Mayday

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«Ma non voglio un pompino!».

Mi guardò come se fossi pazza. Eravamo nella mia camera, al riparo dagli sguardi di chiunque, appoggiati al letto, dopo aver guardato foto di onde, di spiagge e cose così. Lo avevo fatto parlare lungamente del suo passatempo, sentendo la sua eccitazione salire ad ogni parola. Era un modo per essere accomodante, per farlo sentire a proprio agio in casa mia, un luogo dove eravamo stati molto poco.

«Ma allora che cazzo vuoi?» risposi, sentendo montare la rabbia, «non mi vuoi fare sesso orale, non vuoi che ti faccia sesso orale, non ti capisco! Ti giuro non ti capisco!».

Lui fece una faccia inorridita, per un attimo pensai che fosse bipolare, riavvolgendo il pomeriggio passato a convincerlo a baciarci, poi a limonare profondamente, abbracciati come prima del fattaccio. A noi piaceva essere avvinghiati, piaceva tantissimo! E poi, vedendo che non succedeva nulla, avevo provato quella carta. mi sembrava onesta, anche se non era la mia prima scelta.

In realtà chi lo sapeva quale era la mia prima scelta.

«Ma santo dio non sei capace di baciarmi e beccarti i miei abbracci? Dobbiamo per forza finire a pompini? Ma che cazzo hai? Ti comporti da...» e si fermò.

«Da cosa, dillo!» replicai irritatissima, pronta a scoppiare.

«Da troia» mormorò.

Eccola, la parola che avevo sentito solo dire rivolta ad altre, a ragazze ben diverse da me. Che ora il mio ragazzo rivolgeva a me. Ero sconcertata.

«Ma sei fuori?! Non avrei mai immaginato di dirlo, ma... è meglio Rex!» dissi, fuori di me.

Lui si irrigidì.

«Chi è Rex?» chiese, come in attesa di sentirsi crollare il mondo addosso.

Sospirai, poi indicai il mio amato pastore tedesco di pezza.

«Matilde, tu non stai bene» disse Fede, alzandosi dal letto, dirigendosi verso la porta della camera.

«Aspetta!» lo trattenni, poi mi girai verso Rex, «diglielo! Diglielo cosa fai!».

Ma lui rimase quello che era per tutti: un cane di pezza.

«Matilde, scusami se ho detto "troia", non volevo. Ma tu devi farti vedere» sospirò Fede, poi aprì la porta e se ne andò. Io non ebbi il coraggio di fermarlo, sentendo in cuor mio che tutto ormai fosse perso.

Non mangiai, rimasi triste per tutta la sera. Dissi semplicemente che con Fede non andava benissimo, e mia madre, che di me non capiva nulla, mi guardò costernata e disse:

«Cara, mi dispiace. A volte forse i ragazzi hanno fretta, ma tu prenditi i tuoi tempi, e cerca di farglielo capire».

Annuii, segnandomi mentalmente di non chiedere mai consigli sentimentali a mia madre. Non avevo nemmeno voglia di andare a letto, e rivedere quel traditore di cane, che nel momento del bisogno era fuggito dentro le sembianze di pezza. Lo odiavo, lo ritenevo responsabile almeno quanto me, di tutto quel malessere che stavo provando.

Ma alle dieci e mezza dovetti abbandonare il salotto sotto lo sguardo severo di mia madre che non voleva farmi dormire "troppo poco" in vista della scuola. Mi preparai con lentezza esasperante, mi misi il pigiama ed andai a letto, riservando a mia volta uno sguardo severo al mio cane di peluche, appoggiato sulla mensola assieme a tutti gli altri, di fianco a Bolt, che per un attimo mi sembrò avere un ghigno di soddisfazione.

«Ti sei divertita a sufficienza e così finisco sulla mensola» disse, appena spensi la luce.

«Potevi aiutarmi, e mi hai ignorata» replicai, con una frase che avevo pensato e ripensato durante tutta la sera.

«Aiutarti a far cosa? Volevi scaricare le colpe su di me?».

«Sei tu che ti sei sempre vantato di essere più bravo, di non dare problemi. Hai persino detto che se non funzionava, erano problemi suoi. Hai ironizzato su di lui. Non sei stato di supporto, sei stato un ostacolo».

«Ho detto qualcosa di non vero? Matilde, hai imparato più in qualche mese con me che in tutto il resto del tempo con genitori, amiche, compagni di scuola. Sai come sei fatta, sai cosa ti fa godere, sai cosa significa avere un orgasmo, e sai che non c'è bisogno di un pene per tutto questo».

«Sei proprio stronzo. E adesso l'ho capito. Riduci tutto al corpo, al corpo, al corpo. Ti frega solo del corpo».

«Certo, è attraverso il corpo che godi. Dovresti ringraziarmi. Anzi, potresti anche non ringraziarmi e continuare semplicemente a farti fare quello che tanto ti piaceva. Non sono uno di grosse pretese».

Presa da un raptus di rabbia, lo afferrai e lo trascinai fuori dalla porta della camera. La casa era immersa nel silenzio e i miei dormivano già. Gli intimai di stare zitto, data la sua abitudine di parlare a sproposito. Mi infilai le allstars, una giacchetta leggera e uscii dirigendomi al garage. Tolsi la bici e pedalai fino a casa di Federico. Era una tarda serata appena fresca, neppure a me sembrava intollerabile il pedalare con il pigiama e la giacca.

Fermai la bici, lo presi per la collottola ignorando i lievi guaiti, e lo appoggiai per terra, guardandolo dall'alto verso il basso.

«Adesso tu sali fino a quella finestra» indicai quella della camera di Federico «e gratti finchè non ti apre».

«Ma non ci penso nemmeno!».

«Chissà che imbottitura hai dentro... fammi vedere dove sono le cuciture».

Ringhiò.

«Non azzardarti, ragazzina».

«Si che mi azzarderò, ti squarterò alla prima occasione in cui ti mostrerai inanimato, e se rimarrai animato, tanto meglio, ti metteranno in un laboratorio e ti analizzeranno fino a squartarti. Bel modo di morire, non trovi?» dissi, guardandolo negli occhi di plastica.

Sbuffò, poi scese dal cestino e si arrampicò a fatica fino alla finestra, iniziando a battere con il naso di plastica sulla finestra. Fede venne alla finestra in pochissimo tempo, guardando Rex in maniera interrogativa, poi mi vide.

Aprì la finestra in fretta, quasi travolgendo il cane di pezza che rischiò di scivolare giù dal tetto.

«Matilde?» domandò, confuso.

«Vieni giù» dissi semplicemente, facendogli il gesto di avvicinarsi.

Lui chiuse la finestra in fretta e scese, ciabattò verso di me in calzoncini e infradito, e una canottiera della billabong. Era bello, anzi, era bellissimo, con quell'aria un po' indolente, era quello che avevo amato e immaginato. Nulla a che vedere con leccate di vagina e succhiamenti di pene.

«Ma quello cos'è?» chiese, indicando Rex.

«Il mio cane di pezza, Rex».

«Ma è vivo?».

«Si, te l'avevo detto! Ma è stronzo. Ed è la causa di tutto» poi mi rivolsi a lui, «Scendi subito!».

Rex arrivò con tutta calma. Poi mi saltò in braccio.

«Salve, straniero» disse, rivolto a Fede, lo guardai malissimo, così si corresse, «ciao Federico. Matilde mi ha parlato di te».

Vergognosa, cercai di spiegare a Federico tutta la questione.

«In questi mesi con Rex ho fatto svariati tipi di... sesso orale».

«Sei seria?».

«Si. E questo mi è servito per conoscermi meglio e per essere anche più tranquilla nel mio rapporto con gli altri. Questo non lo nego. Se non ci fosse stato tutto questo, io non sarei stata in grado di avere a che fare con te. Solo che tutto questo è stato anche il mio tallone d'Achille, ho pensato che dovevo fare con te quello che ho fatto con Rex».

«Scusa, fammi capire. Mi stai dicendo che hai fatto sesso orale con un cane di pezza?».

«Si è una cosa assurda ma è così. Ho fatto sesso orale con un cane di pezza» sospirai, abbassando leggermente il capo. Una sorta di resa all'evidenza.

«E che cane di pezza» aggiunge Rex tutto orgoglioso, «ho dato alla piccola Matilde quello che nessuno era in grado di darle, nemmeno lei stessa».

«Ecco», dissi indicando il cane, «questo è il motivo per cui sono qui: per farti vedere che ho avuto a che fare con qualcosa che mi ha dato una mano ma che è stato anche il mio punto debole nel rapporto con te. Rex vede tutto dal punto di vista fisico mentre io ti ho sempre immaginato come qualcosa che mi dava sensazioni positive».

«E allora perché mi hai trascinato in tutta quella storia di sesso orale?».

«Perché mi sono sbagliata, perché questo stupido cane di pezza mi ha fatto vedere solo il lato meccanico di un rapporto tra... persone non sarebbe proprio corretto definirle, diciamo rapporto e basta».

Fede fece una mezza risata. Ma notai una vena leggermente amara.

«Quello che voglio farti capire è che mi prendo la responsabilità dell'errore. Ho dato troppo peso al lato fisico e troppo poco al lato sentimentale, e in questo Rex non mi è stato di nessun aiuto»

«Ok, ok. Certo, diamo la colpa a un povero cane di pezza! Dai, tanto mica può difendersi! Stai parlando con un maschio di quattordici anni che si masturberà cinque volte al giorno! Gli parli di oh... sensazionipositive» sbraitò Rex.

«Vedi? Non prende sul serio nulla che non sia il lato fisico» cercai di coinvolgere nel mio pensiero anche Fede, «Il risultato è che adesso conosco perfettamente come sono fatta fisicamente ma non ho ancora capito niente di come sono fatta sentimentalmente».

«Nemmeno io so come sono fatto nella testa» disse Fede, grattandosela «e mi piacerebbe impararlo. Ma questi giorni non mi hanno aiutato, te lo assicuro».

«Ecco, berciate di lato fisico, lato emozionale, e finisce che io, dopo tutto il bene che ho fatto, vengo messo da parte così senza un vero motivo» si lamentò Rex, scocciato.

Io lo guardai, gli feci una carezza.

«Si hai fatto la tua parte. Potevi fare di più, ma adesso entriamo in una fase in cui non mi serve sapere come sono fatta nel corpo. Mi serve trovare il miglior modo per stare con il mio ragazzo».

A queste parole, Rex si accucciò nel cestino e disse «Va bene ho capito qui per me non c'è più posto. E' arrivata Mademoiselle Ingratitude».

Ma poi, Fede mi trafisse il cuore.

«Devo pensare a tutto questo. Mi sento preso in giro. E mi sento anche tradito. E non mi piace».

Sentii il mondo crollarmi addosso. Quel giorno così lungo che mi piombava sulle spalle e mi schiacciava a terra. Non pensai a nessuna parola da dire, mi venne solo voglia di piangere, le lacrime iniziarono a scorrere sulle mie guance.

«Ciao, Matilde» disse Fede, girandosi per tornare in casa. Io risalii sulla bici, ma appena tolsi il cavalletto, sentii Rex sbuffare.

«Va bene, va bene! Adolescenti...» disse, saltando giù dal cestino.

«Ehi tu, ehi, Surf in USA, vieni qua!» abbaiò contro Federico, zampettandogli appresso.

«Che vuoi tu? Ti sei scopato la mia morosa, non mi rompere il cazzo!».

«Senti, bello mio, intanto io c'ero prima di te, e quindi casomai sono io che sono stato tradito, ok?».

Federico rimase con la bocca semiaperta. in effetti tecnicamente era lui l'amante. Rex riprese:

«Comunque sorvolerò su questo. Sto per dire una cosa molto faticosa per me, quindi ascolta bene. Hai una gran fortuna ad avere Matilde. E' intelligente, sensibile, si fa domande che tante ragazze manco si fanno. E da subito, di te ha sognato baci e abbracci, non altre cose. Le altre cose sono colpa mia, ho pensato che le servisse piacere fisico, e abbiamo trattato piacere fisico. D'altronde sono un cane di pezza, mica ho un cervello in cui elaborare i sentimenti».

Si avvicinò a lui, lo guardò dal basso verso l'alto, dicendogli «Abbassati».

Lui obbedì, accovacciandosi. Si guardarono per un lungo istante.

«La prima volta che un'onda ti ha buttato giù da quella tavola di cui tanto parli, hai smesso di fare surf perché l'onda ti aveva tradito?».

«No».

«Certo che no! Dovevi capirle, quelle onde, chissà quante altre volte ti hanno buttato giù, vero? Scemo» lo prese per un polso, «adessho uai da leih e fathe pashe».

Lo trascinò fin davanti a me, lui si alzò, si spolverò le ginocchia.

«Scusa, Fede, ho sbagliato tutto, ma giuro che ti amo. E imparerò a leggere meglio quello che pensi e quello che senti» mi sentii di dire.

«Non so veramente cosa dire, è tutto strano. Tutto così fuori di testa... Maty ma questa è una storia assurda, io pensavo che fosse diverso con te».

«Lo so, lo pensavo anche io, ho fatto un sacco di errori, ho voluto forzare, ho pensato che volessi andare avanti, quando in realtà nemmeno io volevo andare avanti».

Ci baciammo, lui in calzoncini da spiaggia e ciabatte, io in pigiama e allstars. Fu bellissimo, senza ansie, senza aspettative. Solo sentimento.

Quando ci staccammo mi prese per le mani.

«Però d'ora in poi basta cani di pezza».

Sorrisi, mi girai verso Rex, ma non c'era più. Lo cercai con lo sguardo, ma non era da nessuna parte. Scomparso.

Tornai a baciare Fede. Si sentiva odore di salsedine.


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