DUBBI (Pov Lily)

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Se non ti avessi incontrato, 

non credo che avrei mai capito che tipo di persona fossi realmente. 

(No. 6)

Pov's Lily

Fuori piove, ormai l'autunno ha scacciato l'estate. Mi accoccolo sul letto col diario in grembo decisa a passare l'intero pomeriggio a leggere, sento la necessità di escludermi dal mondo esterno. 

Sono destabilizzata dall'atteggiamento di Elisabetta e Jemina, in questi due giorni hanno finto che non sia accaduto nulla. Marco addirittura non si è presentato al bar a fare colazione, non è un comportamento sospetto?

Il suono di una notifica interrompe il flusso dei miei pensieri, recupero il cellulare nascosto sotto la coperta spiegazzata. È arrivata la mail di risposta della casa editrice: chiedono un incontro conoscitivo. Confermo l'appuntamento per settimana prossima. Sono agitata al pensiero di presentarmi presso i loro uffici conscia della mia totale ignoranza sul passato di mio padre, però devo farmi forza e affrontare la situazione altrimenti non riuscirò a scoprire la verità sulla mia famiglia.

Il sole sta tramontando in un cielo tornato limpido, ho bisogno di muovermi e di uscire dalla bolla di isolamento. 

Cammino senza meta, respirando l'aria fresca e guardando le vetrine dei negozi, quando davanti alla redazione incontro Elisabetta.

«Ciao» cerco di sorridere ma le labbra non si muovono.

«Ciao Lily, tutto bene?» è evidentemente agitata.

«Si, perché me lo chiedete in continuazione?» temono che fugga dal paese?

«Marco non sta bene, e volevo sapere se tu hai avuto qualche problema dopo quello che è successo» si morde il labbo, ha l'espressione di chi si è appena accorto di aver detto qualcosa di troppo.

«No, sto benissimo. Cosa significa che non sta bene? Cosa gli è successo? E come può essere collegato a me?» perché improvvisamente mi preoccupo per lui?

«Niente di grave, non preoccuparti. Ora sto andando a dare il cambio a Jemina» sorride ma non con gli occhi.

«Scusa, dici che non è niente di grave e fate i turni per non lasciarlo solo?»

Non risponde.

«Vengo anch'io a trovarlo» così magari mi chiude nuovamente la porta in faccia.

«No è meglio che tu non lo veda finché non è guarito» ora è allarmata.

«Va bene... allora ciao, non ti trattengo oltre» le rispondo seccata e a passo svelto mi allontano.

 Sento un dolore al petto e una sensazione d'angoscia mi pervade, è un sentimento diverso rispetto al vuoto che percepisco di solito. Non capisco perché provo queste emozioni, che mi stiano già condizionando? Ripenso a quanto ha raccontato Marco e ai suoi genitori, mi conosce da quando eravamo piccoli. Credo che in qualche modo mi senta legata a lui perché siamo cresciuti da soli senza famiglia. Un momento, questa è una mia supposizione. Chi lo ha cresciuto? Dozenith lo avrà adottato. Di certo non è rimasto senza soldi come me, ha una bella casa, vestiti costosi e una moto.

Dopo una settimana intera senza sue notizie la porta del bar si apre e Marco fa il suo trionfale ingresso.

«Ciao, ben tornato. Come stai?» appoggio sul bancone il cappuccio sfoderando uno dei miei migliori sorrisi, adesso che è qui saprò qualcosa di più?

«Molto meglio direi» poi abbassa il tono di voce «dobbiamo parlare, ci vediamo quando hai finito il turno? Al parchetto?»

Faccio cenno di sì con la testa, finalmente scoprirò qualcosa! Il parchetto è un buon posto è all'aperto e pubblico, non dovrei essere in pericolo.


Ho la testa sovraffollata dalle domande da porgli. Cerco di stilare una "lista della spesa mentale" nella speranza che funzioni e che al momento opportuno l'agitazione non resetti del tutto il mio cervello. Forse dovrei trascriverle. No. Respira. Impegniamoci in un'attività manuale come prepararmi il pranzo prima di uscire dal lavoro, così la mente smetterà di centrifugare e non sverrò per strada giocandomi così la possibilità di avere delle risposte.

Automaticamente preparo due panini, perché l'ho fatto? Non so darmi una spiegazione. Alla fine si è sempre comportato male nei miei confronti, e poi potrebbe avere già pranzato e finirei per sentirmi a disagio mentre lo rifiuta. Nonostante ciò infilo i due pacchetti nello zainetto e riempio due borracce d'acqua.

Arrivo al parchetto e lo vedo seduto su una panchina che osserva il cielo. Cammino sulla ghiaia del viale, non può non accorgersi della mia presenza eppure non si muove.

«Certo che ne causi di problemi» solo quando sono ad un passo da lui abbassa il viso per guardarmi.

Sono gelata sul posto, bel modo di iniziare un discorso. Adesso butto il panino nel cestino. Cosa cavolo mi è venuto in mente di essere gentile, lui è solo un cafone presuntuoso e maniaco.

Cambia posizione mettendo i gomiti sulle ginocchia e appoggia il mento sui palmi delle mani, mi fissa in silenzio per un po'.

Mi sento a disagio.  Il suo sguardo attraversa la pelle, si insinua tra i muscoli e i tendini, scava nella gabbia toracica fino a giungere al centro del vuoto che vive e pulsa dentro di me. Sono nuda. Esposta.

«Allora non ti siedi? Mica ti mangio» si morde il labbro inferiore, quelle labbra devono essere morbide. A cosa sto pensando?

Nutro seri dubbi sulla sua ultima frase però mi siedo accanto a lui.

«Hai già pranzato?» sposto l'attenzione su cose più fisiche, come mangiare, per scacciare quella sensazione fredda che mi attanaglia il cuore. Come se uno spiffero d'aria stesse passando attraverso una porta socchiusa.

«Sinceramente no» mi osserva col sopracciglio alzato.

«Allora guarda che brava che è stata la tua porta guai che ha fatto due panini invece di uno» lo tolgo dalla borsa e glielo porgo.

Sorride.

Non è il solito sorriso sghembo, questo è il genere di sorriso che normalmente riserbi a chi vuoi bene. Quel tipo di sorriso che solo un bimbo può permettersi di fare. Colta alla sprovvista rimango senza fiato. Perché ora mi sta guardando con affetto? Cosa è cambiato rispetto a prima?

Mangiamo in silenzio.

Lui torna a fissare il cielo autunnale. Sono nervosa. Gioco con le foglie cadute, non riesco a stare ferma.

«Mi dici che cosa ti è successo? Non mi hanno permesso di venirti a trovare» non ne posso più ho bisogno di sapere.

«Hanno fatto bene» risponde secco.

Sento un nodo in gola, perché ci rimango male? Sono dei pazzi appartenenti a chissà quale setta, perché soffro se mi escludono? Ho bisogno di uno psicologo, Simone ha ragione e forse sto impazzendo. Le mie emozioni devono leggersi sul viso perché mi fissa un po' prima di riprendere a parlare, sembra che voglia scegliere bene le parole da usare.

«Non fraintendere» il suo tono ora è dolce e comprensivo, come fa a cambiare così in fretta umore? «Saresti stata male anche tu» continua «e non ti avevo ancora raccontato tutto. Ho chiesto di non vederti, per il tuo bene» sospira e fissa la foglia che tengo in mano.

Si rende conto quanto sia assurda questa frase?

«Cerco di spiegarmi meglio: ho iniziato la trasformazione e se tu fossi entrata in contatto con me saresti stata male» mi guarda ancora con quello sguardo indagatore.

«Cosa intendi per trasformazione?»

«Il motivo per cui non sei rimasta qui al villaggio con noi sono io, o meglio: siamo noi due insieme. Il padre di Anubis aveva previsto che le nostre energie si sarebbero risvegliate con la pubertà e noi due avremmo subito anche delle trasformazioni fisiche, ma questo sarebbe avvenuto solo se fossimo rimasti insieme. Perciò hanno deciso di separarci, tu avevi una zia che poteva occuparsi di te e ti diedero in affidamento a lei. Io non avevo più nessuno in vita, e rimasi qui. Non potevamo vivere vicini, se la trasformazione fosse iniziata troppo presto avremmo subito uno shock elevato che la nostra psiche non sarebbe stata in grado di riassorbire. Ora siamo adulti e possiamo sopportare»

Mutamenti nel corpo? Così ad occhio lui sembra uguale a prima. Ma cosa sta dicendo? Mia zia dunque sapeva, e in tutti questi anni era rimasta in contatto con loro?

«Confesso che mi fai paura» mi è venuta la pelle d'oca. Evviva la sincerità, come mostrare al nemico il fianco scoperto. Sono proprio scema. Zitta. Dovevo stare zitta e assecondarlo.

«Mi spiace. Non ti volevo per questo» è sincero, nella sua voce non percepisco astio ma ferisce lo stesso. Perché? Avrei dovuto aver paura di lui. Perché invece non ne avevo?

«Quindi il lavoro di Simone era tutta una bugia? Ci avete attirato qui? Non ha superato nessuna selezione vero?» mi salgono le lacrime agli occhi. Simone si è impegnata tanto, non poteva essere tutto falso.

«No, il contrario. Ti abbiamo trovato perché lei è stata selezionata. Tu sei qui perché è maledettamente brava nel suo lavoro» sembra sincero. Riprendo a respirare.

Sono io l'incapace nel duo. Non Simone. La carità, dandomi un lavoro al bar, l'avevano dunque fatta a me.

«Il tuo posto al bar è meritato» risponde lasciandomi senza fiato, come ha fatto a sapere cosa stessi pensando? «Elisabetta non ti avrebbe fatto rimanere se fossi stata un peso» continua «abbiamo bisogno di persone che siano di supporto non che ci ostacolino»

Lascio libera la foglia e la osservo cadere. Ho davvero paura. Trasformazione? Assurdo. I dubbi sono tanti però loro hanno le chiavi del mio passato, voglio sapere di più su mio padre, su mia madre, su come sono realmente morti. Non posso tirarmi indietro ora. Non si può fuggire in eterno da se stessi e dalle proprie radici.

Lo guardo negli occhi.

«I tuoi occhi sono marroni o blu?» che domanda stupida che ho fatto. Che mi prende?

«Marroni quando sono normale, blu quando valico la soglia delle dimensioni»

«Questo significa trasformazione?» due lenti a contatto e via.

«Magari» ride «In pratica il tuo corpo subisce delle modifiche sostanziali: prende la forma di quello che eri prima, cioè la forma che hai assunto la prima volta che ti sei incarnata in questa dimensione. Però accade solo nei viaggi, qui sei normale... oltretutto capita solo a noi due»

Reincarnazioni, mutazioni. Presto ci saranno licantropi, Edward e Bella sicuramente sono dei cugini lontani che per Natale verranno a farci visita.

«Senti» calma Lily, asseconda questa pazzia «Ho un sacco di domande e voglio delle risposte» sensate e logiche, non queste bugie!

«Dozenith risponderà a tutto...o quasi» socchiude gli occhi come se stesse leggendo qualche informazione visibile solo a lui.

Ecco che iniziano a rimbalzarmi, un classico «Posso andare da lui?»

«Certo casa sua è sempre aperta per noi»

La pubblicità perfetta per il nuovo santone della zona: venite la mia casa è sempre aperta.

Mi alzo dalla panchina e stiracchio la schiena allungando le braccia verso il cielo. Devo fargli credere che sono dalla loro parte, che penso che tutto questo sia vero così potrò indagare sui miei genitori e una volta ottenute le risposte che cerco mi allontanerò da questi pazzoidi.

«Bene. Perché la curiosità è troppa per essere contenuta» sono una bugiarda nata.

«Vuoi dire che rimarrai con noi?» si alza anche lui dalla panchina facendomi così sentire piccola e indifesa, mi sovrasta di circa venti centimetri.

«Si» sto rischiando grosso, lo so.

Sorride e nei suoi occhi leggo gratitudine e sollievo. Il senso di colpa mi investe in pieno petto.

Sicuramente è stato Dozenith a crescerlo e doveva essersi sentito molto solo nella sua infanzia, siccome i nostri genitori si conoscevano pensa che io possa riempire quel vuoto. Forse lui è solamente una vittima manipolata da questo santone, posso portarlo dalla mia parte e convincerlo ad aiutarmi.

«Perfetto! Allora stasera ti passo a prendere in moto. Faremo il nostro primo viaggio» il tono di voce è allegro e vivace.

«Viaggio?» un momento non sono preparata, dove vuole portarmi?

«Certo» e stavolta il suo sorriso è tagliente come un rasoio. 


Immagine creata con intelligenza artificiale da https://www.pinterest.it/serehtira/ 


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