I giganti di Kirnos

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

In una giornata afosa di fine agosto rimango a guardare il cielo in tutte le sue sfumature, mentre il mio corpo giace inerme nel terriccio bagnato ricoperto da sottile e soffice erba.

Oggi è una di quelle giornate in cui sono rapito dal cielo adornato di nuvole che rivestono superficialmente la distesa azzurra che, con le sue sfumature di viola, fa contrasto con il verde che ricopre le colline.

Un piacevole venticello si scontra sul mio corpo dello stesso colore dell'erba e presto delle piccole foglioline crescono sparse sul mio braccio e sulle mie gambe.

Ecco una caratteristica che mi accompagna fin da bambino: il mio organismo crea una sorta di corazza per potermi coprire dal freddo che caratterizza la foresta di Kirnos.

È una giornata di fine estate, eppure il mio organismo inizia a prepararsi per il freddo inverno che arriva ogni anno.

Sospiro guardandomi le mani, anch'esse verdi, strette in due pugni, un tempo strette in quelle della mia mamma che mi accompagna tra i pensieri per non dimenticarla: il suo splendido sorriso e l'odore della sua pelle che mi sfiora l'olfatto ogni volta che entro nella sua vecchia stanza, composta da un lettino in pietra e un canale sporgente da cui scorre una sorgente d'acqua, proveniente direttamente dalle cascate della foresta di Kirnos.

Mi capita spesso di rifugiarmi tra i pensieri, eppure sono consapevole del fatto che la realtà è peggiore di quanto immagino.

È stata la mia mamma, quando l'ho vista per l'ultima volta, a dirmi che non devo avvicinarmi per nessun motivo alle colline di Yonos.

Le colline di Yonos sono abitate da uomini, così li ha chiamati mia madre, dalla pelle di color bianco e una strana e folta peluria sul capo, di statura molto ridotta rispetto a noi giganti.

Non ho mai capito il perché non dovrei avvicinarmi, ogni notte sento grida e baldoria provenienti dal loro paese e a volte immagino di essere lì a muovermi insieme a quei piccoli esseri in una strana danza intorno al fuoco.

Non sono a conoscenza di che fine abbiano fatto gli altri giganti della foresta, so soltanto che un giorno mia madre mi ha portato nella nostra caverna e mi ha quasi supplicato di non muovermi da lì; dopo di che, non l'ho mai più vista ritornare, così come tutti gli altri abitanti.

Da quel momento ho sempre cercato il motivo della loro sparizione, l'unica motivazione plausibile che la mia mente ha elaborato è il rapimento da parte degli abitanti di Yonos o un uccisione al loro rogo degli antenati.

È da anni che passeggio tra gli alberi in cerca di parole, parole che nella mia mente fanno confusione.

E ogni volta trovo solo silenzio, un silenzio assordante che avvolge i meandri dell'ambiente.

Si sta facendo tardi, così decido di andare al lago per rinfrescare la mia pelle prima di tornare alla caverna per la notte.

Mi guardo nell'acqua trasparente: la pelle verde ormai ricoperta da foglioline, gli occhi gialli e ovali che spiccano sul viso magro, la lingua rossa tra i denti gialli e allineati.

Cammino nel bordo dell'acqua cristallina, su cui si riflette il cielo diventato arancione in presenza del sole che sta calando per dar spazio alla notte.

Adoro la notte e il buio che avvolge la caverna, le stelle che si intravedono al di sopra e la dolce ebbrezza fredda che avvolge l'aria.

Mi posiziono nel mio letto di pietra e, portando le mani al petto, guardo le stelle nel cielo che piano piano aumentano illuminando la notte.

Gli occhi, stanchi di questa monotonia, si chiudono piano, fanno fatica a rimanere aperti e sono pronti a dar spazio al buio.

Un botto in lontananza mi fa sobbalzare, un tuono proveniente da ovest, proprio dal paese di Yonos.

L'aria fredda della notte sferza sul mio viso mentre mi precipito sul posto e rimango nascosto dietro ad un albero per guardare cosa succede.

A distanza di qualche metro, una macchia verde spicca nel buio.

Possibile sia la mia mamma? Dopo tutti questi anni... impossibile.

Mi avvicino senza far rumore a quella macchia verde accerchiata da quegli uomini bianchi così piccoli davanti ai miei occhi.

Arrivo dinnanzi a loro, osservo minuzionsamme l'ambiente così caldo.

Le foglioline sul mio corpo iniziano a dissolversi, sarà per l'aumento della temperatura.

Sto per focalizzare i contorni di quell'essere dal color verde quando improvvisamente sento delle urla dietro di me.

Un piccolo esserino mi guarda dal basso.

Vuole parlare con me?

Non ho mai parlato con nessuno degli uomini bianchi.

Mi avvicino a lui, pronto a far uscire la mia voce dopo tutto questo tempo senza parlar con qualcuno, ma quell'esserino scappa velocemente via da me.

Improvvisamente mi ritrovo accerchiato da questi uomini bianchi con in mano delle strane lance.

Non capisco cosa stia succedendo.

Vogliono parlare tutti con me?

Forse vogliono farmi incontrare la mia mamma.

Forse non sono così cattivi come diceva lei.

Forse siamo uguali, cambia solo il colore della pelle.

Cosa sarà mai?

Sono venuti tutti da me e, anche se più piccoli, possiamo vivere tutti insieme.

Probabilmente la mia mamma non ci ha mai pensato a questo, ma forse con me ci vogliono parlare.

Mi avvicino sorridente a loro quando improvvisamente scagliano le loro lance su di me.

Che sta succedendo?

Si stanno accanendo contro di me.
Mi stanno facendo del male.

Esce del fluido blu dalle ferite causate dalle lance che mi stanno scagliando contro.

Indietreggio impaurito.

Pensavo di essere come loro.

Non capisco.

Hanno fatto questo anche alla mia mamma?

Inizio a gridare a causa del dolore che continuano ad infliggermi.

Cado a terra, gli uomini bianchi mi salgono sopra, mi legano con dei fili e tutti insieme mi trascinano su una superficie verticale di legno.

Mi legano i polsi e le gambe, mi dimeno ma sono troppi.

Mi rassegno al mio destino e penso alla mia mamma che mi ha sempre detto la verità: questi uomini bianchi sono cattivi.

Butto la testa di lato guardandoli arrivare con forconi e lance di fuoco.

Le scagliano contro di me e presto il fuoco raggiunge la mia pelle, brucia le mie foglie, brucia la mia anima.

E in quel momento il mio sguardo si posa sul piccolo essere che mi ha visto per primo, lo guardo e penso che forse io per loro non sono quello che penso di essere.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro