Capitolo 4 - I Ricordi di Daniel

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A quei tempi Arathen Al'As, l'Accademia del Sole, era splendida.

Se sento il profumo del mare e chiudo gli occhi riesco a vederla, come se fossi ancora lì. Vedo le torri bianche che si stagliavano sul cielo limpido e i ponti di marmo, immensi, sospesi su archi di volta che risalivano il fianco dei torrioni.

Quando arrivai ero poco più di un bambino.

Ricordo un episodio in particolare, ero seduto imbronciato e a gambe incrociate sul cornicione di una delle torri. Lo facevo spesso, ma quella volta ero più che mai deciso a rifugiarmi nei miei pensieri.

Oltre il cornicione riuscivo a vedere gli scoglioni della costa frastagliata ai piedi del castello. Osservavo le onde, me ne riempivo gli occhi. Il mare si abbatteva irrequieto, schiumando fino ai fianchi più bassi del castello, ma persino la rabbia delle onde non poteva scuotere l'Accademia del Sole.

E per questo l'odiavo, almeno un po'.

Allora m'immaginava unico marinaio sulla mia tolda, navigavo in mare aperto, lontano. In cerca di una stella che mi facesse sentire meno perso, meno solo.

Il mio fantasticare, confortante per quanto solitario, fu interrotto dal cigolio dei cardini di una porta di legno. Non alzai la testa, non voltai lo sguardo, corrugai solo la fronte atteggiando un'espressione testarda.

Mi raggiunse un suono di passi. Non ebbi bisogno di vedere l'uomo che si sedette al mio fianco per sapere chi fosse. Intravidi i suoi piedi avvolti nei sandali di cuoio dondolare oltre il bordo e le mani nodose macchiate dalla vecchiaia poggiarsi sulla tunica bianca, tra le ginocchia.

"Apprendista Daniel" disse.

"Precettore Amis" risposi svogliato.

Per un po' il precettore non disse altro. Guardava l'occhio aperto dell'Arcano, il sole. Potevo immaginare la sua espressione, aveva sempre guardato in cielo come incrociasse lo sguardo di un vecchio amico.

Alzai anch'io il viso. Il calore dei raggi ricadeva su di noi, era di buon auspicio, così avrebbe detto mia madre.

"Percepisco dalla tua aura che c'è qualcosa che ti turba. Vuoi parlarne?".

"No", fu l'unica risposta che diedi, cercavo di sembrare imperturbabile, ma per la verità ero triste e arrabbiato, ma anche troppo testardo.

Sentii lo sguardo di Amis pesarmi sulla coscienza, così nascosi gli occhi dietro i capelli scompigliati dal vento. Non avrei saputo continuare la mia recita se mi avesse guardato in faccia.

"Vengo qui spesso anche io, per meditare", riprese volgendo lo sguardo all'orizzonte, cortesia che accolsi con sollievo . "Mi è sempre piaciuta la quiete di questo posto. Tutto qui è meno spaventoso".

"Io non sono spaventato."

"Parlavo di me. Credi che io non possa avere paura? Il viaggio sulla terra è costellato di affanni, spesso è difficile persino per me affrontare certe cose. A volte ho bisogno di fuggire."

"Io non sto fuggendo" rimbeccai. Quel modo di girare intorno al problema m'infastidiva, saggiava le mie difese in cerca di una breccia. Mi preoccupava il pensiero che prima o poi potesse cogliere in flagrande una debolezza che non potevo prevedere. Non volevo trovasse alcuno spirglio.

"Io lo faccio a volte" rispose Amis con una vaga scrollata di spalle. "Quando succede qualcosa di brutto preferisco allontanarmi".

Sbuffai irritato, decisi di darci un taglio, volevo che quella conversazione finisse in fretta, "so che le hanno raccontato cos'è successo questa mattina. È qui per questo, non è vero?".

"Sì."

Quella risposta si accompagnò ad un moto di commiserazione che mi colpì con la forza di uno schiaffo. Strinsi i denti, non volevo cedere alla rabbia e dimostrare una volta per tutte che non ero in grado di controllare le mie emozioni.

"Scommetto che è venuto per dirmi che mi cacciate. Lo faccia, non perda altro tempo."

"Perché dovrei?".

"Non lo so, ma meglio così, odio stare in questo posto. Non voglio diventare un custode, o uno scacciademoni, o quello che volete voi."

Amis esitò per un istante, poi, con affetto, chiese "dov'è che ti piacerebbe essere in questo momento?".

"A casa mia."

"C'è una guerra in Scozia, lo sai. Tua madre ti ha lasciato all'Accademia perché è il posto più sicuro per te."

Strinsi la guancia tra i denti, l'arpionai fino a farla sanguinare perché il dolore mi aiutasse a trattenere le lacrime che mi pungevano gli occhi. "Mia madre è morta".

"Non puoi saperlo."

"Stanno morendo tutti. Riesco a percepire la loro sofferenza persino da qui. Se non posso andare a casa allora voglio andare ancora più lontano", abbassai lo sguardo sui pugni stretti posati in grembo, "dove non sentirò più niente".

Il vecchio fece un sospiro profondo, lo sentii affranto. L'affetto che già nutriva per me si macchiava di un rammarico profondo. Dovetti sopprimere il desiderio impellente di confortare quel dolore, che in fondo era causa mia, ma di cui non volevo sentirmi responsabile.

"Saremmo dovuti rimanere uniti", mormorai alla fine.

Gli occhi di Amis si posarono di nuovo su di me, ma questa volta con severità, un rimprovero silente che mi arrivava limpido come il vento sulla faccia.

"A volte le circostanze devono essere accettate per ciò che sono. Tua madre ti ha portato qui perché ti ama. Tuo padre è andato in guerra perché ti ama. Entrambi desiderano proteggerti. Per questo tu dovrai restare, perché li ami a tua volta e perché un giorno come sacerdote del Sole amerai le persone che vorranno essere salvate dalla tua mano."

Voltai la testa per sottrarmi ancora di più al suo sguardo. Se avessi potuto sarei scomparso nel nulla in quel preciso istante.

"Daniel hai avuto un dono dal Sole, a te sono rivelate le emozioni altrui. Ma il tuo dono è anche la tua condanna. Non va bene sentire tutto questo dolore, ti trascina in luoghi bui della tua anima, dove il Sole non può proteggerti. Qui potrai imparare a rimanere sulla strada illuminata ed essere a tua volta luce per chi soffre."

Un nodo alla gola infranse i miei propositi di rimanere impassibile. Strinsi ancora di più i denti per recuperare contegno. Il sapore del sangue sulla lingua tornò ad inondarmi la bocca.

"Daniel, ti assicuro che imparerai a controllare la tua capacità empatica e forse un giorno grazie ad essa potrai fare qualcosa per fermare la violenza che dilaga nel mondo."

Alzai appena lo sguardo, incrociai i ricami dorati della tunica del mio precettore. "Come?" chiesi e sollevai ancora di più gli occhi finché non incrociai quelli profondi di Amis, "come posso fare ad usare le mie abilità se non mi procurano altro che sofferenza?".

"Con coraggio, Daniel. Dovrai accettare il dolore come tuo compagno per il resto della tua vita."

***

L'espressione di Urian era sconcertata, aprì la bocca e solo dopo un istante si espresse, cupo e irremovibile.

"Il dolore non è un compagno, è un carnefice."

Daniel e i suoi occhi traboccanti di luce lo osservano divertiti. "Forse" ammise, "eppure è un carnefice che anche tu hai scelto."

Il volto di Urian rabbuiò, "un bambino non ha colpe. Io sì. In ogni caso non è così che si dovrebbe vivere".

"Chi può dire quale sia il modo giusto di vivere? Il mio mondo bruciava e avrebbe bruciato ancora, per molti anni. L'equilibrio tra gli Arcani si era spezzato e io ero condannato a percepirne le conseguenze. Amis m'insegnava l'unico modo per sopravvivere che conosceva. Anche lui, a suo modo, soffriva per me."

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