Settimo Capitolo!

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"È successo qualcosa?" la sua domanda continua ad assillarmi in testa come un'ossessione. Sento i suoi occhi addosso ed io non provo nemmeno a distogliere i miei dai suoi. È in attesa, lo sento, lo vedo. Le labbra sono curvate in sù, quasi come se stesse sorridendo. Ha chiaramente intuito qualcosa ed io non capisco come abbia fatto. Insomma: non ho fatto altro che trattarlo male.

«Non... è importante» rompo infine il silenzio che ci ha avvolto facendoci sentire quasi al sicuro. Dirlo ad alta voce sarebbe straziante, soprattutto con lui che ha questa capacità di leggermi e di confondermi.

Aggrotta la fronte, confuso o è irritazione quella che gli sta attraversando il volto. «Non mentirmi». Esordisce facendo sembrare quasi un ordine le sue parole. Deglutisco velocemente dinanzi alla sua insistenza. Che gli importa saperlo? Non sono altro che un accumulo di disastri, di casini e di dolore.

Chiudo gli occhi e rilascio andare un sospiro, quasi come se volessi liberarmi di questo macigno che mi opprime il petto facendomi respirare a fatica. «Non sto mentendo. Non ho niente, non è successo niente, davvero».

Più che tentare di convincere lui sembra quasi un disperato tentativo da parte mia di convincere me stessa. I suoi occhi non mi abbandonano ed io inizio a sentirmi a disagio, non sono abituata a qualcuno come lui. Se solo non fosse un professore. Come arriva quel pensiero dalla mia testa così lo caccio via dalla mia testa. No, non devo permettere alla mia debolezza di pensare certe cose.

«Chissà il perché non ti credo» si beffa di me quando sogghigna avidamente facendomi tremare le gambe e quasi rischio di cadere a terra.

Alzo le spalle. «Non mi interessa». Cerco di concludere in fine tagliandolo fuori dalla mia vita, fuori dalla mia sfera privata e da tutto ciò che richiede di farlo entrare nella mia vita e scoprire ogni cosa fino a distruggermi ancora una volta. Non mi fido, probabilmente non lo farò mai, ho paura di sentirmi di nuovo: sola, abbandonata, ferita...delusa! Non voglio più permettere a nessuno di prendere il sopravvento nella mia vita, decidere cosa farne e sparire gettandomi via come se fossi un inutile straccio usato, o peggio, una bambola usata.

«Cosa dovrei fare per farti aprire?». Nelle sue note profonde riesco a percepire della disperazione e il suo volto ne è chiara l'evidenza. È preoccupato, non so bene il perché ma sembra davvero tenerci ma mi dico che è al quanto impossibile: io e lui non potremmo mai essere niente seppur volendo.

Evito di ghignare velenosa non volendo peggiorare ulteriormente le cose e in secondo luogo, sono stanca di discutere con chiunque. Vorrei solo che mi lasciasse in pace, una buona volta e sparisse, sarebbe la decisione più saggia che prenderebbe nella sua vita.

«Sono stanca» lo guardo a malapena evitando ancora una volta le sue iridi che sono bellissime ma che riescono a confondere chiunque lo guardi in faccia. «ripeto: non ho niente, davvero. Perché pensi che debba sempre avere qualcosa? Sono fatta così. Sono questa incasinata, complicata e sempre con l'umore sotto ai piedi. Non deve essere per forza successo qualcosa per spiegare tutto questo». Mento a me stessa oltre a mentire a lui stesso. Mi riesce così facile e semplice ora mentire che le bugie mi escono fuori come se stessi facendo la cosa più semplice e naturale del mondo e mi detesto per questo.

Lo sento sospirare di nuovo. Non capisco cosa aspetti a mandarmi dritta a quel paese, gli altri lo avrebbero già fatto.

«Siamo un po' tutti incasinati, Hannah», il suo tono si è fatto più cupo del previsto. È diventato quasi gelido, privo di qualsiasi emozione. Tremo anche se non dovrei farlo. Lui non deve continuare ad avere questo effetto su di me che mi confonde più di quanto voglia ammettere.

Sposto il peso del corpo sull'altro piede consapevole di dovergli dare le spalle e andarmene via, ma non lo faccio. Sono ferma a guardarlo come se stessi aspettando una sua mossa, un suo gesto o una sua parola. Ma cosa ha da dirmi ancora? Ormai il suo pensiero su di me lo conosco già, come conosco che il mio comportamento non lo tollera affatto.

«Sono sicuro che sia successo qualcosa ma ovviamente la tua mancanza di fiducia non ti porta a fidarti di me» la sua mano di infila nei suoi capelli scuri scompigliando la sua chioma. «eppure credevo che dopo quel momento tu iniziassi a capire che puoi parlarmi tranquillamente», continua con tono sempre più basso e un'espressione quasi nulla sul volto. So a che cosa si stia riferendo. Mi ritrovo a mordere il labbro e sento le mie guance riscaldarsi.

«È stato un errore, non doveva succedere. Tu sei il mio professore e tutto questo è sbagliato», replico prontamente. Si che forse non stiamo facendo nulla di male ma mi sento colpevole di qualcosa e non posso rischiare.

«Eppure non stiamo facendo nulla di male. Stiamo parlando e tu mi stai dando del tu. Quindi credo che anche tu infondo desideri parlare con me». Il suo tono è forte, deciso ed è così convinto delle sue stesse parole che quasi ci credo anch'io.

«Sei stato il tu il primo a insistere che ti dessi del tu», sbuffo roteando gli occhi. Mi sento così minacciata da lui in questo momento. Vorrei prenderlo a pugno se solo mi fosse convesso. Ma non posso, è pur sempre un mio "superiore" e per quanto mi irrita, destabilizza lo devo sopportare. Non ammetterò mai la verità.

«Sì per fare in modo che ti sentissi al sicuro...».

«Alt! Non sono in pericolo. Non posso raccontarti ogni dettaglio della mia vita solamente perché tu sei curioso». Lo interrompo immediatamente portando una mano in avanti, a pochi centimetri dal suo petto.

Lo vedo schiudere le labbra al suono delle mie parole, sorpreso da tutta questa rabbia che sicuro si starà domandando da cosa o da chi sia scaturita. Fissa la mia mano a pochi centimetri dal suo corpo, basta che mi muova appena per toccarlo e lo desidero.

«Hannah, io sto solo cercando di aiutarti». Si avvicina a me allungando le sue grandi mani verso di me, ma io indietreggio rifiutando il suo tocco...il suo conforto, il suo aiuto... soprattutto lui.

«Non sprecare tempo con me» lo dico quasi pentita ma è giusto così. «sto bene, ho solo avuto una giornata no come capita a chiunque», la mia mano stringe la maniglia della porta fino ad aprirla. «grazie per il consiglio professore» dico per non fare sospettare qualcuno.

Spingo il portone d'ingresso del palazzo dove abito, pronta ad entrare in camera e di dimenticare la lettera di mio padre e questa giornata che non vuole proprio finire o migliorare. Mi blocco non appena vedo Chloe. È in piedi a due gradini sopra al ragazzo alto che mi dà le spalle. I suoi occhi si posano su di me, incurva poi le labbra in un sorriso smagliante, quasi soddisfatto.

«Oh Hannah, giusto in tempo», ridacchia mentre scende i gradini delle scale per posizionarsi di fronte a me. «avrai visto Ash di sfuggita, quindi quale occasione migliore di questa per conoscervi?», ha un finto sorriso entusiasta sul volto, lo conosco troppo bene e conosco il motivo perché lo faccia. Vuole solamente sbattermi in faccia la sua presunta vita perfetta. Vuole dirmi solamente questo: "Io sono andata avanti come vedi, sono riuscita a trovarmi qualcuno mentre tu sei da sola". Me l'ha detto così tante volte che ormai ho preso quelle parole come se fossero una canzoncina che si raccontano ai bambini prima di andare a dormire.

Il ragazzo finalmente si volta, mostrandosi. I suoi capelli castano chiaro, ricci, gli penzolano sopra alla fronte quasi a nascondere i suoi piccoli occhi verdi. Ha gli occhi di un cerbiatto mentre le labbra rosse sono sottile incurvate in un sorriso mostrando la sua fossetta all'angolo destro del labbro.

«Piacere, Ashton ma chiamami Ash», allunga con decisione la sua mano verso la mia. I miei occhi cadono su di essa, sul dorso della mano ha tatuato una rosa, ma non rossa come si vede spesso in giro, ma di blu, di un blu intenso, cattura anch'essa l'attenzione.

«Hannah», stringo la mia mano alla sua. È calda mentre la sua presa è salda, però senza farmi male. Sono la prima a rompere il contatto fisico, non è una cosa che impazzisco. In realtà ci sono molte cose di cui non vado pazza, ma questi sono dettagli. «uscite?», chiedo fingendomi confusa.

Le mani di mia sorella si stringono intorno al mio braccio fino ad attirarmi a lei fino a sentire il suo profumo: profumo maschile per l'esattezza. Automaticamente rivolgo la mia attenzione al suo ragazzo ma quest'ultimo è troppo occupato a cercare di accendersi una sigaretta che accorgersi del fatto che lo stia fissando.

«Bello vero?» fa schioccare la lingua sul palato.

Roteo gli occhi. «Non aspetta a me dirlo», scrollo le spalle in modo che le sue mani si allontanano dal mio corpo. «mamma è ancora a lavoro?».

«In realtà è andata a pranzo con Liam Spencer», si dondola sui talloni.

La guardo confusa mentre penso ad una sola ragione per cui mia madre si trova fuori a pranzo con il suo capo.

«Sarà fuori per un pranzo di lavoro», alzo le spalle mentre sento come se stessi mentendo, come se quello che ho appena detto fosse una bugia. Mia madre non oserebbe mai uscire con il suo capo, non dopo quello che le ha fatto papà. Ma non so più a chi credere o a cosa.

«Non essere così ingenua», sogghigna avida Chloe stringendo poi il braccio di Ashton. «comunque sia, noi andiamo, faremo tardi».

Non oso nemmeno immaginare quali programmi abbiano, ma sinceramente non mi interessa, non sono minimamente interessata alla vit privata di mia sorella visto per cui neanche lei ha mostrato un po' interesse. Li lascio uscire dal portone senza più aggiungere una singola parola e cerco poi le chiavi del portone di casa. Non vedo l'ora di mangiare qualcosa e di chiudermi in casa ad ascoltare musica. Spingo il portone ed entro all'interno del piccolo salotto composto da un piccolo divano, un tavolino e un mobile che sostiene la TV a schermo piatto, piccola.

Mi dirigo prontamente in cucina e come arrivo noto un post-it appeso sul frigo.

Sono stata invitata all'ultimo da Mr. Spencer. C'è della pizza surgelata nel freezer oppure in frigo è avanzato del sugo di ieri sera, riscaldati e cuociti un po' di pasta.

Arrotolo il post-it e lo getto nel cesto della spazzatura. Non mi va di mangiare di nuovo la pasta quindi tiro fuori la pizza surgelata e riscaldo il forno. Non è la prima volta che pranzo da sola, succede spesso, direi troppe volte. Ci sono abituata ormai, quasi ho perso il conto delle volte in cui abbiamo pranzato tutte e tre insieme come se fossimo ancora una famiglia o un qualcosa che si avvicina ad esserlo. Pensavo che sarebbe stato facile per noi vivere insieme, essere uniti ma sembra proprio che l'abbandono di mio padre abbia intaccato sul nostro rapporto e ci abbia quasi divise.

Non nego che questa situazione non mi pensi, ma cosa posso fare? Ormai le cose sono così e non sembrano volersi migliorare, anzi. Sono sicura che anche se ci provassi niente cambierebbe. Odio sentirmi così debole per colpa di una persona, per colpa sua che mi ha resa così diffidente verso tutti, non solo verso gli uomini ma verso chiunque...anche della mia famiglia. Ho paura, paura che se mi affeziono vengo di nuovo abbandonata ed io non sopporterei di essere lasciata di nuovo sola. Preferisco che chiuda io i rapporti, che abbia io il potere di non volere più quella persona nella mia vita.

Sono fuori controllo. La mia rabbia è fuori controllo. Tratto male chiunque mi voglia aiutare o semplicemente ascoltare. Forse sto sbagliando con Harold...il professore. Lui sembra realmente convinto di volermi ascoltare, o altro, perché mai? In fondo non ci conosciamo affatto e lui non deve sprecare il suo tempo per una come me. In altre circostanze, al di fuori del contesto scolastico etc, magari potrebbe risultare più facile aprirmi con lui. Ma aprirmi con lui significherebbe farlo entrare nella mia vita col rischio di ridurmi a brandelli e di distruggermi ancora una volta.

Mi sento così sola...odio provare tutta questa malinconia. Odio sentirmi così sola, ma soprattutto odio il fatto di non riuscire a sapermi fidare di qualcuno. Come si fa? Come si fa a mettere in mano la propria vita nelle mani di un'altra persona? Lei o lui, ha il potere di fare qualsiasi cosa con i tuoi sentimenti, con il tuo cuore, con la tua vita. Vorrei potermi lasciare andare, definitivamente. Avere qualcuno di importante nella mia vita ma ho così tanta paura che mi nego qualsiasi cosa. E' soltanto colpa sua. Se non ci avesse lasciati tutto questo non sarebbe mai successo. Lo odio così tanto.

A fine giornata mi ritrovo sdraiata sul mio petto, con in mano un vecchio libro comprato prima di partire. Mi manca l'Inghilterra, la mia vecchia casa. Era molto più grande e spaziosa di questa. Avevamo anche un bel giardino. Ricordo quando mia madre piantava le rose rosse, le sue preferite, io le ho sempre viste come se fossero un cliché. Ormai provo ad immaginare che fine abbiano fatto, se il nuovo proprietario della casa le abbia innaffiate e se ne sia preso cura. Ho perso molti libri e oggetti personali durante il trasloco, anche dei diari ma fortunatamente dentro non c'è scritto nulla di importante, risalgono tutti a prima che mio padre ci abbandonasse.

Sento il rumore del portone sbattere e mi ritrovo a camminare scalza lungo il pavimento e mi trascino in salotto. Mia madre finalmente è rientrata a casa. Il pranzo di lavoro è durato così tanto, sarà possibile che abbia trascorso l'intera giornata insieme al suo capo al di fuori del lavoro?

La guardo con più attenzione, anzi, la studio. I suoi capelli bruni sono disordinati, la coda di cavallo è più bassa del solito e stamattina ricordo che se li sia legati in uno chignon alto. La camicia nera è sbottonata ai primi tre bottoni, riesco a intravedere il suo reggiseno color carne a balconcino. Le calze sono leggermente sfilate alle sue caviglie e i tacchi sono sporchi di fango. Non è andata affatto al pranzo di lavoro e detesto pensare che sia andata in intimo con il suo capo. Sarebbe assurdo ma soprattutto irresponsabile da parte sua. Non può aver fatto sesso con il suo datore di lavoro. Sarebbe troppo cliché, il capo che seduce la propria segretaria, la porta nel suo artico di lusso e fanno sesso e il giorno dopo fingono che non sia mai successo dando la colpa ad un momento di debolezza.

«Mamma» la richiamo con tono di voce alto e la vedo sobbalzare al tal punto che la sua borsetta cade a terra. Sembra che sia stata appena colta in fragranza.

«Oh ciao...Hannah», mi guarda a malapena e cerca di ricomporsi. «scusa il ritardo ma c'è stata una riunione...».

«Cazzate» esordisco prima del previsto serrando la mano in un pugno. «sei solamente una segretaria e le segretarie non prendono parte alle riunioni», il mio tono è aspro e duro e so di averla offesa ma questa è la realtà dei fatti. Sarò più piccola di lei ma so come va il mondo.

«Abbassa il tono», sogghigna lanciandomi una delle sue occhiate amare ma che questa volta non hanno nessuno effetto su di me. «non sono stata ad una riunione lo ammetto ma non devo rendere conto a te di ciò che faccio».

È vero, lei è adulta e può fare qualsiasi cosa ma ha due figlie a casa e non può darci questo esempio.

«Ah be' allora indirettamente stai ammettendo di aver trascorso tutta la giornata con il signor Spencer?», inarco un sopracciglio scettica dal suo tentativo di giustificarsi. «mamma non sono nata di certo ieri e il tuo aspetto parla da sé», la indico lanciandole un'occhiata amara.

Si guarda, confusa. «Cosa ha il mio aspetto che non va?». Detesta avere torto.

Scoppio a ridere alla sua domanda. «Non fingerti ingenua. Hai il tipico aspetto di chi ha appena finito di fare sesso», alzo le spalle. «sei stata a letto con il tuo capo?», domando senza nessun giro di parole e voglio ottenere la verità.

La sento sospirare quasi duramente mentre si dirige di fretta in cucina evitando il mio sguardo. «Anche se fosse? Non vedo il perché ti interessa e la cosa non ti riguarda di certo, Hannah», apre uno dei sportelli e prende un pacchetto di cracker alle olive. «la mia vita privata rimane mia, tu sei solo una ragazzina che gioca a fare l'adulta». Cerca di offendermi solo per evitare di dirmi che è stata a letto con il suo capo.

Le sue parole mi feriscono comunque  ma cerco di farle scivolare addosso. «Esiste il pudore sai mamma. Sei davvero caduta in basso? Eppure mi hai sempre detto che eri davvero contraria a queste cose, relazioni tra capo e segretaria». Sogghigno avida ricordando le sue parole dette quando è stata licenziata prima di trovare questo lavoro dall'altra parte del mondo.

«E lo penso ancora. Non abbiamo una relazione sentimentale, tranquilla Spencer non diventerà il tuo patrigno se è questo che ti preoccupa davvero». Lo dice con nonchalance come se fosse tutto normale questa assurda situazione. Non oso immaginare il suo capo nella sua vita e che cerca di ottenere le mie grazie. È un uomo ricco e potente e so come funzionano queste cose, cercherà di ottenere il mio consenso facendomi dei regali costosi, ma non funzionerà il denaro non comprerà la mia fiducia.

La guardo confusa, i sentimenti che sto provando in questo momento sono contrastanti. Rabbia, irritazione, sdegno. Non dovrei provare questi sentimenti nei confronti di mia madre, ma lei...lei sarebbe andata a letto con il suo capo, come faccio ad accettare una cosa simile?

Scosso il capo al suono delle sue parole. Mi rifiuto di crederci. «Non è quello di cui mi preoccupo, mamma. Ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Che cosa dirà la gente? Ti farai passare per una facile...oddio mamma sei stato il suo cliché», sogghigno disgustata mentre le mani si premono ai lati della mia testa. Non ci posso credere, non ci voglio credere. «tu che sei sempre stata la prima a dire che non ami questo genere di cose per via di quello che ti ha fatto papà...e ti sei comportata come lui».

La mia voce è lacerata mentre gli occhi si riempiono di lacrime, lacrime accumulate forse per troppo tempo. Non piango davanti a mia madre dal momento in cui mi sono resa conto che papà non sarebbe mai più tornato. Ho promesso a me stessa che mia madre non mi avrebbe mai vista piangere e invece, ho rotto questa promessa come sono rotte ogni cosa nella mia vita. Raccolgo di fretta la giacca, non ce la faccio a restare, ho bisogno di uscire, di allontanarmi da lei. Lascio che la porta mi si chiuda alle mie spalle, allontanando le suppliche di mia madre e mi lascio dietro di me la mia rabbia ma non la mia delusione. 

Ma lei non mi guarda, nemmeno per accettarsi che stia bene. Mi ignora ed è quello che mi ferisce più di ogni altra cosa. Alla fine qualunque cosa succeda, io debba essere l'unica a essere ferita, illusa e ignorata.

Spazio Autrice.

Eccomi qui con un nuovo capitolo. Non avevo ispirazione su come finirlo quindi ho deciso di optare per questo finale solo perché davvero non avevo scenari conclusivi. Mi scuso per metterci sempre troppo tempo ma le idee non mi arrivano sempre. Questa è una nuova parte rispetto alla versione precedente. Hannah ha scoperto ora della sottospecie di relazione fra sua madre e Liam Spencer mentre nella vecchia stesura Hannah lo scopriva metà capitolo e per puro caso.

Ora devo scrivere l'altro capitolo della mia storia: IL DIARIO DI SELENA MILLS quindi mi ci vorrà un po' di tempo per scrivere questo, o questione di ispirazione. 

Mi scuso per gli errori e per tutto. Seguite le mie altre due storie: Cursed e appunto il diario e blah blah blah

Buon fine settimana. 

Baci.

-Susy xx

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