Artemis

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Due anni prima...


Luna,

20 giugno 2513, ore 3:30

Montagna Malapert, Polo Sud Lunare

Base Artemis


Eravamo solo in quattro sul treno che si allontanava dallo spazioporto: avevo con me la mia squadra, i migliori agenti del SAS.

Al mio fianco era seduto Ramon, un ex-artificiere dell'esercito: il suo nome completo era Fernando Ramirez Ramon, ma noi lo chiamavamo solo Ramon. Io e lui eravamo gli unici due superstiti del gruppo originale, e di conseguenza eravamo molto legati. Eravamo amici anche nella vita privata, e più volte Ramon era stato ospite mio e di Morgane a cena. Elise aveva un debole per lui fin da ragazzina, ma ero stato ben chiaro a riguardo: era troppo giovane per lui, fra loro c'erano dieci anni di differenza.

Conoscevo molto meno gli altri due: si erano uniti a noi in seguito alla morte dei loro predecessori.

John Lawson, esperto di sistemi informatici, era taciturno e riservato. Nei due anni in cui avevamo lavorato assieme avevo scoperto ben poco sulla sua vita privata.

Marcel Bernard, l'ultimo a unirsi a noi, appena sei mesi fa: questa era solo la nostra terza operazione insieme.

Era la nostra prima operazione al di fuori della Terra, e probabilmente anche l'ultima che avrei condotto di persona. Il direttore Miller mi aveva fatto intendere che il mio nome era tra i candidati al ruolo di comandante della divisione antiterrorismo europea: avrei avuto uno stipendio molto più alto, e non avrei più rischiato ogni giorno la vita. Ma non potevo lasciarmi distrarre da questa prospettiva: c'era in gioco molto più della mia carriera.

Il paesaggio intorno a noi era al tempo stesso alieno e monotono: una distesa di rocce grigie si estendeva a perdita d'occhio attorno ai binari del treno che ci stava portando dallo spazioporto alla stazione Artemis.

Ero sulla cresta del cratere Malapert, vicino al polo sud lunare: a causa della latitudine è illuminato a bassa angolazione, e il fondo è eternamente avvolto dall'ombra. Il suo bordo sudoccidentale è invece delimitato da un rilievo di oltre cinquemila metri, la Montagna Malapert: questa è illuminata per la quasi totalità dell'anno, e proprio per via della possibilità di sfruttare costantemente l'energia solare avevamo costruito qui la Base Artemis, una delle basi lunari più recenti, gemella della più vecchia Base Apollo al polo nord.

Per questo stesso motivo, la Artemis era stata scelta come sede del primo ascensore spaziale della storia, tuttora in costruzione.

Da secoli, la maggior parte dei materiali utilizzati sulla Terra venivano estratti qui sulla Luna, o da asteroidi particolarmente vicini all'orbita terrestre. Ma l'estrazione mineraria lunare rimane particolarmente costosa, soprattutto a causa del costo dei lanci spaziali necessari per trasportare il materiale estratto.

Una volta completato, l'ascensore spaziale ridurrebbe il costo del trasporto verso la Terra: questo avrebbe avvantaggiato noi e inferto un duro colpo ai cinesi, anche loro presenti sulla Luna fin dagli albori dell'esplorazione spaziale.

Ma la riuscita di questo progetto era tutt'altro che sicura.

Un gruppo di dissidenti, noto come "Fronte Lunare", si era diffuso negli ultimi anni tra i lavoratori delle basi lunari: le loro frequenti proteste avevano bloccato più volte i lavori di estrazione, ed erano talvolta sfociate in scontri violenti con i pochi addetti alla sicurezza delle basi lunari. Adesso, il Fronte si opponeva alla creazione dell'ascensore spaziale.

L'ascensore avrebbe fatto crollare il prezzo dei minerali lunari, sosteneva il Fronte, e ad arricchirsi sarebbero state solo le compagnie di trasporto, mentre gli operai del settore minerario non avrebbero avuto alcun vantaggio.

Ma per noi questo era un progetto troppo importante per fallire: non riguardava solo il trasporto di materiale lunare, ma il futuro stesso dei viaggi spaziali. Un giorno non troppo distante, gli ascensori avrebbero potuto sostituire completamente i razzi lanciati dalla superficie. Al Fronte non doveva essere permesso di ostacolare i lavori, ed era compito mio assicurarmene.

Fuori dal finestrino del treno, vidi per la prima volta le cupole interconnesse della Base Artemis, circondate da pannelli solari. Non si vedeva l'interno, perché per proteggere gli abitanti dalle radiazioni solari ogni cupola è composta da due strati metallici, inframezzati da un'intercapedine di roccia frammentata spessa un metro.

Una funivia collega la struttura principale della base al fondo del cratere, dove si trovano ingenti depositi di ghiacci d'acqua e di idrocarburi, mentre una lunga galleria lascia la base dalla direzione opposta: al suo interno sarebbe stata collocata la parte iniziale dell'Ascensore Spaziale Artemis.

Non conoscevo l'esatto funzionamento dell'ascensore; io ero un agente dell'Intelligence, non un astrofisico, e i dettagli tecnici erano troppo complessi per me.

In famiglia il genio era Elise: lavorava come ingegnere aerospaziale per l'ASA, l'Agenzia Spaziale dell'Alleanza, già da due anni, proprio alla Base Artemis.

Io e lei non ci vedevamo di persona da più di un anno: ero molto emozionato all'idea di rivederla dopo così tanto tempo. Ma avrei dovuto evitare di lasciarmi distrarre.

Alla stazione di arrivo, trovammo Elise ad aspettarci. Quando mi vide, quasi si lanciò contro di me, buttandomi le braccia al collo e stringendomi in un abbraccio stritolante.

«Papà!» esclamò «Che bello rivederti, mi sei mancato tantissimo!»

«Anche tu mi sei mancata.» sussurrai a bassa voce, in modo da non farmi sentire dai miei colleghi. «Ma avremo tempo di parlare più tardi.»

Elise mollò la presa e alzò gli occhi al cielo. «Sei sempre il solito.» disse, ben sapendo quanto mi desse fastidio dimostrare affetto in pubblico.

«Hola, Elise.» la salutò Ramon. «Vedo che hai cambiato di nuovo colore. Ti sta bene»

Fin da ragazzina, Elise amava tingersi periodicamente i capelli di colori molto vivaci: adesso, erano di un forte rosa neon.

«Grazie, Ramon.» disse lei, rivolgendogli un grande sorriso e sbattendo le ciglia.

Elise ci condusse lungo i corridoi della base; i nostri movimenti erano goffi, ostacolati dalla bassa gravità lunare.

«Come procede il lavoro?» le chiesi

«Mary dice che mancano ancora un paio di mesi al completamento del cavo.»

Parlava del comandante della base, Mary Bouvier: era l'unica persona nella stazione, oltre a Elise, a essere stata informata della mia identità e dello scopo della nostra presenza. Per tutti gli altri, eravamo una semplice squadra di sicurezza aggiuntiva.

«Questo ritardo non piacerà al Comando: il cavo avrebbe dovuto essere già pronto.»

Elise alzò gli occhi al cielo. «Di' al Comando che, se pensano di poter costruire un cavo di kevlar lungo sessantamila chilometri più velocemente di noi, accettiamo volentieri il loro aiuto.»

«Riferirò. E del Fronte cosa mi dici, vi sta dando problemi?»

«Solo qualche protesta, nulla di più. Non sono mai stati molto popolari qui alla Artemis.»

«Nelle altre basi lo sono?»

«Hanno perso un po' di seguito ovunque, ultimamente: il loro nuovo capo, Rosenberg, è troppo estremista. Stanno creando troppi disordini, e a molta gente questo fa paura. Sono ancora molto seguiti nelle basi minerarie, ma come ho detto qui non sono un gran problema, non capisco perché il SAS ti abbia inviato qui. Non che mi lamenti, ovvio.»

Sospirai: chiaramente, non potevo rivelare a Elise i dettagli della missione, anche se non mi piaceva avere segreti con mia figlia.

«Semplice preoccupazione. Dopotutto, Apophis raggiungerà l'orbita domani.»

«Tecnicamente, è già in orbita attorno al punto L1 da un bel po'. Domani effettueremo l'ultima correzione orbitale che lo porterà precisamente in L1, poi bisognerà mantenerlo stabile.»

«Ho capito solo metà di quello che hai detto.»

«Non fa nulla.» rispose Elise. «L'importante è che vada tutto bene.»

«Già, domani ci sarà anche un diplomatico cinese. Non oso pensare a cosa succederebbe se ci fossero incidenti davanti a lui: a Pechino ci riderebbero dietro per anni.»

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