L'UOMO CON LA BOMBETTA (pov Lily)

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Non dovrei aspettarmi di vivere oltre questo istante in cui sono certo di essere vivo.

(La finestra di Orfeo)

Lily's POV

«Signorina... Signorina» apro gli occhi confusa, chi è quest'uomo? Dove sono? Elisabetta... Ora ricordo! Il pacco da consegnare, come ho potuto addormentarmi in una situazione del genere? «Signorina siamo a capolinea»

«Oh!» l'autobus è vuoto. E adesso? Come posso arrivare alla Torre? In che zona mi trovo? «Mi scusi» chiedo scendendo dal pullman, ancora intontita dalla sonnolenza  «Per arrivare alla Torre di Pisa?»

«Allora sulla strada parallela a questa passa un autobus che si ferma un paio di metri prima dell'ingresso. Ma a quest'ora non sarà più possibile salire visitarla»

«Grazie» corro alla fermata indicatami sperando di svegliarmi con un po' di attività fitness.

«Deve scendere alla prossima» suggerisce il l'autista. Questa volta ho viaggiato in piedi accanto a alla sua postazione, sono preoccupata per l'episodio di narcolessia. Come ho potuto addormentarmi con tutta l'agitazione dovuta da questo pacco? Sfioro la carta che lo avvolge e sembra che questa stanchezza innaturale aumenti di intensità, è solo suggestione.

Ringrazio, saluto e scendo.

Alzo gli occhi al cielo: non è difficile individuare la Torre non passa di certo inosservata, difatti eccola lì che spunta tra i tetti.  Frugo nelle tasche della felpa in cerca del cellulare, non c'è. L'avrò messo in borsa. Nulla. Non mi sarà caduto nella fretta... no cavolo! L'ho lasciato in ricarica dietro al bancone del bar. Ottima mossa Lily! Ora non posso avvisare che sono arrivata a destinazione e nemmeno sentire come sta Elisabetta.

Mi accodo ad una comitiva di chiassosi turisti tedeschi per non perdermi, non è la prima volta che vengo a Pisa: ci sono stata in gita con la scuola ma non ricordo nemmeno una strada. Non ho capacità d'orientamento, senza il navigatore sono capace di perdermi persino in casa nel tragitto camera - bagno. Finalmente riconosco un monumento familiare, svicolo le persone che affollano i baracchini di souvenir  e supero l'ingresso di Porta Nuova. Riconosco immediatamente il Battistero e poco più avanti la Cattedrale, la memoria da studentessa è rimasta intatta nonostante sia passato qualche anno. Il prato dei giardini è gremito di turisti immobili nelle posizioni più assurde: un bimbo, che dovrebbe sorreggere la torre che pende, ai miei occhi palpa il sedere di una signora poco più lontana piegata a raccogliere qualcosa.

Ora che sono giunta a destinazione sono sempre più confusa riguardo alla consegna, se davvero il pacco contenesse droga? Dopotutto Elisabetta si comporta in modo anomalo da qualche giorno, poi ci sono i tipi strani con la bombetta che ho visto aggirarsi per il paese e la paura a lasciarmi sola a chiudere il bar...

«Signorina» una voce stranamente meccanica giunge da dietro le mie spalle.

Una mano mi stringe il braccio, sento delle dita ghiacciate ferirmi la pelle come tanti piccoli aghi.

«Mi lasci! Aiuto!» inizio ad urlare con tutto il fiato che ho in corpo.

L'uomo che mi tiene con forza è vestito completamente di nero: giacca, cravatta e cappello a bombetta. 

Il suo volto. 

Il suo volto non è normale, è... non può essere vero! Non ha la bocca! Gli occhi e il naso sono al loro posto ma la bocca non c'è, vi è solo pelle innaturalmente bianca al posto delle labbra.

«Aiuto!» distolgo a fatica lo sguardo dalla sua faccia cinerea per chiedere soccorso e noto con orrore non c'è più nessuno per strada. Dove sono spariti tutti?

La luce è diversa sembra provenire da ogni lato, prima il sole stava per tramontare e ora non è più in cielo . 

Non ho più l'ombra. 

Non esistono ombre.

Cerco di divincolarmi dalla presa ma il terrore e la sua forza fisica non me lo permettono. Sento salire il freddo fino alla spalla come se mi scorresse nelle vene, mi aspetto di vedere comparire la brina sulla pelle. Perdo la sensibilità dell'arto.

Non so più che fare. Gli tiro un calcio alla gamba: è come colpire un pezzo di metallo freddo e duro, sento dolore alla caviglia.

Una luce abbagliante ci avvolge.

L'uomo scappa.

Il mio braccio è libero.

Perdo l'equilibrio e cado all'indietro.

Qualcuno mi prende al volo e mi adagia per terra.

Riprendo ad urlare.

«Calmati! Sono io! Vuoi attirare l'attenzione di tutti?» le persone sono ricomparse e alcuni turisti si sono fermati ad osservarci. Ho la testa appoggiata sulle ginocchia del mio salvatore e le sue mani calde sono sulle mie spalle, un piacevole tepore si irradia per il braccio gelato.

Avvicina il viso per parlarmi a bassa voce «Non agitarti altrimenti pensano che voglio farti del male» due occhi nocciola fissano i miei: Marco. 

«Tu cosa fai qui?» chiede sollevando un sopracciglio.

Non riesco a parlare. Cerco di respirare ma l'aria non entra nei polmoni, annaspo provando a riprendere il controllo di me stessa.

Dieci.

Come è possibile che prima fossero scomparsi tutti?

Nove.

Sono impazzita, devo avere avuto un'allucinazione.

Otto.

Però il dolore alla caviglia è reale.

Sette.

Non funziona! Non respiro! Sento un paletto conficcato nel petto che trafigge il cuore.

«R i p e t o: cosa fai qui?» la sua voce ha assunto un tono scocciato.

Inspiro ed espiro.

Dopo tutto quello che è successo chiede cosa faccio qui? Non come stai? Tutto bene? Ti sei spaventata? No!

Cosa strac*zzo fai qui chiede!?

«Non sono fatti tuoi!» la rabbia ha vinto sullo shock. Una personalità aggressiva in me sopita prende il controllo del corpo, con uno strattone mi libero dalla sua presa e mi rialzo in piedi. Ripulisco i jeans, più per scacciare la tensione che per sistemarmi per davvero.  Cosa è successo? Quell'uomo senza bocca dov'è finito?

Sono ancora irritata con Marco ma le parole, che volevo lanciargli contro come arma affilata, rimangono incagliate sulla lingua appena vedo la sua espressione ferita. È rimasto male per come gli ho risposto? Dopotutto è venuto in mio soccorso. Un momento, lui che fa qui?

«Scusa se ti ho aggredito in quel modo... solo che tu non dovresti essere qui»

Sta chiedendo scusa? Sono sconcertata. Ha detto tu non dovresti essere qui quindi lui sa.

«Mi ha mandato Elisabetta» vediamo se riesco ad estorcere qualche informazione.

«Elisabetta è impazzita! E sei qui da sola?» alza i toni con gli occhi spalancati dallo stupore.

«Si, lei è ferita e mi ha chiesto di portare il pacco al suo posto» già il pacco, tocco istintivamente la borsa e nuovamente mi assale quella strana sonnolenza.

«Tu non sai niente!» quasi urla facendomi trasalire. Passa la mano tra i capelli esasperato. Sospira e torna a guardarmi con aria afflitta.

«Ha detto che dovevi incontrare un uomo vestito di bianco davanti alla Torre vero?» il tono ora è dolce anche se percepisco una lieve nota di disappunto. È evidente che la mia presenza oltre che essere inattesa è persino sgradita perciò mi sarei aspettata più ostilità e non questo atteggiamento rassegnato. 

Non posso arrendermi ora, devo scoprire in cosa sono immischiati tutti quanti, compresa me a questo punto.

«Si» rispondo risoluta.

«Oh Santo cielo! Avanti muoviamoci» inaspettatamente mi prende per il braccio trascinandomi dietro di sé. Cerco di stare al passo ma è impossibile e inizio a zoppicare, il dolore alla caviglia si irradia fino al ginocchio.

«Puoi anche lasciarmi il braccio. So camminare» cerco di liberarmi con uno strattone ma la presa è forte.

«Si, così poi ti ritrovi ancora faccia a faccia con l'Uomo in Nero?» rallenta e alza un sopracciglio fissandomi la gamba. «Ti sei fatta male?»

«Uomo in Nero? Ma quel ... quello non aveva la bocca, vero? Non ho sognato?» ti prego, ti prego dimmi che non sto impazzendo.

«Proprio te dovevano mandare? Se non ti avessi sentito a quest'ora eri bella che morta! Chissà cosa le è passato per la testa ad Elisabetta!» piuttosto che rispondere ad una mia domanda sbraita. Fantastico. 

Aspetta, ha detto morta? Allora sono davvero nei guai!

Quindi potrebbe essere pericoloso stare in sua compagnia, cosa sevo fare? Tentare la fuga e chiamare la polizia? Per dire cosa poi? Che sono stata aggredita da un tizio con la bombetta in testa e senza bocca? 

Sbircio il volto di Marco e noto che fissa un punto davanti a sé, ha la mascella tesa, deve essere veramente arrabbiato con me per avergli scombinato i piani. Già, ma quali piani? Devo fermarmi a pensare, ho bisogno di un secondo per riordinare i pensieri.

«Guarda sei arrivata» si ferma e indica un punto davanti a sé «Quello è l'uomo a cui devi consegnare il pacco» 

Di già? Aspetta non sono pronta, cosa devo fare? Siamo arrivati ai piedi della Torre. Osservo la sua pendenza contro il cielo e solo in seguito noto l'uomo vestito di bianco che attende nell'ombra, è un signore dai tratti asiatici con lunga barba bianca. Il classico stereotipo del maestro di arti marziali nei film americani

«Vai. Consegnagli il pacco. Ti aspetto qui»

Provo ad incrociare il suo sguardo ma distoglie il viso, deve davvero trovarmi insopportabile per non riuscire nemmeno a guardarmi in faccia. Cerco nella borsa il pacco, appena lo sfioro un pesante torpore annebbia ogni mio pensiero: vorrei solo chiudere gli occhi e dormire.

Lo sto facendo davvero? Lo consegno così senza sapere cosa contiene?

L'uomo si avvicina, i suoi movimenti fluidi lo fanno sembrare molto più giovane di come appare. Vorrei indietreggiare ma sia il corpo, che i pensieri, iniziano ad essere rallentati da questa apatia che mi avvolge e così lui allunga la mano, sfiorandomi le dita, e prende il pacco senza che abbia il tempo di ripensarci.

Sorride e si inchina svanendo nell'etere.

Era qui davanti a me ed ora non c'è più. Sento ancora il calore delle mani che hanno sfiorato le mie.

La testa inizia a girarmi, i miei polmoni smettono di incanalare aria, il mondo si scurisce e il mio corpo cede cadendo nel vuoto.

Due braccia mi accolgono prima che possa toccare il suolo.

«Come stai?» la voce è sommessa e il tono si è improvvisamente addolcito, è preoccupato per me? I capelli castano scuro scendono ribelli sugli occhi che ora stanno cambiando colore, com'è possibile tutto ciò? Stanno diventando blu.

Silenzio. Le persone sono nuovamente svanite. 

«Va tutto bene. È tutto finito» è l'ultima cosa che sento prima di perdere definitivamente i sensi.

«Lily! Svegliati! Vado al lavoro!»

Scatto seduta col cuore esaltato nel fare climbing su per la gabbia toracica. Rimango a bocca aperta a guardare Simone.

«Che c'è?» domanda perplessa.

«Quando sono tornata?» indosso il pigiama, com'è possibile? Marco mi ha spogliato e vestito? Un maniaco!

«Quando sono rientrata ieri sera eri già a letto. Vado altrimenti faccio tardi!» e chiude la porta dietro le sue spalle.

Come ho fatto a tornare? 

Rimango seduta sul letto intontita. È stato tutto un sogno?

Qualcosa stringe la caviglia, alzo il lenzuolo per osservarla: è fasciata con una benda elastica. Provo a muoverla, non sento più dolore. Marco mi ha medicato?

Vado in bagno, lavo la faccia con l'acqua fredda e rimango a fissare il mio insignificante volto allo specchio: ho due meravigliose occhiaie nere e sono talmente bianca che le poche lentiggini risaltano orribilmente. Distolgo lo sguardo disgustata, sembro Yennefer da bambina, prima che in the Witcher si trasformasse nella maga più bella del regno. Ma io non sono né una potente maga, né la protagonista di un romanzo, per cui l'unica possibilità di migliorarmi è diventare ricca e pagarmi la chirurgia plastica. Non sarebbe male come idea. Cosa sto facendo? Sto cercando di perdermi nel mondo immaginario per non dover affrontare la realtà e analizzare cosa è accaduto ieri. Questa volta non posso farlo, questa volta la realtà è più assurda dei miei sogni ad occhi aperti. O forse ho davvero sognato tutto? Certo Lily come no, la caviglia te la sei slogata dormendo.

Torno in camera e noto il mio cellulare in carica sul comodino. 

Eppure lo avevo lasciato al bar. Ne sono sicura.



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