19.

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7 novembre 2000

Il giorno seguente mi lasciarono andare da sola. Dopo la scuola Flavia voleva mangiare un pezzo di pizza e rimanere all'aria aperta seduta su una panchina in un giardino, visto la bella giornata, e Viviana pensò che fosse proprio un'ottima idea. E secondo loro io ero così scema da non capire che si erano messe d'accordo prima per farmi stare da sola con Damien, senza nessuno che girovagasse lì intorno.

Mentre mi facevo l'ultimo pezzo di strada a piedi, sussultavo ogni qualvolta sentivo arrivare un'auto. Se fosse stato lui avrei dovuto declinare di nuovo l'invito.

Arrivai davanti alla porta e notai solo l'auto parcheggiata della signora delle pulizie che mi fece entrare e andò via subito dopo. Ero in anticipo di almeno quindici minuti.

Mi affacciai in cucina tanto per abitudine ma non mi fermai, avevo mandato giù un pacchetto di crackers prima di prendere l'autobus. Non avrei mai permesso che mi vedesse mangiare lì da sola.

Andai direttamente nell'ufficio pur avendo considerato di aspettarlo in sala prove, sarei sembrata più professionale.

Cercai di non pensare ai compiti che dovevo fare per il giorno dopo, quella sera l'avrei passata sui libri. Ma sarei stata qualche ora con lui, cosa volevo di più? Valeva qualsiasi sacrificio stessi facendo per la scuola. Iniziò a riaffiorare il panico per l'incapacità di gestire la sua vicinanza ma mi sforzai di pensare al compito affidatomi e ragionai su come proseguire con la canzone.

Alle 14,30 in punto sentii dei passi e mi voltai verso la porta. Era lui o un serial killer che mi avrebbe fatta a pezzi? Era lui.

«Già qui? Spero di non averti fatto aspettare.»

«No, sei puntualissimo», sorrisi. Mi sentivo quasi calma e a mio agio. Poi mise sul tavolo un altro bicchiere di cartone chiuso.

Disagio.

Silenzio.

Silenzio che si sarebbe prolungato all'infinito se lui non l'avesse interrotto: «Milk-shake al cioccolato».

«Marzio lo adorerà.»

Di nuovo la sua espressione di sconcerto mascherata da un sorriso.

Feci passare un paio di secondi e: «Grazie, ma...».

«... ma dopo lo darai a Marzio,» si mise seduto vicino a me, «immagino sia inutile chiederti perché.»

«Hai ragione», mi veniva da ridere. Cercavo di trattenermi ma lui lo notò e sorrise a sua volta.

Mi venne un dubbio atroce: non stava mica pensando che avessi problemi di stomaco, pancia o qualcosa di indicibile? Rimediai immediatamente.

«Ti ringrazio, sei gentile, ma non c'è bisogno. Con me.» Mi fissò ma io portai subito l'attenzione sul testo da imparare. «Mi stavo chiedendo, tu l'hai ascoltata questa canzone?»

«Veramente no. Ma se a te piace, suppongo anche a me. Abbiamo dei gusti simili, sembra.»

Andai a cercare il cd in sala prove e tornai dopo qualche minuto.

Rientrando mi fece un effetto strano vederlo lì seduto. Era come se lo vedessi per la prima volta, la sua bellezza mi esplose addosso. Avrei voluto mettermi qualcosa di più carino ma nel mio armadio c'erano solo due tipi di abbigliamento: uno per andare a scuola e l'altro per uscire. E nessuno dei due era giusto per venire alle prove. O troppo casual o troppo appariscente. Avevo iniziato a mischiarli ma tendevo a non esagerare per non dargli la pietosa impressione che lo facessi per lui.

Misi il cd nello stereo vicino alla finestra e la musica partì. Sedetti di nuovo sulla sedia accanto a lui senza cercare un contatto visivo per lasciarlo concentrare. Appena terminò la canzone, la feci ripartire da capo utilizzando il telecomando dello stereo che mi ero portata dietro. Lui mi guardò e io mi sentii libera di canticchiare la canzone a bassa voce, senza sovrastare quella del cantante.

«Mi piace molto.»

Sorrisi compiaciuta. Gli proposi di imparare prima a leggere bene le parole in italiano e poi passare a cantarle. Concordò senza battere ciglio. Sembravo la maestra con l'alunno. O meglio la professoressa con lo studente, ma a pensarla così mi vennero in mente altri tipi di scene.

Lui era molto diligente, come fosse interessato a farlo davvero e io mi chiedevo chi glielo facesse fare. Odiavo quando un cantante inglese o americano cantava in italiano, il risultato era sempre pessimo.

Poggiai il foglio sulla scrivania, tra lui e me, e mi allungai col busto per non avvicinare la sedia e non sembrare invadente. Iniziai a leggere le parole piano, spiegandogli qualche trucchetto per riuscire a imparare con facilità. Era incredibile, nel momento in cui gli spiegavo le cose ed ero focalizzata su quello che stavamo facendo, non mi sentivo imbarazzata o terrorizzata come nei momenti di pausa. Riuscivo quasi a essere normale. Lui provava a ripetere piano e realizzai che quel pomeriggio avremmo fatto solo quello.

Marzio si affacciò poco prima delle 16 e gli porsi subito il bicchiere pieno di milk-shake. Non fece domande, si limitò a togliere il coperchio e bere. Fui ancora più felice di non averlo bevuto quando vidi i baffi di liquido marroncino che si erano formati sopra le sue labbra. Scambiammo qualche parola poi tornò in sala prove, chiudendo sia la porta dello studio che quella del corridoio.

Facendo riferimento al discorso degli orari che Marzio aveva ripreso, appena uscì, mi voltai verso Damien: «Non ascoltarlo». Questa volta ero più tranquilla nel parlargli e questo mi dava maggiore credibilità. «Vuole essere d'aiuto ma a volte fa solo danni. Per me possiamo fare al solito orario, non devi stare qui l'intero pomeriggio, avrai i tuoi impegni e non è il caso di scombinare tutto.»

«Nessun impegno, sono qui per questo. E se poi cambi idea e ti fa piacere, ti vengo a prendere.»

«No, grazie», e ripresi il foglio col testo in mano.

Quella fu l'unica pausa che ci concedemmo. Prima di chiudere, Marzio venne a chiamarci. A me il tempo era volato, mi domandai se fosse lo stesso per Damien. La maestrina che era in me si era molto impegnata a non fargli passare neanche un errore e alla fine ero soddisfatta del livello raggiunto, era andata meglio di quanto sperassi.


Il giorno dopo stessa storia.

Flavia e Viviana mi lasciarono andare da sola e io mi sbrigai per paura di incontrarlo mentre percorrevo l'ultimo tratto di strada.

Mi ritrovò di nuovo in ufficio ma anche lui aveva anticipato di dieci minuti.

Indossava un paio di pantaloni neri e una camicia lilla. Bello come pochi. Lo guardai solo per una frazione di secondo, mentre lo salutavo, per paura che la mia espressione tradisse i miei pensieri. Mi tranquillizzai non vedendo nessun bicchiere di carta ricolmo di chissà cosa, non avrei saputo più quale cavolata inventarmi.

Continuai a guardare il foglio che avevo davanti, pieno di scritte colorate di viola. Aveva una bella scrittura, da uomo, ben definita e chiara da leggere. In confronto la mia sembrava quella di un dinamitardo a trenta secondi dall'esplosione.

Un tubo di Baci Perugina. Non so se mi venne da ridere di più perché per prima cosa mi chiesi da dove l'avesse tirato fuori, dato che non l'avevo visto quando era entrato, o perché ero estremamente a disagio.

Non mi accorsi nemmeno che mentre lo guardavo negli occhi ancora col sorriso sulle labbra, avevo preso un cioccolatino e lo stavo scartando per poi addentarne un pezzo.

«Contento adesso? Con questo stiamo a posto fino al concerto, non c'è bisogno che porti altro.»

«Veramente erano per Marzio.»

Scoppiai a ridere e, seppure sapevo che mi stava prendendo in giro, mi sentii arrossire. Non sapendo che fare mi alzai in piedi, misi in bocca il resto del cioccolatino pregando Santa Apollonia, la patrona dei dentisti, che mi lasciasse i denti puliti, e sedetti sul divano.

Lui mi guardò in silenzio.

«Ne vuoi uno? Li hai mai assaggiati? Tanto sono di Marzio poi richiudiamo la scatola e non se ne accorge.»

Ne fece scivolare fuori uno dal tubo e lo mangiò come avevo fatto io, prima la parte sopra con la nocciola intera e poi tutto il resto. In realtà io lo dividevo in almeno tre o quattro morsi ma in quell'occasione non vedevo l'ora di toglierlo di mezzo.

Lesse la frase che c'era scritta sul bigliettino all'interno dell'involucro del cioccolatino, una classica frase d'amore tradotta in quattro lingue. Ovviamente scelse l'inglese.

«No, no. In italiano», lo sfidai.

Si morse le labbra, in segno di concentrazione e provò. Dopo qualche parola non sapeva come andare avanti e si mise seduto sul divano vicino a me per farmi vedere il pezzettino di carta e aiutarlo. Finito col suo, gli passai quello che avevo in mano io e per la prima volta le nostre mani si toccarono. Riuscii a non trasalire ma dubitavo di non aver dato nessun segnale.

Lo guardai soddisfatta, si vedeva che era una persona intelligente e con la predisposizione a imparare subito le cose.

Gli feci leggere nuovamente il testo della canzone e poi gli dissi che era ora di cantarla.

«Cantala tu per me, prima.»

Provai disagio, però me lo aveva chiesto con l'obiettivo di essere aiutato, perciò, tempo di mettere il cd nello stereo e già mi sentivo più tranquilla. Mi sistemai di nuovo sul divano in una posizione per me comoda, quindi scomoda per la maggior parte delle persone, e iniziai a cantare seguendo il testo con il dito, in modo che capisse quale parola stessi leggendo. Eravamo molto vicini e per un attimo realizzai che avrei potuto fare un'altra fotocopia del testo ma conclusi che mi piaceva parecchio stare così.

Cantai bene ma soprattutto mi sentivo a mio agio, col suo corpo accanto ma non a contatto.

«Tocca a te!» cambiai posizione perché se avessi girato semplicemente la testa sarebbe stata troppo vicina alla sua.

«No, vieni qui vicino, mi devi aiutare

Tornai dov'ero prima, sempre attenta a non toccarlo, manco fosse una porcellana dell'antica dinastia Ming. La musica ripartì e dopo poco mi ritrovai a cantare con lui per aiutarlo.

Alle 17 ci accorgemmo che Marzio non era neanche passato a salutarci.

«Vogliamo andare di là a vedere se sono ancora tutti vivi? Così magari approfittiamo per prendere dell'acqua, visto che oggi non hai portato niente da bere.»

Rimase lì per lì colpito, poi quando mi alzai ridendo dal divano, mi seguì scuotendo la testa.

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