January

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Ero la ragazza più anonima del mondo. Anonima nella solita felpa con cappuccio, anonima nei jeans, nella pettinatura da Madonna, persino nello zaino. Forse me ne rendevo conto, ma non davo importanza alla cosa.

Le mie amiche mi sopportavano bonariamente, mi prendevano un po' in giro perché non ero proprio come Demi Lovato o Selena Gomez, e quando parlavano di ragazzi si accendevano e facevano riferimenti che spesso mi mettevano a disagio. Quando dicevano "Ci sei andata?" tra mille risatine, ricordo che mi irrigidivo, e mi preoccupavo perché non sapevo mai se stavo per sentire la descrizione di un semplice bacio o qualcosa di molto più serio, e non mi sentivo molto pronta per cose più serie.

Nella mia classe non c'erano ragazzi che ispirassero alcunché. Erano bambinoni che parlavano di videogiochi e calcio, si muovevano come dei rinoceronti in unascensore, urtandosi continuamente e ridendo quasi fuori controllo, dandosi appuntamento a casa l'uno dell'altro per pomeriggi davanti alla consolle. Un paio giocavano in una squadra famosa che non conoscevo e si atteggiavano a divi. Alcune compagne ronzavano loro attorno, erano quelle ridevano a battute orrende, in una maniera esagerata, quasi forzata. Io ero completamente indifferente, e Chiara era d'accordo con me.

Lei in realtà uno l'aveva anche baciato al cinema a novembre, guardando Amore 14, ma aveva dichiarato che era stato come baciare il naso del suo cane. Lei di baci se ne intendeva, credo che il primo lo avesse dato in seconda elementare, ma Chiara è sempre stata una avantissimo da quel punto di vista.

Non era di quelle che ronzavano attorno ai compagni, sforzandosi di fare le simpatiche, lamentandosi a dismisura facendo finta di frignare se venivano fatte oggetto di battute, dando pizzicotti o tirando "per sbaglio" la palla alle loro crush. Lei non aveva bisogno di questi mezzucci, erano i maschi che la guardavano, che le tiravano la palla, che non vedevano l'ora ci fossero le due ore di educazione motoria.

Infatti mia madre non impazziva per quella amica che aveva un look già molto più definito del mio, si curava capelli, unghie, si truccava, aveva sempre orecchini fighissimi. Persino il suo intimo mi sembrava inarrivabile.

Chiara era magra, di lineamenti leggermente affilati, ciglia nette e folte sopra occhi chiari che tendeva a marcare costruendo uno sguardo che ti ammaliava. Sapeva di essere molto carina, e si permetteva di andare in giro con papaline maschili, salopette enormi e felpe ancora più enormi.

«Matilde, hai tante amiche, perchè inviti sempre le stesse due?» mi diceva, sapendo già che tutte la ragazze del mondo hanno le amiche preferite, e non c'era nulla di strano se invitavo sempre le stesse due, quelle con cui probabilmente sarei andata anche alle superiori. Chiara e Caterina.

Caterina era il fuoco sotto la cenere. Sembrava tranquilla, ma era un demone sboccato e provocatore, ben nascosto sotto un corpicino sottile, un viso tondo e una cascata di capelli castani leggermente mossi. Mia madre non aveva niente contro Caterina, semplicemente perchè non sapeva quanto riuscisse a fomentare senza farsi scoprire.

A Natale, durante le vacanze, un giorno andai da Chiara a passare un pomeriggio guardando qualche film in DVD e mangiare schifezze. Era una abitudine che avevamo da tempo e non avevamo perso crescendo, sulla soglia del salto alle scuole superiori.

Appena aveva visto sloggiare sua madre, con un sorriso furbo stampato sul volto, mi trascinò di sopra, in camera. Un luogo profondamente diverso dalla mia camera da letto, molto più adulto, invaso da vestiti, accessori, dominato da un grande specchio a persona intera e diversi poster di Robert Pattinson, Channing Tatum e Paul Walker.

Accese febbrilmente il computer e digitando "Facebook" sulla barra della ricerca della navigazione in incognito.

«Mi sono fatta il profilo su facebook» disse, mentre mi faceva vedere tutte le cose che aveva subito caricato sotto al nome Kiarina Karina, «dovresti farlo anche te».

In tutte le foto, sembrava avere sedici anni. Lo sguardo rivolto all'obbiettivo o, in alternativa, al proprio corpo, mai molto vestito.

«Mia mamma non me lo lascerebbe mai fare» replicai per chiudere il discorso, o almeno, sperando di riuscirci.

«Basta non chiederglielo. Ce l'hai una mail?» mi incalzò.

«No».

«Bene, la facciamo, vediamo vediamo... matildina7996 come nome va bene, mi piace, magari al posto di matildina mettiamo mutandina» disse ad alta voce, ignorando le mie timide proteste.

«Chià, non facciamo casini, ti prego».

«Dai Maty, poi ci incontri i boni della scuola e pure tipi più grandi» rispose insofferente, scorrendo la sua bacheca per poi fermarsi improvvisamente davanti a una foto che la fece sobbalzare.

«Ma chi è 'sto figo da paura?!» esclamò, «Toschi?! Maty, ma questo è Toschi?! Quello della terza C. Maty, cazzo, partecipa!».

Avevo sempre considerato Federico Toschi come un tipo abbastanza carino, per carità, con quei capelli schiariti dal sole, ma la parte carina finiva lì. Era un tipo piuttosto trasandato, con l'aria indolente, che stava un po' per i fatti suoi, sempre nascosto sotto il cappuccio della felpa.

In quelle foto inondate dal sole del Marocco, con la muta abbassata fino al costume ed una tavola da surf sotto al braccio, mostrava un fisico da urlo, un fantastico colore di carnagione e un sorriso che Chiara definì "strappamutande". Io feci alcuni commenti di circostanza, più che altro per non dare corda a lei che invece disse cose inenarrabili sul ragazzo. Non ero abituata ad escandescenze sui maschi, e se anche le foto non mi avevano lasciata indifferente, proprio mi imbarazzava esprimermi.

«Dai Chiara, torniamo giù, ho capito che hai Facebook ed è bellissimo, però basta».

«Che palle Maty. Vabbè se ci ripensi io l'indirizzo mail te l'ho fatto, chiedimi l'amicizia che poi arrivi anche a tutti questi gnoccoloni».

Guardai il film un po' in trance. Pensai che era passato natale, era passato capodanno, di lì a pochi giorni saremmo tornate a scuola e ci saremmo rituffate in mesi lunghi e grigi. Non c'era nulla di più lontano dell'estate, ma Federico Tozzi era stato un lampo che mi aveva portato per un attimo alla stagione senza pensieri.

Riempì i miei pensieri anche mentre tornavo a casa in bici percorrendo i viali dagli alberi spogli, nel tardo pomeriggio freddissimo, ristorato solo dalle luci del natale appena passato. La cittadina sembrava vuota, dormiente, come sempre durante l'inverno, in quel luogo che si animava durante la stagione turistica, per poi tornare a dormire ad ottobre.

Quando fui a casa, lasciai lo zainetto in camera ed andai di filato in doccia, rimanendoci per un tempo infinito, tra i vapori ed il profumo del bagnoschiuma alla vaniglia.

Sul vetro appannato del box doccia, quasi sovrappensiero, scrissi FEDE. Lo cancellai immediatamente, sperando che non spuntasse fuori alla successiva doccia. Mi vestii in fretta e scesi a cena.

Era tornato l'inverno.


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