.
Ci si è trovata quando il mondo ci è caduto addosso, quando mamma è morta e papà ci ha abbandonato anni prima.

Lei, che da sorella maggiore e di solo cinque anni più grande, ha dovuto rinunciare ad ogni cosa per occuparsi di me, delle mie debolezze.

«C'è altro che non mi hai consegnato?» continua Nick pronto a spremere ogni singola parte di me.

Scuoto la testa. Non ho più niente.
Mi ha tolto ogni cosa.

«Bene» richiude il borsone poggiandolo a terra «Non è così terribile come immagini che sia,  Flame» mi dice.
Eppure non gli credo. Non posso.

«Vi lascio sole così potete salutarvi» il biondo guarda mia sorella, le dona un cenno della testa prima di portare con sé il materiale confiscato e uscire dalla stanza lasciandoci lì.

«Flame ti prego, cerca di guarire, non voglio vederti soffrire ancora» la sua voce risuona nelle mie orecchie colpendomi come un pugno in pieno stomaco.

La mia risposta è un sussurro rotto. «Ci provo.»

È il massimo che posso promettere, che ci proverò, che cercherò di non cedere alla voglia di farla finita, per lei.

La luce fioca della stanza sembra tremare, come se anche lei sentisse il peso delle nostre parole.
«Verrò a trovarti appena sarà possibile okay?» i suoi occhi contengono lacrime che non escono del tutto.

Il peso di un addio che potrebbe esserlo davvero.
«Okay» bisbiglio distogliendo lo sguardo.

Liv fa per darmi una carezza senza toccarmi, la sua mano sospesa nell'aria a poca distanza dai miei capelli lunghi prima di deglutire e voltarsi per camminare verso la porta.

Sono sola adesso.
Sola con me stessa.


✘✘ ✘

I capelli cadono intorno al mio viso.
Li ho tenuti legati per anni, ma ora li lascio liberi, come se volessi che il vento li portasse via insieme ai ricordi che mi tormentano.
Ma non c'è vento qui.

Ho imparato a tenere gli altri a distanza, a evitare il tocco che brucia come fuoco sulla mia pelle fragile.
Non ricordo neanche come è iniziata.
O forse il mio cervello non vuole ricordarlo.

Un giorno, poco dopo la morte di mamma forse, prima che Aaron mi mollasse perché non riuscivo più a farmi toccare dalle sue mani ruvide e capaci.
Quando lo fece non riuscii a dire niente se non accettare.

Non ci eravamo mai amati d'altronde, forse all'inizio, ma a quel punto tutto era svanito e il fatto che non potessimo più neanche fare sesso perché il mio corpo lo ripudiava non aveva per niente aiutato la causa.

E quindi avevo perso tutto.
Le poche che credevo fossero amiche mi allontanarono così come io presi le distanze da loro e tutto è diventato sempre più pesante, fino a quando non l'ho fatto per la prima volta.

I miei occhi si spostano sui miei polsi, sulle ferite ancora fresche che si sovrappongono a quelle fatte in precedenza.
Sono la prova tangibile della mia lotta contro il dolore.

«Bene, bene, bene» la figura bionda di Addison mi osserva, poggiata con la spalla allo stipite della porta con le braccia incrociate al petto.
Un sorrisetto divertito si disegna sul suo volto magro.

«Flame giusto? Ci siamo incontrate prima.» mi ricorda avanzando e porgendomi una mano che io non andrò a stringere.

Mi raggomitolo ancora di più all'interno del mio cardigan lilla, rimanendo a fissare la sua mano.
Le dita affusolate si spingono verso di me alla ricerca di un contatto che non avviene.

«Oh giusto sei una Miss non toccarmi» ridacchia lei ritirando la mano «Me l'ha detto Nick mentre tornavo qui» continua inclinando la testa da un lato.

Le punte della chioma bionda le toccano le spalle delineando ancora di più i tratti taglienti della sua mascella.

«Sei anche sorda o muta?» assottiglia gli occhi arricciando anche il naso nel farlo.
Scuoto la testa, evitando il suo sguardo pressante.

«Oh beh io sono Addison, ma chiamami Addie.» dice lanciandosi con il poco peso che possiede sul suo letto lasciando che rimbalzi un pochino.

«È andata bene la pesatura?» la mia voce è un tentativo di non sembrare più pazza di quanto già non sia.
Un tremolio gracchiato che brucia la gola.
«Dipende cosa intendi per bene» alza le spalle sfregandole contro il muro mentre la testa si volta poco verso di me.

L'ennesimo ghigno sul suo viso.
«Non sono ingrassata comunque» ammette prima di tornare a tracciare con le dita la circonferenza delle sue braccia, in quello che sembra quasi una mania che è da sempre abituata a fare.

Lascia che le sue dita si chiudano sul suo arto nella speranza che i polpastrelli si tocchino, ed è preoccupante quanto manchi davvero poco affinché accada.

«Ti sta aiutando stare qui?» chiedo senza guardarla ancora, come a non voler invadere il suo spazio per paura che tema la cosa così quanto la temo io.
«A volte.»

Mi faccio bastare quella risposta annuendo silenziosamente, mentre le mie braccia stringono ancora di più ad abbracciare il mio petto.
«Come sei finita al St. Margareth? Intendo... non credo ti rinchiudano in un posto simile solo perché tieni a distanza la gente» commenta arricciando il naso come prima studiandomi.
Non voglio rispondere, ma so che dovrò farlo.

Li vedrà comunque.
Prendo un respiro profondo prima di deglutire e alzare le maniche del cardigan per scoprire i miei polsi.

La vedo cambiare espressione spostando gli occhi dalle mie cicatrici al mio volto.

«Oh cazzo sei una lametta dipendente!» esclama «Non ne ho mai avuta una in stanza»

È strano come una persona così piena di vita, così luminosa, stia cercando di uccidere sé stessa.
Eppure in un modo o nell'altro, qui lo stavamo facendo tutti, in modo diverso ma con lo stesso obiettivo finale.

«Io non ne ho mai avuto il coraggio, cioè... tutto quel sangue, poi l'idea di tagliarsi la pelle» fa una smorfia schifata.

«Io non so vomitare a comando» dico.
Lei ride rilassando di nuovo la sua espressione.
«Fidati non vuoi saperlo fare» noto la maturità nelle sue parole.

La voglia di guarire, a differenza mia nonostante le tenebre che l'avvolgono.
«Cerca solo di durare più di quella che c'era prima di te» sento il tono della sua voce incupirsi, la tristezza cullare il rumore dei suoni che emette.

«Che è successo? A quella che c'era prima di me intendo...» chiedo, ma immagino di conoscere già la risposta.
«E' riuscita a procurarsi degli ansiolitici durante il giorno delle visite, mezzo flacone, è andata in overdose e non c'è stato nulla da fare» spiega.
Mi ritrovo a schiudere le labbra.
Ci avevo provato anche io una volta ma non ero mai arrivata a quel risultato.

«Sei stata tu a trovarla?» domando.
Mi sento curiosa, come se i suoi racconti potessero darmi delle risposte a qualcosa che ancora non conosco.
«Sì. Io e Nick, è stato uno schifo... quindi vedi di non fare cazzate intesi?» mi guarda male prima di tornare a sorridere.
Annuisco, conscia della bugia che sto dicendo.

«Solo se tu mangi» mi ritrovo a dire di getto.

Non so neanche perché lo faccio.
Non la conosco, non siamo amiche e sono l'ultima persona che chiederebbe a qualcuno di vivere eppure... lo sto facendo.
La vedo trattenere una risata silenziosa.

«Mettiti in fila Miss untouchable» risponde.
È chiaro che non sia la prima ad averle chiesto quel compromesso.
Ed è chiaro che lei non l'abbia mai rispettato.

«Su, andiamo, ti porto a fare il tour dell'istituto» dice alzandosi dal letto e facendomi cenno di seguirla.

Sospiro prima di fare lo stesso, liberandomi stranamente, anche dalla stretta che ho tenuto fino ad ora sul mio corpo e lasciando che il cardigan scenda leggero lungo il mio corpo esile.


✘✘ ✘

Viste insieme io ed Addie siamo due poli opposti.
Dove lei sprizza gioia ed egocentrismo, io vivo di bronci e insicurezze.

«Secondo piano, a destra le camere femminili a sinistra quelle maschili» mi dice rimanendo al centro del corridoio e indicando i due lati.

«Se devi scoparti qualcuno cerca di non farti beccare, soprattutto dopo il coprifuoco. Sono molto intransigenti sulla cosa» continua.

«Non credo ci sia pericolo» sospiro guardando il pavimento limpido e i miei stessi piedi coperti da vecchie converse ormai senza lacci.

«Cazzo ma come fai? Nel senso non si smuove qualcosa lì sotto?»
Non me ne rendo conto ma mi trovo ad arcuare i lati della bocca in quello che assomiglia ad un sorriso.

«Sì ovvio» deglutisco ricomponendomi.
«Io mi sarei già ammazzata al solo pensi... oh ecco» si ferma da sola senza che sia io a rispondere annuendo a sé stessa.

«Ma non è solo per questo» ammetto senza aggiungere nient'altro, nella speranza che lei non faccia ulteriori domande.

E non le fa.
Capisce, lasciando la realtà di quella cosa ancora ignota per lei.

«Docce a fine di ogni reparto, si fanno i turni e non puoi chiuderti dall'interno. Accertati sempre che 'Milly mano lesta' non sia dentro a meno che tu non voglia dire addio ai tuoi vestiti ed essere costretta ad uscire come mamma ti ha fatto» si zittisce un attimo guardando il mio sguardo interrogatorio «È una cleptomane» fa spallucce continuando a camminare, ultimando la descrizione del secondo piano dedicato solo e unicamente alle camere da letto.

«Da quanto tempo sei qui?» chiedo seguendola lungo il corridoio.
«Tre mesi, prima stavo al minorile» risponde con tranquillità.
La rivelazione della sua età senza farlo espressamente mi sconvolge.

Non avrei mai detto che avesse diciotto anni.
Pensavo fosse persino più grande di me.
Mi soffermo più sul suo volto, cerco di riconoscerne dei tratti infantili, ma è inutile.
Nessuna di noi conosceva più cosa significasse essere bambini.
Eravamo cresciute troppo in fretta, a causa nostra o forse per via della nostra testa malata.
«Scendiamo giù?» mi chiede.

Non ha problemi ad essere guardata lei, è una cosa ormai ovvia per me.
È come se cercasse in una forma agognante di essere vista.
Non importa come, l'importante è che gli occhi siano tutti su di lei.

«Ehi Pixie, ti vedo bene oggi» dal reparto maschile arriva lui.
Non era un'allucinazione.

Rimango immobile, paralizzata mentre sorride ad Addie e le scompiglia i capelli con fare protettivo mentre la prende in giro.

«River smettila non ho tre anni» Addison sbuffa, incrocia le braccia sul seno piatto ed ora, mostra, quello che è il lato di cui prima ero alla ricerca.

«Oh, la ragazza della finestra» ammicca verso di me, riportando quel sorriso sghembo che già mi aveva rivolto attraverso il vetro che ci divideva.

«Non toccarla, è tocco fobica» rivela la bionda al posto mio.
Lui mi osserva, lo vedo squadrarmi dalla testa ai piedi, inclinare la testa mentre lo fa.
Le sue mani tornano nelle tasche di jeans strappati che ricoprono le sue gambe neanche troppo lunghe.

«Come ti chiami tocco fobica?» la profondità della sua voce mi avvolge.
Dischiudo le labbra.
«Flame» sussurro intimidita.
Non è paura, non credo che lui voglia farmi più male di quanto io già non me ne faccia da sola.

«Eppure non mi sembri così infuocata» ride in un sospiro mozzato.

Le sue cicatrici si contraggono insieme alla pelle del suo volto.
Le sento tirare come se fossero mie.

«È vecchia come battuta» il mio sguardo si fa serio, il tono quasi di sfida, non lo controllo.
Non vorrei andargli contro, eppure lo faccio.

«O forse si...» di tutto contro lui è impassibile, con quella risatina che ora mi da i nervi ma che allo stesso tempo mi fa tremare ogni parte del corpo, persino quella che citava Addie poco prima.

«Perché devi fare sempre il bastardo River?» Addison ruota gli occhi scuotendo leggermente la testa.
«Perché è divertente?» fa spallucce, mentre il labbro si espone in avanti. Lo sguardo sempre fisso su di me.
Sento la tensione che si taglia a fette.

Quella che nei cartoni animati viene resa con una scossa elettrica che collega due corpi.
Lui mi fa quell'effetto.
Una scossa tremenda, che fa uscire un lato di me che pensavo fosse sepolto da tempo.

«E sentiamo... River? Che cazzo di nome è River?» dico reggendo quel contatto a distanza.

Un'audacia che non esprimevo da almeno due anni.
Ma d'altronde non è che avessi avuto modo di rapportarmi con così tante persone nell'ultimo periodo.

«Chiedilo a mia madre, la trovi al primo piano» fa qualche passo, mi supera «ma credo che tu l'abbia già conosciuta»

L'aria di supponenza, l'occhiolino che mi regala.
Non so se mi fa incazzare o... altro.

«Sayonara tocco fobica» dice, sventolando la mano con la spavalderia che lo contraddistingue mentre si allontana.

Rimango lì, a guardarlo camminare via, a mostrarmi la sua schiena che si avvia verso quelle che credo siano le docce maschili.

«Lascialo perdere, River è così ma è in realtà è simpatico se lo conosci bene.» Addie interviene portando di nuovo l'attenzione su di sé.

«Che intendeva con sua madre è al primo piano?» chiedo, ma la risposta è talmente davanti ai miei occhi che mi pento anche di averlo chiesto.

«River è il figlio della Worley» risponde lei.

«È per questo che può fumare indisturbato?» sono irritata. Ma perché?
È qualcosa che non capisco.

«Cosa? Quel figlio di puttana!» sgrana gli occhi prima di abbassare la voce «Cioè volevo dire... quello stronzo.» si corregge, forse per paura che la Worley possa sentirla per poi stringere i pugni formando un grugno con la bocca.
Ora sì che li noto, i suoi diciotto anni.

«No che non può. Soprattutto perché è il figlio della Worley, se lo sapesse gli vieterebbe le uscite premio» continua la bionda.

«Uscite premio?» corrugo la fronte.
«Sì, se ci comportiamo bene e portiamo a termine le nostre task ogni tanto ci permettono di uscire per qualche ora, accompagnati ovviamente» sospira «Ma qui la cosa importante è capire... come si è procurato quella dannata sigaretta e soprattutto perché non ha condiviso? Con me ad esempio.»

Mi mordo il labbro inferiore, riportando lo sguardo a dove River era sparito dalla mia vista.
Mi ha lasciato con una sensazione che non riesco a definire sconvolgendo l'equilibrio fragile che avevo costruito.

E per quanto non voglia ammetterlo, mi ha travolto, in un modo che non credevo più possibile.
Non per me.



▪▪▪▪▪

NOTE DELL' AUTRICE

Eccoci qui al secondo capitolo di F. E. A. R.
Abbiamo conosciuto, oltre a Flame anche Addie e River, due personaggi molto importanti della storia.
Cosa ne pensate?

Vi ricordo che potete farmi sapere le vostre impressioni, oltre che qui tramite stelline e commenti anche su tik tok e instagram dove mi trovate come: neensonwattpad

xoxo

Neens

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