Sette.

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Capitolo revisionato.

Apro la porta, con mano vacillante. Il mio cuore scalpita nel petto, e in un attimo è come se Michelangelo sia stato il primo ragazzo ad avermi invitata ad uscire. Ma non è normale. Così come non è normale che attraverso la maglia io possa intravedere il mio seno muoversi freneticamente.

Il dettaglio che più di tutti mi lascia perplessa è che ha passato la notte con un'altra; poi mi ha invitata a trascorrere la serata insieme, senza darmi tempo di capire la loro relazione. E la cosa non dovrebbe minimamente interessarmi; perché, tanto, è un semplice, banalissimo appuntamento.

Vero?

Sbuffo, chiudendo la porta e tremando dall'emozione, letteralmente. Per un ragazzo; che conosco da meno di un giorno. Che mi ha solo chiesto di uscire. Io, Alisya De Stefano, sto permettendo ad un ragazzo di farmi battere il cuore all'impazzata. Sei una delusione, ribatte il mio ego, amareggiato.

Sollevo lo sguardo verso l'orologio circolare e spoglio appeso alla parete del salone. Mancano meno di quattro ore. Sto facendo sul serio un countdown?

Mi rifiuto di riconoscermi. Niente di tutto ciò ha senso.

Entro nella camera di Perla, stiracchiandomi e strisciando i piedi sul pavimento. «Hola.».

«Bentornata. Ti sei ricordata di avere una casa?» -mi saluta, sorridente, mentre un piccolo senso di colpa per non averla avvisata mi attraversa con lentezza, facendomi provare un leggero imbarazzo. Perla è seduta accanto la scrivania; ripone dei fogli in una cartellina verde e fa girare la sedia con le rotelle, come se fosse una giostra.

«Tu devi raccontarmi un bel po' di cose.» -borbotto, indicandola e prendendo posto sul suo letto. Da quanto tempo non parlavamo di ragazzi? Troppo. «Quel Raffaele mi sembra un bel tipo.».

Sfilo le scarpe e, stanca morta, mi sdraio sul materasso, intanto che lei incrocia le gambe e rivolge lo schienale della sedia alla scrivania. «E' una lunga storia.».

«Parla, ti ascolto.» - rispondo, fissando il soffitto e cercando in tutti i modi di non addormentarmi.

«Allora...» - principia a parlare, soffermandosi sulla 'o'. Sospiro: sarà davvero una lunga storia. «Ieri sera, quando parlavi con uno sconosciuto, anzi, no» -si corregge- «eri incantata da uno sconosciuto, qualcuno mi ha picchiettato sulla spalla. Quel qualcuno, come puoi immaginare, era Raffaele.».

«Non l'avrei mai detto.».

«Mi fa 'Sei davvero bella, sai?' e sembrava sincero, non arrogante. Così ci siamo seduti sugli sgabelli attorno al bancone centrale, e...» -fa una pausa, accarezzandosi nervosamente i ricci- «e ci siamo presentati. La musica era assordante; così, dopo aver ballato un po', abbiamo deciso di andare fuori a parlare.

Non accennava ad abbracciarmi, non faceva niente ed era una veeera noia! Così ho preso coraggio, mi sono avvicinata, gli ho messo le mani sulle guance e, mentre stavo per baciarlo, indovina!?».

«Ma come, stavi per baciarlo?» -domando, sconvolta. «Ma non è normale, Perla!».

Alza gli occhi al cielo, rispondendo alla sua stessa domanda. «E si è allontanato!» - sbotta, agitando le mani.

Scoppio in una fragorosa risata, non riuscendo a contenermi. «Mi sembra ovvio, lo stavi importunando!».

Scrolla le spalle, come se ciò che ho detto non sia per niente vero. «Rossa dalla vergogna, mi scuso e gli dico che devo andare.»

«Ed ha lasciato che te ne andassi?».

Mi guarda, avvilita, e annuisce. «Poi sono andata verso la macchina, ed ho sentito dei passi.».

«Inquietante è dir poco.» -commento, sollevando il busto e poggiandomi alla parete.

«Sai come sono fatta, i miei mi hanno insegnato a difendermi. Mi volto e, con gran sorpresa, scopro che non è un serial killer, ma Raffaele. Non mi dà neanche il tempo di parlare, che mi bacia.»

«A caso.».

Guarda il soffitto, sognante. E' bello vederla così felice, e dovrei seriamente smetterla di sciogliere la sua gioia con la mia acidità. «Miiinchia. Non poteva finire lì.» -continua, con accento siciliano. «Mi ha invitata a casa sua, ero eccitatissima! Sono mesi che non...».

La interrompo, alzando la mano. «Tralascia.».

Ridacchia, mostrando i denti bianchissimi, e si passa una mano fra i capelli, vizio che non ha per nulla abbandonato alla terra siciliana. «Comunque, durante il viaggio in macchina mi chiedevo  'Ma dove andiamo? Non ci sono i suoi genitori a casa? Mica c'ho tanti peli sulla ciciu?'».

La fisso per qualche attimo, perplessa. Vado ad intuito e capisco che la  ciciu  non è altro che quella che abbiamo fra le gambe. Scoppio a ridere per tutti quei pensieri, anche se -probabilmente- mi sarei fatta le stesse paranoie.

«Tornata da lui, mi ha fatta entrare in macchina e per tutto il viaggio mi ha stretto la mano. Ha continuato a chiedermi se fossi sicura. Che palle! Perché non capiva che, se non avessi voluto, non l'avrei fatto!?».

«Perché, magari, non ti conosceva affatto?» -ribatto, ironica e anche un po' infastidita dalla sua domanda retorica.

«Arriviamo a casa sua ed il resto puoi immaginarlo.» -continua, ignorandomi, ed è l'unico momento in cui mi pare di scorgere del rossore sulle sue guance. Quasi mi insospettisco, perché è impossibile: Perla non arrossisce mai.

«No, grazie, non voglio immaginarlo.» -rispondo, fingendo un'espressione disgustata. «Adesso tocca a me.» -mormoro, passando poi ad illustrarle la mia strana situazione.

Per tutto il tempo, Perla mi ha guardata con un cipiglio in volto. Dopotutto non c'è da meravigliarsi, con tutto quello che è successo tra ieri sera e oggi pomeriggio. Durante il racconto non ha proferito parola, perché Perla è così: ascolta, analizza, infine commenta.

«Ali, scusa, ma se va già a letto con un'altra, perché ti ha invitata ad uscire?» chiede, cauta, cercando in tutti i modi di non ferire i miei sentimenti. «Cioè, è... strano.».

Bella domanda.  Scrollo le spalle, accarezzandomi nervosamente le mani. «Non lo so.»

«Stasera cerca di indagare.» - consiglia, massaggiandosi il mento. «Che poi, è un coglione. Se vuoi invitare una ragazza ad uscire, di certo non le dici che vai a letto con un'altra!».

Allargo le braccia e mi stendo sul fianco. Non so che dire. Forse non gli piaccio, per questo me l'ha detto. Però mi ha invitata ad uscire. Oddio, non ci capisco più niente.

Finirò per impazzire.

E' vero, in effetti. Se è già fidanzato non avrebbe dovuto invitarmi. Non voglio che tradisca quella Marta, non voglio mettermi nei guai, sinceramente. «Preferirei non dividerlo con nessuno.» -mormoro, fissando lo sguardo nei suoi occhi verde smeraldo.

«Ti interessa, Ali?».

Mi mordo il labbro superiore, perché quello che sto per dire necessita di un grande sforzo. Tiro un lungo sospiro.«Credo di sì.».

Due ore dopo, sono finalmente pronta. Se prima ero in ansia, adesso lo sono ancora di più.

Attorciglio il filo della piastra, con movimenti meccanici e quotidiani, e la ripongo nel cassetto. Indosso un abito blu notte senza spalline, molto semplice, che arriva a coprire quasi tutta la coscia; ai piedi ho dei tacchi scuri con gli strass argentati. Le mie gambe, chilometriche, sono diventate di gelatina. Sembrano due barbabietole, la tonalità di rosa è un po' più chiara. Tremano ad un unico e gelido soffio, che mi attraversa il corpo: il pensiero di Michelangelo.

Controllo l'ora: mancano ancora dieci minuti -sempre se è puntuale, questo è da vedere-, quindi mi siedo fuori, sul balcone della mia cameretta.

La delicata brezza marina lambisce le mie guance, in antinomia con il calore propagato dai miei capelli.

Sei minuti. Ci siamo quasi. Se non la smetto di avere una costante tachicardia, finirò per passare la serata al pronto soccorso. Mi alzo, prendo una gran boccata d'aria, sistemo una piega sul vestito, pettino i capelli con le dita, mi passo nuovamente il mascara, spruzzo un altro po' di profumo, respiro, aria, ansia.

Arresto il mio irrequieto andare avanti e indietro, quando mi affaccio e riconosco la sua macchina grigia parcheggiare, accompagnato dal noto fischio di un sms proveniente dal mio telefono.

«Oh mio Dio, oh mio Dio...» -mormoro, agitata, intanto che rientro in casa ed esco dalla mia camera. «Io vado!» - avviso Perla, affacciandomi alla sua stanza. La ritrovo seduta a gambe incrociate sul letto, esattamente come l'ho lasciata due ore fa. Ma che diamine sta facendo?!

Da dietro lo schermo del computer, mi saluta felice.«In bocca al lupo, in culo alla balena e, mi raccomando...» -mormora, con fare malizioso.

«Perla, per Dio!» - esclamo angosciata, afferrando la pochette dal divano nell'ingresso. «Ciao!» -la saluto nuovamente, con un gesto veloce della mano.

Poi mi ricordo di non averle risposto. In bocca al lupo, eh? Non sto mica partendo per la guerra; però... ah, dannazione! Mi servirà molto più di un augurio scherzoso, per affrontare la serata. «Crepi.» - mormoro, tra me e me, per scaramanzia.

Chiudo la porta e cammino velocemente. Finiamola qui, sono ridicola, tutta pizzicata dall'ansia. Decido di riprendere il controllo di ogni parte del mio corpo e, abilmente, riesco a non catapultarmi giù per le scale.

Lo sto per vedere, aiuto.

Controllo, Alisya!

Passeremo la serata insieme.

Non va proprio bene, così.

Intravedo la sua auto grigia, attraverso l'entrata di vetro. Apro il portone dell'edificio, e Michelangelo esce dalla macchina e mi raggiunge, sorridendo.  Smettila di sorridere, pensa la mia voce interiore, corrucciata.  Che sei bellissimo quando lo fai.

«Ciao, bambolina!» - esclama, baciandomi teneramente, prima una guancia, poi l'altra. Mi colpisce il modo in cui lo fa, però: non mi sfiora semplicemente, ma lascia un bacio vero e proprio. Un punto in più, Michelangelo.

In ogni modo, cerco di non alzare il sopracciglio, stizzita.  Dio, devo darmi una calmata: dopotutto mi ha chiamata bambolina, mica ritardata.

Mi fissa, intensamente: i suoi occhi al tramonto sono ancora più luminosi, e ancora una volta provo in tutti i modi a decifrarne il colore, e il non riuscirci mi manda in furore per qualche attimo. Ha indosso un vestito elegante, composto da giacca nera e camicia bianca. Nera, come il mio cuore. Bianca, come la sua anima allegra.

Dio, che imbarazzo.

Siamo entrambi adornati in maniera impeccabile, e i suoi capelli scuri, arruffati e a spazzola, sono davvero adorabili. Per quanto mi riguarda, non avevo mai avuto prima d'ora un appuntamento tanto galante da indossare addirittura i tacchi, col vestito. E' stata Perla a convincermi a farlo e, adesso, non me ne pento. Mi guarda dalla testa ai piedi e ciò non mi mette soggezione: alla fine so di essere molto carina stasera. Carina? Stupenda! Ed è il minimo, dato che ci ho messo due ore per prepararmi.

Fisso i miei occhi nei suoi, e sorrido con malizia, piegando la testa di lato. Un giorno fa non ci conoscevamo, ed ora eccoci qui al nostro primo appuntamento. Se me l'avessero detto l'altroieri non ci avrei creduto; anzi, ci avrei messo la mano sul fuoco. Mi ha lanciato un incantesimo, non c'è altra spiegazione.

Mi apre la portiera, guardandomi a labbra arricciate, con provocazione. «Sempre su una stella, signorina?» - chiede, facendo riferimento alla conversazione avuta oggi pomeriggio.

«Naturalmente.» - rispondo, fingendomi un'altezzosa principessa, ed entro nella mia carrozza.

Chiudo con delicatezza la portiera. «Dove andiamo?» - domando, imbarazzata, quando anch'egli ha fatto ingresso nell'abitacolo.

«Avevo pensato al Molo, conosci?» - mi informa, quasi distrattamente, mettendo in moto.

Al Molo ci sono stata una sola volta e non lo ricordo affatto; è un posto così famoso che, probabilmente, tutti i miei coetanei ci saranno andati una decina di volte. Ma io, sono io, naturalmente. «Certo.» - che no.

«Non voglio passare il viaggio in un silenzio imbarazzante. Parlami di te, Alisya.» - mormora, una volta che ci siamo immersi nel lungomare adriatico. All'orizzonte, oltre la linea esile e delicata che separa il mare dal cielo, una grossa sfera arancione illumina con magnificenza i nostri volti, ed il mio cuore sospira dinanzi a tanta meraviglia.

Soffoco una risata, con sarcasmo. «Non c'è molto da dire, in realtà...» -mormoro, vagando disperatamente nella mia testa alla ricerca di qualcosa di interessante da proferire.

«Uff» -sbuffa sonoramente, guadagnandosi una mia occhiataccia- «Comincia dalle tue passioni, no?».

«Mi piace disegnare.». Sul serio? Questo è tutto quello che riesco a dirgli? «Riporterei su carta qualsiasi cosa.» -aggiungo, e la mia espressione si allarga in un sorriso. «A volte mi incanto a guardare un oggetto, pensando ai modi in cui potrei disegnarlo. La vernice è il mio sangue, i colori i miei sentimenti.».

«Fammi un esempio.» - chiede, con un'aria serena in volto.

«Non ho capito...».

«Che significa che i colori sono i tuoi sentimenti? Spiegati.» -mormora, sinceramente interessato.

Sbarro gli occhi, riportando lo sguardo in avanti, e per un secondo nella mia mente c'è il vuoto. Forse è perché, nel traffico, si è voltato a guardarmi con un sorriso meraviglioso. «Beh, ecco...». -borbotto, cercando di respirare come una persona normale, chiedendomi distrattamente perché gli interessi così tanto. «In generale, i colori caldi indicano violenza, impazienza e positività. Quelli freddi possono essere da un lato negativi, distaccati, dall'altro indicano calma e tranquillità.»

«Qual è il tuo colore preferito?» -domanda, con un'innocenza che mi scioglie il cuore.

Il colore dei tuoi occhi, quello è il mio preferito. Non perché siano azzurri, anzi; li odio perché non riesco a distinguerne il loro dannato colore; o forse li amo proprio per questo.

«Non lo so.».

«E che artista sei!?» - esclama, schernendomi e guardandomi con un sorriso beffardo.

«Non sono un'artista.» - mormoro, incrociando le braccia. Ometto che, in realtà, è un mio grande sogno diventarlo.

«Io sì.».

Alzo un sopracciglio. «Che?».

«Nulla, lascia stare.».

Sbatto le palpebre, affondando nelle sabbie mobili della perplessità. «Scusa, se dici una cosa devi continuarla...».

«Non posso, siamo quasi arrivati ed è una lunga storia.» - afferma, mettendo una brusca fine al discorso.

Il litorale di Rimini è abbastanza lungo e abbiamo dovuto fare un bel po' di strada, in effetti. Mentre guida, sono attratta da un odore pungente e fresco; alzo gli occhi, ed un alberello Arbre Magique penzola vicino lo specchietto, diffondendo un profumo di mela verde nell'abitacolo, che si mescola col mio.

«Oggi pomeriggio non c'era...» -sussurro la mia osservazione, con sorpresa. Ci avrei fatto caso, ho l'olfatto così sviluppato, da far invidia ad un cane.

«Infatti, l'ho preso perché ho notato che ti piace.» - risponde, come se fosse una cosa naturale. Evito di spalancare la bocca dalla confusione. Non posso crederci, è un gesto piccolo ma allo stesso tempo così immenso. E ci conosciamo da meno di un giorno.

Sto per ribattere, quando mi interrompe. «Il profumo che hai è così fresco, si sentirebbe anche ad un chilometro di distanza che proviene dal tuo corpo.»

«Quindi, secondo te, ho un buon profumo? -domando, con una punta di malizia nel modo in cui pongo la domanda.

Arriccia le labbra, divertito. «Lavati, invece di riempirti di profumo.» - mi prende in giro, complice.

Scoppio a ridere. «Io mi lavo, bello!» - esclamo, incrociando le braccia e fingendomi offesa.

«Sono come San Tommaso: se non vedo, non credo.» - risponde, scrollando le spalle e provocandomi dei brividi di eccitazione.

Finalmente arriviamo a destinazione; il Molo è un locale molto semplice che -come dice il nome stesso- affaccia sul mare. A terra ci sono delle assi di legno bianche, tra cui spero non si incastri il tacco. Sarebbe uno spettacolo davvero pietoso se inciampassi avanti a lui.

Camminiamo l'uno affianco all'altra, e una strana ambizione si fa spazio nel mio cuore, provocandomi un formicolio che si espande fino alla mano; quella più vicina alla sua. Non riesco davvero a spiegarmi il perché, ma desidero impetuosamente che lui incroci le nostre dita, o avvolga le mie spalle con un braccio, facendomi sentire al sicuro, protetta da qualsiasi cosa. In ogni caso, però, continua a guardarmi come se fossi di cristallo e potessi frantumarmi da un momento all'altro. Sembra quasi aver capito tutto, di me. Io, che appaio così grande, così responsabile, così scontrosa, ma che, in realtà, ho bisogno di qualcuno che colori le mie giornate con la sua presenza, che illumini il mio buio con la sua luce, che mi faccia stare bene con morbidi sorrisi, che levighi la mia spigolosità senza dare importanza ai piccoli residui acidi; quelli, purtroppo, resteranno per sempre. Che poi, in realtà, volere una persona di un determinato tipo non è una necessità urgente, perché non si deve avere il bisogno di qualcuno; ci dev'essere il desiderio ardente di offrire amore, di concedere ogni singola parte di noi ad una persona, di infatuarsi ogni giorno sempre di più, di adorare, portare rispetto, difendere, preferire l'altro nonostante tutto.

E se stessi pensando tutto questo, per il semplice fatto che Michelangelo non abbia smesso un attimo di guardarmi, da quando siamo entrati? Mi sembra anche che abbia rivolto un'occhiataccia ad un povero ragazzo che, proprio come lui, non mi ha staccato gli occhi da dosso. Sbuffo, infastidita. E' meglio se non mi ha preso la mano.

Giungiamo al nostro tavolo, accanto alla ringhiera blu: si può vedere il mare, grazie agli ultimi scorci di tramonto, ed è uno spettacolo magnifico nonché molto romantico. Il tavolo rotondo è coperto da un'elegante tovaglia bianca; al centro c'è una rosa rossa in un vasetto, una candela e, accanto, il numero del tavolo. «Ti piace qui?» - chiede, premuroso, sfilandosi la giacca e poggiandola allo schienale della sedia.

Annuisco e sorrido debolmente, sopraffatta dai miei pensieri; mi chiedo insistentemente cosa io provi per Michelangelo, se possiamo stare bene insieme, cosa gli frulli in testa in questo momento.

«Che fame.» - sussurra, sporgendo il labbro inferiore in avanti, per spezzare il silenzio. E se non gli piacessi?

«Sfogliamo il menù.» - continua, guardandomi negli occhi, quando si rende conto del mio mutismo selettivo.

Distolgo lo sguardo ed afferro il libricino, rilegato in pelle marroncina. Carpacci, zuppetta di cozze, pesce spada ai tre pepi, baccalà al finocchietto, tonno agli agrumi... «No, ma cosa sono questi piatti?!» -esclamo, divertita, attirando la sua attenzione. «Michelangelo, io...» -balbetto, agitando una mano in aria- «prendo una pizza margherita.» Mi schiaffeggio mentalmente. Quasi diciannove anni e non so mangiare come una donna adulta.

«Davvero?» -mi guarda, sorpreso, spalancando leggermente gli occhi e sorprendendo un po' anche me- «Ah, menomale!» - aggiunge, sollevato. Con un movimento brusco chiude il libretto e finge di lanciarlo in acqua.

Scoppio a ridere, sinceramente divertita. «Anche a me non piacciono questi piatti elaborati.» - spiega, rilassato.

Alza un indice, attirando l'attenzione di un cameriere di passaggio, e ordiniamo le nostre pizze. Mi guardo intorno: ci sono davvero tante persone. Dopotutto, è sabato sera. So che le nostre ordinazioni arriveranno fra minimo mezz'ora. Attendere la cena non è mai stato così piacevole come ora. Ne devo approfittare, devo agire affinché possa chiarirmi le idee, una volta per tutte.

«Michelangelo» - comincio, schiarendomi la gola. Gran bell'entrata di scena, complimenti.

«Sì?» - chiede, corrugando la fronte e spegnendo il suo solito sorriso.

Tiro fuori il coraggio. «Parliamoci chiaro: perché mi hai invitata qui, stasera?» -faccio una pausa, cercando le parole giuste, mentre lui corruga la fronte- «Intendo dire, tu hai chiaramente una ragazza.»

Devo saperlo, ringhia il mio cuore.

Mi guarda, sorpreso e divertito al contempo. «No. Marta non è la mia ragazza.» - risponde, con naturalezza. «Puoi smetterla di essere gelosa.».

Alzo un sopracciglio, e per poco non scoppio a ridergli in faccia. «Io non sono gelosa proprio di niente.» -rispondo, evitando di salire sul tavolo e di cominciare a far festa.

«Stavamo insieme, fino a qualche mese fa, poi l'ho mollata.» - rivela, senza che io gliel'abbia chiesto.

«Se vuoi, puoi parlarmene.» -mormoro, con sincerità. No, non hai capito.  Devi  parlarmene.

«D'accordo.» -comincia, annuendo- «Allora, preparati; perché sarà una lunga storia.»

Già ne ho ascoltata una oggi pomeriggio, quindi sono più che pronta. E anche se non lo fossi, lo farei continuare comunque.  Devo sapere. «Sono tutt'orecchi.» - rispondo, sorridendo nervosamente.

«Va bene, allora...» -mormora- «Io e Marta siamo stati fidanzati per un anno, circa. Si può dire che era un amore a senso unico, solo io la amavo sul serio. Quando... Quando poi me ne sono reso conto, l'ho lasciata. E poi...» - sussurra, e quasi mi sembra assurdo vedere i suoi occhi farsi sempre più lucidi. «E poi ci incontriamo, ogni tanto, per divertirci, per sfogarci. Niente di più.».

Cos'è, una pallina antistress?, penso, fissando lo sguardo sul tovagliolo color crema che ha l'aria davvero interessante. Cerco di non alzare il sopracciglio.  Voglio davvero sapere il continuo?

«Ieri sera, abbiamo posto fine anche a quel tipo di relazione: mi sono accorto che stavo facendo il cagnolino, dietro di lei. Quando ci hai visti fuori il Beach Club, le ho parlato e ho messo le cose in chiaro. O, almeno, ci ho provato. Marta ha cercato di ammaliarmi e convincermi a continuare, così ci siamo baciati ed io ci sono ricascato come un coglione. Ma, sai com'è, mi sono accorto che lei non è il vero amore della mia vita...» - fa una pausa, sollevando lo sguardo e incrociando il mio, alquanto sconvolto. «La domanda era un'altra, comunque. Non lo so perché ti ho invitata.» -interrompe la sua confessione per qualche attimo, abbandonandosi ad un sospiro- «Ma per lei non provo niente. Te lo assicuro.».

«E allora che cosa hai, Michelangelo?» - chiedo, scrutandolo e poggiando i gomiti sul tavolo, per avvicinarmi di poco.

Scuote la testa, evitando il mio sguardo. «E' un periodo un po' così...».

«In che senso?».

«Nel senso che sono in un bel casino e non posso uscirne.».

«Vuoi parlarne?» -domando, immersa completamente dalla confusione.

Mi guarda negli occhi, serio; come se potessi sbranarlo da un momento all'altro. «No.».

«Non puoi fuggire dall'argomento per sempre, lo sai?».

«Sì, lo so. Adesso mangiamo.» - mormora, allontanandosi e permettendo al cameriere di poggiare la sua fumante pizza sul tavolo.

Annuisco, rimanendo tuttavia molto perplessa, perché non ci sto capendo un granché.

Dopo aver cenato, dialoghiamo ancora, guardandoci negli occhi; ma il mio pensiero fisso, adesso, è un altro:  cosa succederà dopo?

Si alza e, dopo un insistente battibecco, va a saldare il conto. Alzo gli occhi al cielo. Mi mette terribilmente in imbarazzo, così, perché non lo capisce?

Usciamo dal locale e ci rechiamo alla macchina. Non ho per niente idea di cosa faremo adesso.

  〜  

CAPITOLO REVISIONATO!

Wo, wo, e adesso che si fa? Scopriamolo insieme! u.u

Shana. ( ◔ ʖ̯ ◔ )

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