75.

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In auto non mi diede il tempo di infilarmi la cintura.

«Andiamo da me?»

Lo guardai stupita, forse allarmata, subito imbarazzata.

«Non dobbiamo per forza... basta che stiamo insieme. Rimani a dormire da me.»

Mi misi a ridere. «Certo, poi domani torno a casa vestita come stasera.»

«Domattina alle 10 ti faccio trovare un cambio completo.»

Rimasi un attimo a fissarlo poi guardai fuori, indispettita.

«Sicuro, chi chiami, Nicholas?» con un tono acido, scossi la testa. «È proprio questo che intendo: tu schiocchi le dita e...»

«Ok, ok. Allora torna nuda, torna vestita così, mettiti una mia camicia... ma rimani stanotte da me.»

«Che senso ha?»

«Smettila di razionalizzare qualsiasi cosa! Sembra sempre che tu debba trovare una spiegazione per poterla riferire agli altri», sbatté i polsi sul volante.

«L'unico che parla con gli altri qui sei tu. Io la spiegazione la devo dare solo a me stessa.»

«Ti prego non discutiamo,» di nuovo calmo, «vorrei solo andare a casa mia e stare con te come siamo stati in mezzo a tutta quella gente. E quando non ce la faremo più a stare in piedi, immagino di sdraiarci sul letto e svegliarci domani mattina, fare colazione e stare insieme tutto il giorno e desidererei continuare così all'infinito. Questo è il mio senso.»

Rimasi senza parole.


Il mio mutismo fu preso per un "sì". Per fortuna, paracula, avevo avvertito mia madre che probabilmente avrei dormito a casa di un'amica del coro. Non che sperassi ci credesse veramente, ma tanto per salvare la faccia. E non lo avevo fatto pensando che la serata finisse così, lo speravo solo. Anzi no, solo una parte di me lo sperava, quella stupida e cretina che avrebbe dovuto mettere almeno un paio di mutande pulite e uno spazzolino in borsa e che non lo aveva fatto.

Appena entrammo a casa sua, senza aver scambiato una parola, posò le chiavi sul mobile, accese lo stereo col telecomando, si girò verso di me e mi tolse la giacca di dosso. Poi mi si attaccò a ventosa. Io mi sentivo la testa vuota, o forse piena di una densa foschia, inebriata da lui che non mi faceva capire nulla. Il suo profumo che mi tormentava da mesi, l'addome caldo e definito, le braccia forti e rassicuranti, il bacino stretto e virile. Il mio corpo percepiva ogni cosa, lo studiava, memorizzava.

Iniziò a baciarmi sul collo facendomi buttare indietro la testa, poi con le labbra percorse il mio viso, soffermandosi davanti alla bocca. La sfiorò con la lingua. Dio, che sensazione. Un fuoco si sviluppò nel mio ventre, le fiamme arrivarono ai lombi e poi su per la schiena, fino al collo. Poi freddo, necessità di averne ancora. Lo feci fare, non dovevo, ma lo feci fare. E continuò finché non prese a baciarmi le labbra e a morderle, a cercare la mia lingua con la sua.

D'un tratto rinsavii, mi staccai e per l'ennesima volta: «Niente baci». Lui non se la prese e iniziò a scendere sul collo ma, visto che non mi smentivo mai, gli presi il viso con entrambe le mani e lo baciai appassionatamente. Non potevo, non riuscivo a fermarmi. Come facevo? Era lì, disponibile, non stava vomitando per avermi baciata, sembrava non provasse repulsione per me, perché scansarlo? La foga stava aumentando e lui iniziò a far risalire le sue mani dal mio sedere fino al seno dove soggiornarono per un po', appena sentii che stava abbassando la scollatura, gliele presi e le accompagnai giù. Ma capì male. Iniziò a sollevarmi la gonna e, visto la lunghezza che si misurava in millimetri e non in centimetri, era già quasi arrivato nel posto in cui pensava lo volessi portare.

«No, le ho solo tolte... non ti stavo indicando dove metterle», riuscii a dire tra un bacio e l'altro sorridendo.

Sorrise a sua volta continuando a baciarmi. Le spostò di nuovo sul sedere, quella era zona franca.

Ritrovai le mie mani sotto la sua camicia, questo voleva dire che oltretutto gliel'avevo sfilata dai pantaloni. Non ricordavo quando, l'ultima volta che le avevo usate con coscienza stavano passando le dita tra i suoi capelli neri perfettamente tagliati. E ora? Nononononono, dove le stavo infilando? Ok, recuperate appena in tempo. Lo baciai su quel collo meraviglioso e lo vidi abbandonarsi, chiudendo gli occhi.

«Ok, scusa, non avrei dovuto», mi allontanai leggermente.

«Sì, non avresti dovuto fermarti», mi tirò di nuovo a sé.

«Non sto scherzando, so che dico una cosa e ne faccio un'altra, ma non voglio cedere perché domani non saprei come comportarmi con te e non posso avere questo pensiero in questi giorni perché sto per affrontare qualcosa per cui non sono affatto preparata. Io ci metto un secondo a crollare e stiamo così vicini che non posso farlo ora, non avrei il tempo di riprendermi», mi agitai.

«Andiamo a letto.»

Rimasi basita. «Il mio inglese deve essere parecchio peggiorato se non hai capito quello che ho detto.»

«Ho detto solo che andiamo a letto, non ho detto a fare cosa. Parliamo.»

Rimasi ferma dov'ero ma lui mi prese la mano e mi condusse in camera. Mi bloccai sulla porta.

«Non c'è stata nessun'altra se è quello che stai pensando», senza neanche guardarmi. Poi sollevò lo sguardo su di me. «Ho indovinato? E ora starai pensando che se pure fosse il contrario lo negherei», continuò con un sorrisetto.

«Pensi di poter leggere nei miei pensieri?» alzai un sopracciglio. «Se ne fossi in grado non mi guarderesti così.»

«Perché? Hai fatto pensieri impuri?»

«Certo. Ma non su di te.»

«Su chi?» cambiò subito espressione. «Non mi dire... non su quella testa di cazzo!»

A quel punto entrai nella stanza, il sorriso lo avevo io ora. Piegai una gamba per slacciarmi il cinturino della scarpa e feci lo stesso con l'altra mentre lo guardavo fissarmi.

«Davvero?»

Mi si allargò il sorriso. Poi cercai di tornare seria. «Sai, credo che ti dia tanto fastidio perché in fondo ti piace», lo provocai.

Mi lanciò uno sguardo di traverso mentre faceva il giro del letto. Si sedette per togliersi le scarpe e con la scusa mi sedetti anche io, andandomi a rannicchiare addosso alla testiera del letto. Quando si girò e mi trovò lì, mi prese per la vita e mi trascinò con delicatezza vicino a lui, sdraiati. Era piuttosto buio, la stanza era illuminata solo dalla luce che veniva dal soggiorno. Però mi guardava fisso negli occhi, mi accarezzò i capelli e il viso.

Cercò di tranquillizzarmi riguardo allo spettacolo, erano tutti convinti del mio talento, anche il direttore di orchestra mi adorava. Sdrammatizzai come al solito, apprezzando che ci avesse provato.

Ci avvicinammo e riprendemmo a baciarci piano, dolcemente. La sua lingua mi mandava in estasi, tutto il mio corpo reagiva ad ogni suo movimento. La mia gamba scivolò sopra le sue, la sua mano tornò sul sedere, poi scese e risalendo alzò la gonna.

In un secondo ero a cavalcioni su di lui che rimase per un attimo fermo. Abbassai le bretelline del vestito e lui si tirò su, iniziando a baciarmi il collo, toccandomi il seno per poi sprofondarci il viso.

«Stavo scherzando, devo andare in bagno.»

Si bloccò poi mi fissò. «Facevi così anche con Enea?»

«No, con lui l'ho fatto subito», lo presi in giro. Come poteva paragonare i due rapporti? Erano così diversi.

Entrai in bagno, era stata solo una scusa ma visto che c'ero feci pipì. Lontana da lui e a mente fredda mi chiesi cosa ci facessi lì e mi venne voglia di andarmene, ma non potevo chiedergli di accompagnarmi a casa, sembrava lo stessi usando come tassista. D'altro canto ero consapevole che se fossi tornata in quella stanza gli sarei saltata addosso appena mi avesse sfiorata. Mi lavai le mani e tornai in camera titubante.

«Vuoi che vada a dormire sul divano?»

Non coglievo la sua espressione, la vista si doveva abituare di nuovo al buio ed ero ancora troppo distante.

«Chi sono, la principessa?» e gli tirai un cuscino addosso. «Comunque, se ci hai ripensato, torno a casa.»

«Ho solo paura di forzarti.»

«Vorrei non andare oltre.»

«Basta che la smetti di saltarmi addosso!»

«Basta che non continui a cascarci!»


Mi diede una sua camicia per dormire, classica cosa da film americano. Un italiano mi avrebbe dato una maglietta coi pantaloni del pigiama. Mi struccai, per mia fortuna avevo con me le salviettine struccanti che mi permisero di rendermi decente e non farlo risvegliare col protagonista de "Il corvo" accanto, e mi lavai i denti con un suo spazzolino nuovo.

Mentre aspettavo che si preparasse, un'altra volta sola, seduta sul letto addosso alla testiera, ripresi a farmi mille domande. Non capivo perché stessi lì. A quel punto sarei dovuta andare fino in fondo e non rimanere ne limbo. Però continuavo a darmi la possibilità di tirarmi indietro, di dire che non c'era stato niente. Baci? Mhmm, qualcuno. Delle carezza, ci siamo sfiorati. Il sesso, quello vero, con mani ovunque, lingua ovunque, penetrazioni, gemiti, urla e orgasmi, quello no che non si poteva negare. Ora riuscivo ancora a dire che non c'era niente tra di noi e a sentirmi onesta con gli altri ma soprattutto con me stessa.

Tuttavia i miei pensieri svanirono nel momento in cui entrò in camera solo coi boxer.

«Dormi sopra le lenzuola?» era in piedi al lato del letto.

«Boh, forse è poco igienico», scherzai seria con la faccia leggermente schifata.

«Eppure non si è mai lamentata nessuna.»

Mi schizzò il sangue al cervello. Provai ad alzarmi di scatto dal letto ma mi era già addosso. Rideva.

«Sapevo che saresti scattata», mi teneva i polsi costringendomi a stare giù.

«Ok, sto per farti molto male. Poi ti ammazzo e ti troveranno dentro qualche catacomba romana tra una decina di secoli.»

Continuava a ridere.

«Ti faccio male, lasciami», ripetei seria.

Non lasciava la presa, così iniziai a scalpitare finché non riuscii ad assestargli una leggera ginocchiata all'inguine, per permettergli di capire che c'ero arrivata e, se volevo, potevo fargli male davvero.

«Ohi!» si piegò un poco, continuando a ridere. «Stavo scherzando, lo sai», provò a baciarmi, ma ero ancora in fase di scalci. «Sono contento tu sia rimasta.»

Continuavo a guardarlo con odio. Sapevo che stava giocando ma la paura che un fondo di verità ci fosse mi faceva impazzire. E comunque c'erano state altre anche prima di conoscerci ed ero gelosa di loro. Per non parlare di quelle che sarebbero venute dopo.

Notò il mio cambio d'umore.

«Ehi, non penserai di rimanere offesa per questo?»

In realtà sì. Ci guardammo negli occhi al buio. E iniziammo a baciarci con foga. Dio, non riuscivo a resistergli. Allargai le gambe e lui si appoggiò meglio, la camicia era risalita fino a metà pancia. Le sue mani si insinuarono sotto ma le fermai.

«Fermo altrimenti non mi controllo», sussurrai. Continuammo a baciarci. «Ti prego, fermati tu. Fermati, io non riesco.»

Rallentò piano. «Non credere che per me sia più facile». Poi si tolse da sopra e si mise di fianco a me. Respiravamo affannati.

«Dormiamo così? Di traverso sul letto, in orizzontale.» Guardavo il soffitto. «Non mi piacciono le cose tradizionali.»

Mi sorrise, allungò un braccio per prendere i cuscini, strattonò il lenzuolo facendolo passare sotto di me e ci coprimmo restando abbracciati. Riuscimmo ad addormentarci senza fare l'amore.  

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