L'ultima vittima

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Venticinque anni prima


Mei teneva la testa bassa e lo sguardo fisso sul pavimento, evitando di incrociare lo sguardo furente del padre.

«Inaccettabile!» tuonò l'uomo. «È un risultato inaccettabile. Con tutto quello che spendiamo per te, pretendo la perfezione, Mei.»

«Ho fatto del mio meglio.» si giustificò la ragazzina.

Per tutta risposta, il padre la colpì con un ceffone. «Evidentemente il tuo meglio non è abbastanza!» sbottò. «Fin da prima che nascessi, ti abbiamo riservato la migliore ingegneria genetica e la migliore istruzione che i soldi potessero comprare. Qualsiasi risultato al di sotto della perfezione danneggia la nostra reputazione, e di riflesso compromette la mia posizione politica.»

La madre di Mei si affacciò dalla cucina. «Non credi di esagerare?» disse. «Ne stai facendo una tragedia.»

Il padre fece per rispondere, ma venne distratto da una chiamata al telefono, e si allontanò per rispondere: come sempre, il lavoro veniva prima della famiglia, per lui.

Mei, con il viso solcato dalle lacrime, ne approfittò per chiudersi in camera sua.



Venti anni prima



«Non puoi essere serio.» esclamò Mei, guardando incredula la lettera che teneva in mano.

«Sì, invece. Un po' di disciplina può farti solo che bene; almeno smetterai di perdere tempo con quei fannulloni dei tuoi coetanei.» replicò suo padre senza nemmeno guardarla, assorto nel suo lavoro. «Inoltre, completare gli studi all'Accademia per ufficiali di Guangdong ti permetterà di fare carriera nel Ministero della Difesa o nell'Intelligence.»

«E quello che voglio fare io non importa?» ribatté Mei, accigliata.

«Devi pensare al tuo futuro, e a cosa puoi fare per il bene collettivo della nazione: tutto il resto non importa.»

Mei rimase in silenzio: sapeva bene che discutere ulteriormente non sarebbe servito. La sua vita era stata pianificata fin nei minimi dettagli da prima che lei nascesse, com'era uso comune nelle famiglie più importanti delle Repubbliche Popolari, e non c'era nulla che lei potesse fare per cambiare le cose.

Guardò di nuovo la lettera di accettazione all'Accademia di Guangdong, che le sembrava pesare quanto un macigno. L'ultima riga, che avrebbe dovuto essere un augurio, per lei suonava come una condanna: "Sarà un onore averla con noi, cadetto Deng Mei."



Quindici anni prima



Una leggera brezza serale stemperava la calura dell'estate; in una spiaggia del Mar Cinese del Sud, Mei era seduta sul bagnasciuga, e lanciava ciottoli per farli rimbalzare sull'acqua.

Tre rimbalzi.

Avrebbe dovuto essere contenta: aveva appena terminato i suoi studi, e non avrebbe più rimesso piede nel rigido ambiente dell'Accademia che tanto detestava.

Solo un rimbalzo.

Mei sbuffò con un gesto di stizza e raccolse un altro sasso.

L'unico lato positivo di quegli anni era il fatto che non aveva visto quasi per nulla suo padre, e non aveva dovuto sopportare le sue sfuriate e i suoi discorsi impregnati di finto patriottismo.

Quattro rimbalzi.

Ovviamente, suo padre si era dovuto presentare alla cerimonia del diploma, e aveva approfittato dell'occasione per comunicarle il futuro che l'attendeva: una carriera da agente operativo nei servizi segreti.

«Una persona con le tue grandi doti sarà un'ottima aggiunta all'arsenale delle Repubbliche.» le aveva detto.

Cinque rimbalzi.

Mei sapeva perfettamente che suo padre, in quanto Presidente delle Repubbliche, aveva i servizi segreti a completa disposizione: intendeva servirsi di lei come uno dei suoi tanti strumenti, nulla di più.

Sei rimbalzi. Non c'era mai riuscita prima, pensò Mei con un sorriso.



Diciotto mesi prima



«Vuoi spedirci su Marte? Sei forse impazzito?»

«Bada a come parli, Mei.» la ammonì suo padre; gli anni avevano segnato il suo volto, e fatto diventare bianchi i suoi capelli, ma non lo avevano affatto addolcito.

«Io sono un'ufficiale dei servizi, e tu non sei più il presidente.» ribatté Mei con grande soddisfazione. «La mia opinione conta più della tua, e se io dico che questa "operazione" non si deve fare, non verrà fatta.»

«Ho già messo insieme un gruppo di agenti che mi sono ancora fedeli, e ho un contatto sul pianeta. Questa operazione si farà, che ti piaccia o meno.»

«E se mi rifiutassi di andare?»

«Sarebbe tradimento. Forse non ho più il potere di un tempo, ma ne ho ancora abbastanza da assicurarmi che tu venga espulsa dai servizi.»

Mei lo guardò furibonda. «Faresti questo a tua figlia?»

«Non se non mi costringi a farlo: sono sicuro che farai la scelta giusta, per il tuo bene e per quello delle Repubbliche.»

«Al diavolo!» inveì Mei, alzandosi di scatto. «Non ti è mai importato niente di nulla se non del tuo guadagno personale! Questo è solo il tuo ultimo complotto per farti rieleggere dal partito, non è così? Sono stanca di fare tutto quello che mi chiedi, sono tua figlia, non il tuo zerbino.»

«Se hai finito di fare la bambina, hai un viaggio per cui prepararti.»

Mei fissò il padre con astio, prima di andarsene sbattendo la porta.

Quella sera, mentre preparava i bagagli, arrivò a una decisione: doveva trovare un modo per volgere

la situazione a suo vantaggio, e liberarsi una volta per tutte dall'influenza di Deng.

Non aveva intenzione di passare il resto della propria vita vivendo nella sua ombra.



Pochi giorni prima della partenza



«Queste sono informazioni preoccupanti, agente.» disse il direttore Li. «Ha fatto la cosa giusta, venendo da me.»

Mei lo guardò con preoccupazione: aveva corso un rischio enorme, svelando i piani di suo padre al capo dei servizi segreti.

«Come intende procedere?» gli chiese. «Non possiamo lasciare che Deng abbia successo, o ci porterebbe a una guerra con l'Alleanza.»

«È un rischio concreto, sono d'accordo.» convenne il direttore, pensieroso. «Ma anche il piano di suo padre lo è. Se i suoi agenti venissero catturati, o uccisi, non potrebbe fare nulla per rimpiazzarli, almeno fino alla prossima finestra di lancio. Il tempo è il fattore cruciale: ci vorranno mesi, o anni, per smantellare la sua rete di contatti nel governo delle Repubbliche.»

«Posso sabotare i loro sforzi.» si offrì Mei. «Farò in modo che i loro piani procedano più lentamente di quanto previsto. Le darò il tempo che le serve.»

Il direttore annuì. «Non mi aspettavo niente di meno, agente, ma voglio che una cosa sia chiara: sia che lei abbia successo, sia che lei fallisca, non potrà più tornare. Non potrei proteggerla dalla reazione di Deng.»

Mei sospirò. «È un prezzo che sono disposta a pagare: Deng deve essere fermato.»

Il direttore le rivolse uno sguardo penetrante. «Immagino quanto possa essere difficile per lei, andare contro la sua famiglia in questo modo, ma il bene della nazione lo richiede, agente: lo tenga sempre a mente, quando sarà su Marte.»

«Mi creda, direttore, non è affatto difficile.»



19 gennaio 16

Victoria, Hellas



Mei alzò lo sguardo dal tablet, da cui stava monitorando il flusso d'acqua degli impianti d'irrigazione che bagnavano i campi di Victoria; con la coda dell'occhio vide avvicinarsi la dottoressa Behra, insieme a un uomo che le sembrò avere un'aria familiare.

«Ah, l'ultima aggiunta alla nostra squadra.» disse la dottoressa. «Angela, hai un secondo?»

Mei rivolse un rapido sguardo verso i due, e tornò al suo lavoro «Avrei molto lavoro da fare.» disse.

«Angela, sto portando in giro il signor Faraday da questa mattina alle sei.» rispose la dottoressa, passando al francese. «Non puoi darmi il cambio? Fagli vedere dei campi di pomodori, è l'unica cosa che manca alla sua ispezione.»

«C'è un problema con la pressione di questo tubo.» inventò Mei. «Se non capisco cosa non va, potrebbe esplodere.»

«Va bene, continua.» disse la dottoressa Behra a Mei in tono rassegnato, tornando all'inglese.

Mentre i due si allontanavano, Mei si voltò a guardare l'uomo: anche lui si girò, e i loro sguardi si incrociarono per una frazione di secondo, abbastanza perché lei lo riconoscesse: Logan Faraday, l'agente dell'Alleanza che aveva incontrato sulla Luna. Voltandosi, Mei sorrise: la sua esca aveva funzionato.

Non appena aveva letto le notizie riguardo gli scontri a Nuova Roma, aveva lei stessa mandato un messaggio al computer dell'unità operativa dei Fantasmi in quella città, chiedendo di investigare Victoria: ovviamente, il messaggio era stato visto dalla Sicurezza Planetaria.

Da quando aveva messo piede sul pianeta, non aveva fatto altro che pensare a come potersi sbarazzare degli altri agenti di Deng; non aveva desiderio più grande di bruciare ogni legame con la vita che suo padre aveva costruito per lei a proprio vantaggio, ma sapeva che riuscirci da sola sarebbe stato impossibile.

E ora, davanti a lei si era presentata l'occasione perfetta.



15 febbraio 16, ore 24:29

Nuova Roma



Il vento infuriava per le vie di Nuova Roma: sulla città si era abbattuta una delle tempeste di sabbia tipiche di Marte, meno potenti ma più estese e durevoli di quelle terrestri; la terraformazione le aveva rese meno frequenti, ma non le aveva ancora eliminate del tutto.

La porta dell'appartamento 343 del quadrante A si aprì di scatto, e il padrone di casa si precipitò all'interno per sfuggire alla sferzante sabbia che permeava l'aria, tirando un sospiro di sollievo.

Si sfilò il giaccone e lo appese a un attaccapanni di fianco all'ingresso, dirigendosi verso il bagno per sciacquarsi il viso sporco di sabbia.

Una voce di donna lo accolse dall'oscurità. «Buonasera, capitano.»

Mei era seduta su una comoda poltrona, e teneva sul bracciolo la propria pistola silenziata. Sul tavolo della cucina erano appoggiate una bottiglia, un bicchiere vuoto e un tablet.

«Ah, ti stavo aspettando, Mei.» disse il capitano Gerard. «Quando ti ho vista con Faraday, ho capito che era solo questione di tempo.»

«E non hai neppure provato a scappare? Ammirevole, oppure sciocco.»

Il capitano alzò le spalle. «Per andare dove? E in ogni caso, avrei dovuto vivere da fuggitivo. Meglio così: almeno vivrò e morirò alle mie condizioni.»

«Doppiamente sciocco, allora. Sono io a decidere la tua morte, tu puoi solo scegliere come morire.»

Gerard ridacchiò. «Lasciami indovinare: veleno?» disse, indicando il tavolo.

«Mischiato a un po' di sonniferi e anestetici: renderà più credibile il tuo suicidio. Naturalmente, sul tablet c'è la tua struggente ammissione di colpa.»

Gerard spostò lo sguardo sulla pistola di Mei. «Immagino che se rifiutassi mi spareresti.»

«Chiaramente. Una o l'altra cosa: per me è indifferente.»

«In questo caso...» disse il capitano con un sospiro, versandosi un bicchiere. «Quanto ci metterà a fare effetto?»

«Un paio di minuti.»

Gerard bevve il liquido, facendo una smorfia di disgusto per il sapore.

«Orribile.» commentò sedendosi in una poltrona di fronte a Mei. «Immagino che ora tu voglia sapere le mie motivazioni.»

Mei alzò le spalle. «Sete di potere? Deng ti aveva promesso il posto di governatore nel nuovo Marte indipendente, forse? Non mi importa, non sono qui per condurre un'indagine.»

«Hai ragione.» continuò imperterrito il capitano. «Sarei diventato il nuovo governatore, ma allo stesso tempo ho agito per il bene del Pianeta: liberarci dell'Alleanza, e aprirci a tutte le nazioni terresti, può portare solo prosperità a Marte.»

«Avrebbe portato solo a una guerra fra le Repubbliche e l'Alleanza.» obiettò Mei.

«Forse sulla Terra, ma non qui su Marte: invadere un altro pianeta è decisamente troppo costoso.» replicò il capitano. «Sarebbe andato tutto bene, se non fosse arrivato quel ficcanaso di Faraday. Hai idea di quanto tempo abbia impiegato a preparare tutto, a fare in modo che la sicurezza avesse le falle giuste per permettere agli agenti di tuo padre di muoversi liberamente, senza creare sospetti su di me? Anni di pianificazione, mandati in fumo da quel gran figlio di...» il capitano si interruppe di colpo. «Il tuo intruglio inizia a fare effetto, lo sento.» aggiunse, farfugliando.

«Sono gli anestetici; non sentirai alcun dolore» assicurò Mei.

«Gentile da parte tua.» scherzò amaramente il capitano. «Se solo Faraday fosse caduto in una delle trappole che avevamo preparato...» aggiunse sospirando. «Speravo che lo eliminassero quando è andato a parlare con Waters, ma i Fantasmi sono arrivati troppo presto... e come potevo sapere che fosse immune al gas, o che non sarebbe andato di persona nel Labirinto?» chiese, abbandonandosi sulla poltrona, ormai quasi addormentato.

Mei si alzò, nascondendo la pistola nella giacca.

«Addio, capitano.»

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