6. LA STREGA

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Lo Stato del West Virginia, con la sua popolazione di poco meno di due milioni di abitanti, si estendeva come un mondo appartato e impervio. La sua conformazione geografica era un mosaico di montagne e altopiani, alcuni così inaccessibili da sembrare disegnati da una mano divina. Questa terra si era guadagnata il soprannome di "State Mountain", poiché sembrava piegarsi sotto il peso delle proprie creazioni naturali.

Un'insaziabile curiosità mi aveva portato a studiare tutto ciò che riguardasse il West Virginia, compresa la sua storia. Avevo letto, dunque, come avesse abbracciato la sua individualità durante la guerra di secessione americana, staccandosi dalla Virginia Madre.

Tuttavia, quando lo sguardo si alzava oltre gli insediamenti, il paesaggio naturale si palesava come il vero protagonista. Magnifici boschi fitti di querce e conifere, fiumi che solcavano il territorio con ardore e montagne che invitavano a viaggi di scoperta. Era quello il mondo che volevo visitare, esplorare e assimilare.

I Monti Allegani e gli Appalachi, con le loro forme imponenti, attiravano da sempre gli appassionati. I piccoli centri urbani, sobri ed essenziali, erano lì solo per custodire la bellezza intatta di un paesaggio che aveva il tipico sapore dell'avventura. Ero convinta che anche Ethan avrebbe apprezzato quei paesaggi.

Forse, mi avrebbe anche ringraziato per averlo portato lì.

Le cascate scroscianti, i canyon tortuosi, le scogliere che si ergevano come guardiani silenziosi e le paludi attraversate da lunghi ponti di legno, tutto ciò era la vera essenza di quelle montagne.

Quando perlustrammo quelle zone meravigliose, le mie certezze vennero confermate dai suoi occhi stupiti e incantati. Avevo anche un altro asso nella manica per ammorbidire la scorza dura di Ethan, tutti quei tesori naturali che ancora non aveva visto e che gli feci esplorare nel tardo pomeriggio.

Mentre Louise e Frank vedevano senza guardare sul serio, troppo concentrati a fissare l'obiettivo della telecamera per ammirare sul serio ciò che li circondava, mostrai a Ethan le antiche linee ferroviarie che avevano visto passare secoli di cambiamenti e ospitato addirittura i vecchi treni a vapore. Gli raccontai un viaggio a ritroso nel tempo, attraverso quel paesaggio che ancora accoglieva entusiasta appassionati e visitatori casuali con la stessa, identica, imponenza di un tempo passato.

Trascorremmo i primi giorni a perlustrare ogni zona come dei turisti comuni per ambientarci meglio, conoscerci e rilassarci.

Di sicuro quei luoghi offrivano una varietà di esperienze, molte delle quali richiedevano abilità e concentrazione atletiche. Doti che, fu evidente subito, Louise e Frank non possedevano. Mentre Ethan, cresciuto tra i boschi impervi dell'Alaska, si muoveva spedito senza accenno di difficoltà e io lo seguivo abbastanza allenata dai miei viaggi, i due youtuber boccheggiavano, rallentavano e si lamentavano a dismisura.

Dopo essere giunti nelle zone più interne di quella parte del territorio Appalachi, avevo costretto tutto il gruppo a un giro di ricognizione più approfondito. Non avevo immaginato, però, che per quei due sarebbe stato così gravoso.

«Ci fermiamo un po'» supplicava di tanto in tanto Louise.

«Ma non siete stanchi voi due?» le faceva eco Frank con un tono d'accusa neanche troppo velato.

Annaspavano, ansimavano, scivolavano giù per le discese come palloni da football, superandoci e rotolando sino alla fine dei declivi.

«Pensi che si ammazzeranno?» chiesi, vedendomeli sfilare a fianco e rimbalzare sul terreno.

«Nooo, sono fatti della stessa sostanza della gomma. Rimbalzano, vedi?» rispose Ethan.

Le avide ruote del tempo sembrarono rallentare, quando mi ritrovai a esplorare quello che era, a tutti gli effetti, un sentiero unico nel suo genere. Il percorso era poco più di venticinque miglia e si estendeva fino al confine tra West Virginia e la Virginia. Questo segmento arrivava fino al cuore del Parco Storico Nazionale, luogo dell'incursione di John Brown e di importanti battaglie della Guerra civile. Oltre al Parco, il sentiero attraversava anche Harpers Ferry, tipica cittadina sede del quartier Generale dell'Appalachian Trail Conservancy, in quella zona avevamo trovato un Motel di fortuna. Poco più avanti c'era il campus dell'ex Storer College, storica fondazione creata per istruire le persone liberate dalla schiavitù dopo la Guerra Civile. Era una sezione del vasto sentiero degli Appalachi, di moderata complessità. Avevo letto che richiedeva un impegno di quasi due ore per essere completata. Rischiammo di doverci passare l'eternità, perché i due influencer del mistero non ce la facevano proprio a stare al nostro passo.

Era di sicuro un'invitante sfida, un dibattito tra le nostre gambe e il terreno accidentato, un balletto tra l'ascesa e la discesa che trasmetteva un senso di appagamento e conquista, ma tutto ciò era evidente solo per me ed Ethan. Sentivo il rantolare di Frank sul mio collo dopo ogni salita e lo sbuffare di Louise dopo ogni declivio.

«Ti piace l'ornitologia?» domandai a Ethan, soffermandomi per dare il tempo agli altri due di riprendersi.

«La vita, l'ambiente e il canto degli uccelli?» mi chiese lui. Poi dopo una rapida occhiata, aggiunse: «Certo che so cosa significa ornitologia, Emma».

La mia espressione meravigliata mi aveva tradita.

Arrossii sentendo il dovere di giustificarmi: «Non sapevo che ti interessassero, tutto qua. In queste zone ci sono diverse specie».

«Guarda quell'uccellino sul ramo» disse indicandomi quello che, per me, era solo un comune e grazioso passero.

«Sì, un passerottino» esclamai, difatti.

«Non ti piace l'ornitologia, se dici così» osservò con un sorrisetto. «Questo è un rampichino americano. Osserva bene il suo tipico aspetto paffuto incassato nel tronco e il becco lungo e sottile. E se guardi con attenzione il piumaggio lo capisci che è diverso da quello dei passerotti, no? È bruno per buona parte del corpo, grigiastro qua sulla nuca e sul dorso. Questi sono uccellini sono tipici di queste foreste degli Appalachi».

Annuii impressionata.

«Ora, guarda questi alberi. Sono conifere di abeti rossi»

«Come fai a sapere tutte queste cose?» domandai.

«La tua tendenza a sottovalutarmi non ha basi solide» rispose con un sorrisetto amaro.

«Non ti sto sottovalutando».

«Fai bene»

«Ethan... » balbettai, arrampicandomi sugli specchi nel vano tentativo di mostrarmi diversa dall'immagine che si era fatto di me. Tuttavia, si allontanò e compresi che per lui il discorso era finito lì.

Riprendemmo il sentiero in silenzio.

«Questo è il percorso battuto da tutti, giusto?» mi chiese Ethan, affiancandomi.

«Sì, ma per fare bene le mie indagini dovremmo avventurarci in sentieri più impervi e nascosti» spiegai.

«Con quei due appresso?» chiese, indicandoli.

«Se dopo questa passeggiata non cedono spontaneamente, temo di sì» risposi, facendogli l'occhiolino.

Quel tratto sembrava adattarsi, come un camaleonte alla natura e a ogni minimo mutamento delle sfumature della terra. Un piacevole tepore ci avvolgeva senza infastidirci con l'eccessiva afa estiva. Arrivammo presto davanti alle montagne Blue Ridge che si ergevano come maestosi custodi del tempo estendendosi dalla Virginia al West Virginia. Le loro vette sfumate scomparivano in un azzurro etereo. Il vento sussurrava tra gli alberi, portando con sé l'incenso della resina e il profumo terroso del muschio. Rocce centenarie emergevano dalla terra, testimoni mute della storia. Ogni passo sul sentiero era un viaggio attraverso epoche passate, quando i nativi americani e i pionieri percorrevano quelle terre selvagge. Le montagne sembravano serbare ancora intatti i segreti e le leggende. Immersa in quel cammino, mi sentivo avvolta da un senso di appartenenza a qualcosa di eterno. Il sole, filtrava tra le foglie e dipingeva sul terreno giochi di luce in continuo movimento. In quel momento, mi sentii come la visitatrice più fortunata del mondo in un museo di meraviglie geologiche, una testimone privilegiata di un capolavoro millenario.

Percepii che Ethan mi aveva affiancato e capii subito che stava provando le mie stesse emozioni.

Ci ritrovammo in perfetta sintonia come quando avevamo esplorato insieme le magnificenze dall'Alaska. Di nuovo insieme, dopo tre anni.

Gli alberi si sporgevano come sorveglianti silenziosi, mentre il canto degli uccelli creava una sinfonia di suoni in armonia con l'ambiente circostante. La strada per raggiungere quell'oasi di serenità aveva richiesto impegno e dedizione. E certo, non prevedeva che Frank si sarebbe portato a tracolla tutta la sua pesante attrezzatura, compresa la telecamera a mano.

Da quel punto il sentiero conosciuto si diramava in altri due più piccoli, uno più facile e l'altro molto meno. Decidemmo di dividerci e percorrere entrambi. Dovevamo avere ben chiare le vie di passaggio a disposizione, considerando che avevo in mente di iniziare le indagini di notte. L'eccitazione aveva preso il sopravvento su di me ed ero infastidita dai continui rallentamenti causati dagli youtuber. Però, stringevo i denti e tacevo perché protestare sarebbe servito solo a offrire il fianco debole a Ethan che si sarebbe divertito a punzecchiarmi.

I ragazzi presero il percorso più difficile, io e Louise l'altro. Lungo il sentiero, incontrammo diversi ostacoli, riflessi delle sfide che la natura e l'uomo affrontavano già nel passato in questa terra. Tuttavia la fatica veniva ricompensata, dopo ogni tratto difficile, dalla bellezza che offriva il paesaggio.

Louise sbuffava di fronte a tanta magnificenza. Era evidente che non era abituata a godere della bellezza naturale. Più la studiavo e più mi appariva intrappolata nella sua perfetta vita urbana tra cemento, interazioni sui social e apprezzamenti di estranei con i like. Il suo successo online l'aveva divorata, costringendola a un'esistenza dominata da filtri digitali e selfie patinati. La vera connessione con il mondo circostante era stata sostituita da una mera raccolta di clic e cuoricini. In quel momento, provai compassione per ciò che non riusciva ad assaporare. Mi proposi di essere più comprensiva nei suoi confronti.

Nelle ore che seguirono, perlopiù ignorai le sue continue lagne e mi parve un atto di massima indulgenza da parte mia. Era, ormai evidente, che il suo entusiasmo fosse rimasto all'aeroporto, disperso nella zona carico e scarico.

Quando ci riunimmo con Ethan e un esausto Frank, mi resi conto, dall'espressione contrariata del primo, che anche il secondo aveva saputo infastidire come la sua degna compagna.

Purtroppo, mi era bastato fare quei semplici percorsi in loro compagnia per rendermi conto quanto la vera personalità di Frank fosse più in sintonia con quella di Louise che con il suo aspetto esteriore. Tutta la riflessività e lo spessore intellettuale, intravisti nel suo volto all'aeroporto, erano in netto contrasto con quello che diceva e con il suo comportamento. Come si suol dire In vestimentis non est sapientia mentis.

Le leggende che affollavano quelle montagne, avevano creato attorno a esse un'atmosfera di totale mistero e fascino. Non vedevo l'ora di rendere tutti partecipi di ciò che avevo scoperto. Mentre ci riposavamo seduti su alcuni tronchi spezzati, spiegai loro che tra i diversi miti emergeva in modo sinistro la storia di una strega malvagia che si narrava vagasse lungo quei boschi, pronta a distruggere il destino di chiunque osasse sfidarla. Appena iniziai a raccontare ciò che mi aveva colpito e che mi aveva spinto ad andare fin lì, Frank mi puntò la telecamera in faccia.

«Allora, amici miei, ora la guida locale ci spiegherà il motivo per cui siamo arrivati in queste zone dimenticate dall'uomo», annunciò con tono solenne.

Guida locale? Zone dimenticate dall'uomo?, pensai accigliandomi. Povero cocco di mamma, ancora devi vederle le zone dimenticate dall'uomo!

Con la coda dell'occhio, notai Ethan sghignazzare.

«Ho già i brividi che corrono lungo la schiena», intervenne Louise guardando dritta nella fotocamera e parandosi davanti al mio volto, oscurandomi. «Credetemi, si sente aleggiare un profumo di morte...»

«Di sicuro, è il cadavere di qualche carogna» commentò Ethan. «Potresti anche essertici seduta sopra».

La ragazza si alzò di scatto con un urletto terrorizzato, guardandosi intorno frenetica.

«Tranquilla, non c'è niente di morto sotto il tuo sedere» la rassicurai seccata. «Per ora», aggiunsi in un sussurro.

«Oh!» esclamò, riaccomodandosi sollevata. «Ethan, oltre a essere un bel ragazzo, è anche uno a cui piace fare scherzi» confidò alla telecamera.

Ad accigliarci questa volta fummo in due.

Io e Frank.

Ethan continuò a sghignazzare sommesso.

«La leggenda vuole», ripresi decisa a ignorare le provocazioni, «che questa strega abbia il potere di celare la sua vera natura sotto le spoglie di una vecchietta innocente. Con la sua presenza dolce e rassicurante attira i bambini nella sua trappola per poi nutrirsi dei loro corpi, utilizzando un dito affilato come una lancia. Mentre alcuni scartarono da subito questa storia descrivendola come una semplice favola, i cacciatori Shawnee, uomini abituati alla saggezza della natura, giuravano di averla incontrata e vista in azione con i propri occhi. Le loro testimonianze hanno alimentato la tensione che ancora serpeggia tra gli alberi, creando un velo di mistero che si tramanda nei secoli fino ai giorni nostri».

«Ohhhh!» esclamò Louise voltandosi rapida verso la telecamera.

La ucciderò e la sacrificherò alla strega, se continua così, pensai fulminandola con lo sguardo e dimenticandomi all'istante i buoni propositi.

La biondina, però, era troppo presa dal video che stavano girando per accorgersene.

Feci un lungo sospiro seccato e proseguii: «Pare che la sua presenza venga annunciata da un ronzio sinistro e da un'orda di mosche che la seguono, segnando il suo passaggio nei boschi. Ancora oggi, quando un bambino scompare, il suo nome viene sussurrato dagli anziani del luogo in un'accusa appena udibile. Si racconta di una piccola sfortunata che, incurante del pericolo, permise alla strega di giocare con i suoi capelli, cadendo in un sonno profondo. Mentre la megera si divertiva con la chioma della bambina, l'aria si impregnò di un odore putrido e insopportabile, annunciando la sua vera natura. In un attimo, la strega trafisse la bambina con il suo dito affilato e, con orrore, la baciò assaporando il sapore del fegato crudo».

«Adesso noi, cacciatori di misteri, renderemo giustizia a tutti quei poveri bambini» mi interruppe Frank.

«Taci, lasciami finire di raccontarti la leggenda», gli dissi infastidita. «Si narra che i valorosi guerrieri locali, stanchi delle sue malefatte, riuscirono finalmente a intrappolarla. Le frecce, scagliate con abilità mortale, trafissero la mano responsabile di tante atrocità. Quando accadde, l'aria si riempì del ronzio sinistro che l'aveva da sempre accompagnata, mentre le mosche si dispersero nei boschi come avvisaglie del suo destino. Tuttavia anche nell'agonia, la strega non riuscì a sottrarsi alla natura demoniaca che le albergava nell'animo. Così, lo spirito, una volta sconfitto il suo corpo, si fuse con le rocce del luogo, condannato a una sorta di esistenza eterna e tormentata».

«E noi entreremo in contatto con questo spirito attraverso una seduta spiritica» esclamò Louise.

«Cosa?!» le chiesi con voce stridula. «No, non è questo che siamo venuti a fare!».

Ethan iniziò a tossire come se si stesse strozzando con la sua stessa saliva.

«Tu no, noi sì» mi rispose risentita Louise. «Frank fa una panoramica del paesaggio sinistro. Mostra ai nostri follower dove ci troviamo».

Il ragazzo ubbidì subito.

«Il fantasma della perfida strega sembra ancora solleticare l'aria, nascosto tra le ombre dei sentieri e le vette delle montagne» dichiarò Frank con voce grave e teatrale.

Lanciai uno sguardo disperato di richiesta d'aiuto a Ethan che rispose sorridendo e alzando le mani in segno di resa.

«Te l'avevo detto io» mi sussurrò.

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