Petali sommersi dal tè

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Lily stava correndo inquieta lungo il corridoio della sua tenuta. La veste si diffondeva selvaggia per quello spazio rinchiuso tra le pareti, sollevandosi leggiadra come se una brezza primaverile l'avesse accarezzata. Gli stivaletti schiacciavano il parquet luccicante, e talvolta fiori freschi cadevano dolcemente sul pavimento, creando ghirlande di rose rosse sullo sfondo marrone. Dannazione. La ragazza prendeva quei resti floreali e li sistemava nel cappello a tesa larga acquistato a Parigi. Oh, avrebbe voluto ritornare in quella città! Avrebbe voluto sentire le melodie nasali che uscivano dalle spire fredde delle fisarmoniche, sedersi ad un bar, per affondare le labbra in un caffè amaro e perdersi nell'essenza  di quel liquido scuro e privo di profondità. A volte, rivedeva nella sua mente le mani cineree dei mimi che danzavano nei suoi sogni o i quadri esposti al Louvre, i quali sembravano nascondersi dal mondo con i colori scuri e le pennellate inquiete, che si susseguivano disordinate su tutta la tela. Perchè era ritornata? Perchè non aveva insistito sua zia a farla rimanere? La signora Funke era venuta in Francia con lei, solo per acquistare una nuova crinolina. Diceva che Parigi aveva le crinoline più belle del mondo. Doveva riconoscerlo. Le stecche candide si inseguivano, formando una cupola dalle striscia bianche ingarbugliate. E se le avesse messe, quelle armi estetiche così scomode, avrebbe ammesso a se stessa che tutti avrebbero invidiato i suoi abiti, con le gonne che si allargavano delicate, e che in alcune parti si increspavano come un lago descritto dalle fiabe dell'Infanzia. Mentre pensava a queste cose, si sistemava i guanti di pizzo, pronti a sfuggire ai suoi comandi. Sommergendo le dita abbronzate nel merletto, osservava le figure delle domestiche che si incrociavano e si separavano. Le vesti nere si sfioravano tra loro, i grembiuli candidi creavano fruscii velati e quieti. Una cuffietta era sul punto di cadere dalle trecce di Isabel, la sua domestica, la sua unica amica, colei che era rimasta nell'ombra dei versi scritti sui fogli. Si erano conosciute da bambine, nel 1734. Lily era sdraiata su un prato punteggiato da magnolie e ibischi. Vicino a lei, un ruscello sussurrava parole incomprensibili attraverso le onde perlacee che si infrangevano, come le possenti criniere di salsedine dell'oceano. Foglie scure e minuscole scendevano come trecce da un salice e coprivano la figurina umana con le loro ombre grigie. Vicino alla ragazzina, un paniere chiazzato da macchie d'erba era abbandonato alle forze del vento, che, attraverso la forza di Zeus, sarebbe volato nei cirri latticini e nelle nembi timide. Ricordava di possedere un abito di seta che scendeva lungo i fianchi. Arabeschi dorati si intrecciavano nella trama del suo vestito. I capelli dorati nascondevano fugaci il viso, il quale sembrava avere il colore del Quarzo Rosa, con il suo splendore che si spostava su ogni lastra mineraria  impressa nella pietra. Le sue mani tenevano un libro, dalle pagine perfettamente pulite. Doveva essere la Ballata della Carità di Thomas Chatterton. Un silenzio irreale dormiva sul salice, sul ruscello e su di lei, la lettrice romantica che non indossava il paniere e che non possedeva un cappello. Ad un tratto aveva sentito i passi di una ragazza che si avvicinavano silenziosi. Si avvicinavano sempre più, Lily poteva sentirlo, sebbene il suo cuore era avvolto dai versi medioevalligianti. Era comparsa Isabel. La sua musa. Colei che aveva e stava intessendo le trame dei suoi pensieri. Rimembrava che la sua dolce amis si era seduta vicino a lei. Com'era adorabile. Ah, come le stava divinamente quella cuffietta sempre pronta a volare dal suo capo ricciuto, saturo di vento e di vivacità.  Ella abbassava le iridi scure, per sfuggire al ghiaccio impresso nello sguardo di Lily. Ma quel ghiaccio poteva sciogliersi. Che cosa le aveva detto? Di che avevano parlato?
"Non badate a me, misssahib. Me ne andrò subito." La voce della futura protetta inargentava lo spirito precocemente esteta della ragazza.
"Non temere. Resta qui. Ho sempre bisogno di qualcuno appartenente ad un ceto diverso dal mio." Aveva detto Lily, passando le sue dita nei capelli biondi, sempre scompigliati.  "Che leggete, missahibe?" mormorò Isabel, con le ciglia lunghe ancora mescolate alle piccole gocce di sudore.
"Poesie." aveva risposto la ragazza, prima di mostrare alla sua dolce nuova amica il libro coperto dal velo di terra, sottile quanto il velo di una sposa. La ragazza dalla cuffietta scomposta era intenta a sfiorarlo con le sue mani gonfie di fatica e privazioni, privazioni pronte a far crescere le anime degli esseri umani.
"Posso tenere questo libro?"
"Certamente." Quel primo incontro era finito con un abbraccio, il contatto tra la stoffa ruvida della sottana di Isabel e tra il pizzo morbido e delicato di Lily. Ricchezza e povertà si erano fuse, grazie all'amicizia. Assieme all'intelligenza e all'ignoranza.
Mentre ripensava a tutto ciò, Lily sentì lo stridio della porta, la quale accresceva la sua intensità. Come l'eco di una fanciulla avvolta da vesti innocenti, così uno stivale, silenziosamente, era entrato nell'ingresso della dimora dell'anfitriona. La figura di uomo si compose, come se un ago da ricamo danzasse nell'etere viziata della tenuta, per formare un uomo dai capelli neri, fin troppo ordinati per la lucentezza del preparato di lavanda che lustrava il cuoio capelluto, dal viso fin troppo regolare con il naso aquilino che sembrava nascondersi, così come gli occhi di vetro, la bocca minuscola e non carnosa  e il corpo fin troppo magro.
In quel momento tre petali di una rosa trattenuta dalle forcine insidiose del cappello bianco della ragazza, caddero nella teiera, per perdersi nell'abisso ambrato della teiera pomeridiana, la quale era stata sollevata delicatamente dalle mani salde di Lily. La sua voce si era fatta acuta e fredda. "Venite" disse "Il te sta per essere servito." aggiunse, per poi scomparire nel corridoio.
I petali annegati nel liquido ambrato riversavano il loro odore per tutta la sala.

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