Capitolo 16 - Devil in disguise

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Avevano detto loro di considerarsi a casa, ma Alex aveva smesso di sentirsi a casa già da molti giorni.

La sicurezza e il calore del suo minuscolo appartamento di Filadelfia gli sembravano un ricordo rubato a un sogno che non gli apparteneva. Una di quelle immagini che nebulose che rimangono nella testa quando ci si sveglia all'improvviso; ci si sforza per mantenerle salde, ma inevitabilmente si sfaldano pochi minuti dopo, come se neanche fossero mai esistite.

Mentre si rigirava nella scomoda brandina che gli era stata assegnata, riusciva a farsi soltanto una domanda: la sua vita di prima era stata reale o era stata soltanto l'illusione di un sogno? Era impossibile che le sue prospettive potesse cambiare così in fretta e in modo così drastico. Come si poteva passare in meno di ventiquattro ore dall'essere un umile bibliotecario a essere coinvolti con la CIA in un'operazione segreta per salvare la presidentessa degli Stati Uniti?

No, non c'era altra soluzione possibile: la sua situazione attuale doveva essere un sogno. Stava dormendo ancora nel suo comodo letto a Filadelfia e si sarebbe svegliato a momenti, pronto a riprendere la solita routine fatta di giornate immerso tra scaffali cupi e polverosi, inebriato da quel meraviglioso profumo di carta attempata.

Quella notte riuscì a dormire solo poche ore e non visitò alcun sogno.

Quando si svegliò e si ritrovò disteso sul materasso sottile nella fredda base di Annabelle, la sua prima reazione fu quella di sospirare deluso. La realtà, quindi, era proprio quella: la sua vita a Filadelfia era il sogno, quello che non avrebbe mai più potuto raggiungere.

Theresa e zio Darren dormivano in un altro paio di letti piazzati contro le pareti; il respiro pesante di sua sorella era l'unica cosa che rompeva il silenzio di quella sterile camera fatta di metallo gelido.

Una stretta al petto lo avvisò che qualcosa non andava: iniziò a respirare con affanno, annaspando alla ricerca di aria e sgranando gli occhi. Hiss gli fluttuò attorno, sibilando allarmato, come a chiedere aiuto.

Il bibliotecario di Filadelfia strinse il lenzuolo tra le dita e raccolse quanto più ossigeno riuscì a recuperare, chiudendo al contempo gli occhi e cercando di visualizzare nella mente qualcosa di famigliare. La sua scrivania negli uffici della biblioteca, ricoperta da fogli, schedari, registri e libri. Il tavolo del salotto di Pedro invaso da libri di regole e ampi tabelloni ricoperti di griglie esagonali sul quale lui e i suoi amici giocavano la sera, ritagliandosi quei momenti di spensieratezza e di evasione da un mondo troppo monotono e privo di fantasia.

Sentì le spire tiepide di Hiss avvolgersi intorno al braccio mentre il suo amico rettile tentava di dargli il suo silenzioso supporto.

Rimase immobile per qualche minuto, combattendo con la tentazione di sprecare tutta l'aria che aveva raccolto in un lungo grido di frustrazione.

Poi la sensazione d'ansia passò così com'era arrivata, all'improvviso.

Alex rantolò sommesso e si portò la mano al petto, ascoltandosi il battito accelerato del cuore. Sua sorella e zio Darren continuavano a dormire, troppo stanchi per potersi svegliare con così poco.

Lui, invece, non sarebbe più riuscito a chiudere occhio. Era impossibile capire che ore fossero, ma a giudicare dal bruciore sotto alle palpebre il suo sonno doveva essere durato non più di un paio d'ore.

Sbuffò e si mise seduto sul bordo della brandina, recuperando le scarpe che aveva infilato sotto il telaio per infilarsele rapidamente.

Aveva soltanto un modo per riprendersi la vita di prima, e non era certo rimanendo a letto a combattere con gli attacchi di panico. Era l'unico che poteva comunicare con quella donna identica alla presidentessa, l'unico che potesse capire che cosa le stava accadendo. Aveva esitato fino a quel momento per paura, per codardia e perché era certo che non gli sarebbe piaciuto ciò che avrebbe visto nei sogni di Amanda Lawson. Ma, come diceva spesso Pedro quando interpretava il suo saggio sacerdote di livello undici, "gli esseri viventi non sono fatti per vivere nella paura e nell'ignoranza". Non era tutta farina del sacco di Pedro: c'era molto di Dante in quella sua affermazione, ma Alex aveva sempre evitato di farglielo notare, anche se non era mai riuscito a smettere di chiedersi in che modo il suo amico, non proprio un patito della letteratura straniera antica, fosse arrivato a conoscere quel particolare passaggio dell'opera del celebre poeta italiano.

In ogni caso, che fosse il personaggio inventato da Pedro per il gioco di ruolo con gli amici o che fosse il Sommo Poeta, aveva ragione: vivere nella paura conduce soltanto al rimpianto.

Alex aveva avuto paura di molte cose per tanti anni della sua breve vita, ma più passava il tempo più si diceva: "cazzo, però, se avessi avuto il coraggio di osare."

Però non l'aveva avuto: si era limitato a guardare dal ciglio della strada i suoi desideri che si allontanavano a braccetto con altre persone che avevano superato le loro paure.

Beh, non questa volta.

Questa volta non c'era nessun altro che poteva farlo.

Si alzò e uscì dalla stanza facendo slittare a fatica il pannello metallico che fungeva da porta; con un sommesso suono strascicato, la fredda superficie scomparì per metà nel muro, abbastanza da permettere al ragazzo di uscire nel corridoio illuminato che aveva già percorso poche ore prima.

Si richiuse l'ingresso alle spalle, dando un'ultima occhiata alla sua famiglia per controllare che non si fossero svegliati. In fondo al corridoio, sulla destra, c'era la grande porta segreta che nessuno di loro avrebbe mai dovuto varcare, mentre dal limitare del corridoio sulla sinistra proveniva un sommesso parlottare.

Alex raggiunse l'apertura e sporse la testa, titubante, per studiare la sala d'ingresso dove erano stati accolti da Tracy la notte prima: i tavoli erano occupati da una mezza dozzina di persone che chiacchieravano con delle tazze in mano, alcuni mangiando delle fette di pane. L'aria era permeata di un lieve sentore di caffè e di pane tostato che gli fece subito spalancare una voragine nello stomaco.

Una donna di mezza età dalle lunghe orecchie affusolate, seduta non troppo distante dall'ingresso, lo notò e si aprì in un sorriso caloroso.

«Siete già svegli?» chiese, alzandosi dalla sedia e facendogli cenno di avvicinarsi.

Il vociare nella stanza si spense e tutti gli altri si girarono a fissarlo. Erano in tutto sei persone, quattro maschi e due femmine, compresa l'elfa che gli aveva parlato. Gli uomini erano tutti umani, a parte un arcigno nano dalla folta barba nera e dalle sopracciglia unite in un'unica striscia bruna che lo fissava con aria contrariata. Tra di loro non c'erano né Tracy, né Annabelle, né l'uomo che li aveva accolti fuori dal rifugio quella notte.

«Lui non è mica quello che ha tentato di addormentare A.B, vero?» sbottò il nano, corrugando la fronte rugosa.

Alex si guardò alle spalle: forse al buio della sua camera sarebbe stato molto meglio.

«Proprio lui!» ripose l'elfa, consumando in un paio di leggiadre falcate la distanza che la separava da lui.

La donna dal viso gentile e dal mento affilato socchiuse i sottili occhi a mandorla e continuò a sorridere, appoggiandogli una mano sulla spalla. Hiss si ritrasse appena in tempo per evitare di venire toccato.

«Vieni, ti faccio una tazza di caffè.»

Alex seguì l'elfa in mezzo al campanello di persone che lo salutarono con sorrisi cordiali e con una sonora pacca sulla spalla. Non gli piaceva essere toccato dagli sconosciuti e si sarebbe voltato all'istante per scappare in camera da zio Darren se non fosse stato per la mano dell'elfa saldamente piazzata sulla sua spalla.

La donna lo fece sedere al tavolo con lei e uno degli uomini (si erano presentati, ma Alex non aveva proprio fatto caso ai nomi) raggiunse un largo tavolo che era stato allestito con alcune caraffe e cestini di pane. Si era svegliato proprio in tempo per la colazione, il suo stomaco funzionava meglio di un qualsiasi orologio meccanico.

Stava iniziando a convincersi che non era stata una cattiva idea uscire da solo, quando, girandosi, si trovò il volto rabbuiato del nano a pochi centimetri di distanza. Sobbalzò sulla sedia e il respiro si fece rado.

«Hai fegato per essere un umano così giovane,» sentenziò lui, arricciandosi la barba con l'indice e continuando a scrutarlo da sotto le folte sopracciglia. «E che cos'ha fatto Annabelle dopo che hai provato a farla dormire?»

Alex guardò di sottecchi le persone che lo circondavano: sorridevano tutti, ma stavano in silenzio come una platea davanti a uno spettacolo a teatro.

«Beh...» iniziò Alex, dubbioso. «Ha riso.»

Il nano indurì lo sguardo per un istante, poi aprì la bocca ed esplose in una roca risata, portandosi le mani sulla pancia che sporgeva da sotto la camicia.

«Mi piaci, ragazzo, e non lo dico a tutti,» sentenziò il nano, puntandogli un dito tozzo contro il petto.

«E te non piace mai nessuno, Elmund,» commentò l'elfa, appoggiando una tazza fumante davanti ad Alex.

«Stai zitta, racchia!» tuonò lui, e Alex sobbalzò di nuovo. «Questo qui ha fegato e a me piacciono quelli che hanno fegato.»

«Sì, abbiamo capito,» rispose lei, che racchia, tutto sommato, proprio non era.

Alex prese un sorso di caffè e arraffò la fetta di pane abbrustolito che gli avevano portato. Non era certo una delle colazioni più abbondanti che avesse fatto, ma la fame lo aveva sommerso e avrebbe potuto mangiare di gusto anche del carbone.

«Tracy non c'è?» domandò, guardandosi intorno.

Il nano era saltato su una sedia e si era seduto al tavolo con lui, insieme all'elfa che si era presentata come Sheela e a un ragazzo umano, il più giovane tra tutti quelli che aveva visto.

«Sta scrutando la presidentessa,» rispose Sheela, appoggiando i gomiti sul tavolo e intrecciando le dita delle mani.

«Scrutando?» chiese Alex, corrugando la fronte.

«Tracy è una divinatrice,» spiegò l'elfa. «Non di quelli che possono vedere il futuro, lei più che altro è brava nel... sapere le cose.»

«Una grande impicciona, ecco cos'è,» brontolò Elmund. «Sa sempre tutto di tutti e se vuoi tenerle nascosto qualcosa, stai fresco che lei la scoprirà e correrà a fare la spiona da A.B.»

«Quanto rompi, Elmund.» Il ragazzo sospirò e si aggiustò gli occhiali dalle lenti spesse. «Siamo in una situazione precaria che richiede misure drastiche. Se non eri disposto ad accettare compromessi avresti fatto meglio a rimanere a Washington.»

Il nano sbuffò.

«Quei porci al governo sono anche peggio. Annabelle e la sua piccola galoppina vogliono controllare noi, quegli altri mirano a farlo con tutta la nazione. Quello che fanno qui è una porcata, ma è una porcata necessaria.»

«E allora—»

«E allora, Nick, io ho tutto il diritto di lamentarmene quanto mi pare!» sbottò il nano, alzando la voce e sbattendo il palmo sul tavolo.

«Ragazzi, non davanti ai nuovi arrivati,» li ammonì Sheela, pacata. «Lo sapete che Annabelle ci tiene alla nostra immagine.»

Elmund sibilà dalle narici e si alzò, allontanandosi senza salutare.

«Lui è la testa calda del gruppo,» spiegò l'elfa, arricciando le labbra davanti al silenzio di Alex. «Ma è una brava persona.»

Il bibliotecario di Filadelfia annuì e appoggiò la tazza vuota sul tavolo.

«Vorrei vedere Tracy e la presidentessa,» disse.

Sheela e Nick si scambiarono un'occhiata in tralice.

«Ti accompagno,» disse Nick, esibendo una faccia da poker da manuale.

Erano stati tutti molto amichevoli, ma sotto nascondevano qualcosa, se ne sarebbe accorto anche un bambino dell'asilo.

Comunque, ad Alex non importava proprio nulla dei segreti di quel curioso gruppo di persone: voleva trovarsi faccia a faccia con Amanda Lawson e infilarsi nei suoi sogni. "Via il dente, via il dolore", si diceva. E quello era un dente bello grosso di cui non vedeva l'ora di liberarsi.

Alex salutò Sheela e seguì Nick oltre un secondo passaggio che li condusse in un nuovo corridoio che culminava in un semplice ingresso a doppio battente di ferro lucido lasciato aperto.

La stanza in cui entrarono era larga e dal soffitto basso, con una dozzina di letti piazzati con la testata contro le pareti laterali e una serie di lunghi tavoli posti al centro. La prima cosa che gli venne in mente fu che quell'ambiente dovesse essere l'infermeria o un equivalente molto raffazzonato, e le vetrinette piazzate negli angoli piene di boccette e scatole bianche rafforzarono quella teoria, così come il fatto che tutti i letti fossero vuoti, eccetto quello occupato dalla presidentessa. Seduta accanto a lei c'era Tracy: reggeva la mano inerme di Amanda Lawson e teneva il capo chinato in avanti, come fosse in preghiera.

Però non stava pregando: i filamenti magici esplodevano dal suo corpo come minuscoli tentacoli che si agitavano nell'etere.

«Che sta facendo?» chiese Alex in un filo di voce.

Nick si mise a braccia conserte e inclinò la testa di lato, quasi a studiare la piccola sagoma della gnoma.

«Non hai mai ricevuto un'istruzione arcana, vero?» chiese.

Alex alzò il sopracciglio e Hiss sibilò.

«Siamo orfani, non ricconi raccomandati,» rispose. «Dobbiamo ritenerci fortunati se abbiamo avuto un posto dove vivere.»

Nick annuì.

«Già, lo immaginavo,» disse, con una nota di rammarico a colorirgli la voce. «Tracy sta usando degli incantesimi per cercare di raggiungere l'anima della presidentessa. Come ti dicevamo prima, lei è abile nel trovare le persone e scoprire le cose, qualsiasi cosa. Non credo che sia un compito semplice, comunque.»

«Credo di poterla aiutare,» disse Alex.

Nick ridacchiò e scosse il capo.

«Io non penso, ma fai pure,» replicò. «Se hai voglia, vediamoci più tardi. Posso insegnarti qualcosa.»

Alex corrugò la fronte e si girò a guardare il ragazzo.

«Insegnarmi qualcosa... sulla magia?» chiese, dubbioso.

Lui annuì.

«Non penserai mica di poterci aiutare con le tue attuali capacità? Hai bisogno di qualcuno che ti mostri che cosa la magia sia in grado di fare. È notevole che tu riesca a padroneggiare quello che fai, soprattutto tenendo conto del fatto che non hai mai avuto un'istruzione vera, ma la magia è molto di più. Manipoli un granello di polvere rispetto a quello che potresti ottenere.»

Alex guardò Hiss con la coda dell'occhio: il rettile etereo fissava Nick e sembrava molto assorto e concentrato su quello che il ragazzo stava dicendo.

In fondo non era proprio vero che non aveva avuto alcuna istruzione: Hiss era stato il suo maestro, per un certo verso. Lo aveva guidato nei sogni, gli aveva mostrato che poteva spingersi sempre più in là nel reame onirico. Però forse Nick aveva ragione: gli avrebbe fatto comodo essere guidato da un insegnante che gli poteva mostrare degli incantesimi diversi da quello che usava inconsciamente per far dormire le persone. Sì, sarebbe stato davvero figo imparare a fare qualcosa di diverso, sbloccare il suo potenziale. Poteva diventare un mago vero e non un semplice ragazzo che usa a caso una scheggia di un potere più grandi di lui. Cazzo, Theresa lo avrebbe riempito di botte se l'avesse scoperto.

«Va bene,» ripose Alex.

Nick gli sorrise e annuì, poi fece un cenno verso Tracy.

«Buon divertimento, ci vediamo dopo.»

Lo salutò e lasciò la stanza, i suoi passi sul metallo risuonavano lungo il corridoio, sempre più lontani.

Alex percorse lento i pochi metri che lo separavano da Tracy e dalla paziente speciale. Man mano che si avvicinava, notò l'energia arcana intorno alla gnoma indebolirsi fino a scomparire; l'unica traccia di magia nella stanza rimaneva l'aura occulta, oscura e opprimente che circondava la presidentessa.

«Buongiorno, Alex,» lo salutò il braccio destro di Annabelle, senza voltarsi.

«Buongiorno,» rispose lui, titubante. «Volevo—»

«Entrare nei sogni di Amanda. Sì, lo so,» lo interruppe lei.

Elmund aveva ragione: era davvero un'impicciona irritante.

Il ragazzo alzò il sopracciglio e si schiarì la voce.

«L'ho già incontrata in un sogno, qualche giorno fa. Credo di poterlo fare di nuovo.»

Tracy si girò a guardarlo per la prima volta. Il viso era pallido, le labbra piegate verso il basso e le palpebre abbassate per metà a nascondere la sclera striata di rosso. Era ovvio che avesse dormito anche meno di lui.

«Io non ci ho cavato nulla.» Sospirò e si massaggiò la radice del naso. «È circondata da un'aura arcana che cela la sua coscienza a ogni scrutamento arcano. Sono riuscita soltanto a capire che è stata colpita da un potentissimo sortilegio, ma non ho idea di quale. Qualcosa che non ti insegnano all'università, senza dubbio. La tiene in questo perenne stato di incoscienza con il corpo e le funzioni vitali sospese: non ha bisogno di mangiare o di bere, è come ibernata nel tempo.»

Hiss serpeggiò nell'aria e si posò sul lenzuolo bianco che copriva il corpo della presidentessa, la testa alzata protesa in avanti a studiarne con curiosità i lineamenti del viso. Non vedeva l'ora di entrare in azione; al contrario di Alex, che aveva una paura fottuta.

«Non mi è molto chiaro che cosa tu sia capace di fare,» proseguì la gnoma, scrutandolo dal basso. «Sai far addormentare le persone, e quello è un banale incantesimo di sonno magico che non mi spiego come tu abbia potuto imparare da solo. Ma entrare nei sogni delle persone è tutto un altro discorso... è come un viaggio nella dimensione onirica, ma anche i maghi più potenti hanno difficoltà a separare la coscienza e proiettarla in altri piani della realtà.»

Beh, era lusinghiero, per un certo verso.

Se avesse avuto delle spiegazioni, Alex non avrebbe esitato a fornirgliele: anche a lui sarebbe piaciuto capire da dove arrivavano le sue capacità.

Guardò il serpente dalle spire celesti e la testa che ondeggiava sinuosa. Doveva essere lui la fonte del suo potere, non c'era alcun dubbio. Tutto era iniziato con lui, con l'arrivo di quello strano essere nei suoi sogni, la prima notte all'orfanotrofio.

Era normale, prima. Un normalissimo orfano senza famiglia.

«Lasciami provare, per favore,» insistette Alex, avvicinandosi al bordo del letto e sfiorando la mano inerte di Amanda Lawson con la punta dell'indice.

Tracy saltò giù dalla sedia e si allontanò di un passo, facendo un plateale cenno con la mano aperta.

«Prego: il palcoscenico è suo,» annunciò.

Alex prese il posto lasciato libero dalla gnoma e ignorò il suo sorrisetto sardonico. Non aveva conosciuti tanti maghi muniti di licenza ufficiale, ma quei pochi gli erano sempre sembrati arroganti e pomposi. Tracy, malgrado fosse una fuorilegge come lui, non era diversa: lo fissava dall'alto della sua bella laurea, ben appollaiata sulla pila di conoscenza che altri sontuosi accademici le avevano elargito. Non sarebbe mai arrivato da nessuna parte secondo loro e fino a pochi giorni prima anche lui sarebbe stato d'accordo: non era altro che un nessuno, un mediocre bibliotecario di Filadelfia con un dono che non gli sarebbe servito a nulla, incapace di ottenere qualsiasi cosa avesse mai sognato.

La verità era diversa, invece: il mediocre bibliotecario di Filadelfia era tutto ciò che lui sperava di essere, niente di più e niente di meno. Non aveva mai voluto quelle capacità, né il potere di guardare nella testa della presidentessa degli Stati Uniti o di fare viaggi che neanche potenti maghi riuscivano a compiere. La sua vita gli era sempre piaciuta e lui non desiderava nulla di più del lavoro, le serate dedicate al gioco di ruolo fantascientifico con gli amici, la sua famiglia, la cotta segreta per la collega dell'ufficio archivi... non aveva bisogno d'altro.

Ma in quella settimana aveva dovuto scontrarsi con la realtà dei fatti: lui era qualcosa, qualcosa di grosso e importante, di risolutivo. Lui avrebbe dovuto mettersi in prima linea, perché gli uomini che detengono il potere non si nascondono come ratti tra gli scaffali polverosi della Free Library di Filadelfia.

Alex era un orfano di umili origini che viveva in un umile appartamento che poteva permettersi grazie al suo umile lavoro, ma avrebbe avuto successo dove i più potenti maghi si erano arresi. Questa era la sua identità, la sua essenza. La sua realtà.

Toccò la mano tiepida di Amanda Lawson e chiuse gli occhi. La magia gli si presentò come un formicolio nelle braccia, come un torrente frizzante nelle vene che gli fece ribollire il sangue e accapponare la pelle.

La connessione fu più potente che mai e in un istante Alex si ritrovò nel sogno.




Il panorama gli era famigliare: era di nuovo nello spazio profondo e freddo, la gigantesca palla di fuoco giallo che illuminava la Terra bruciava in lontananza ed espandeva la sua luce fino a lui.

Alex aveva letto che nello spazio i suoni non si propagano, ma quello era un sogno, altrimenti non si sarebbe spiegato l'eco lontano di una musica soffusa che riempiva il vuoto siderale.

«Era davvero il suo sogno, allora,» commentò, camminando nel nulla circondato da stelle luccicanti.

«Un po' troppo monotono per i miei gusti,» fece Hiss, laconico. «Però l'altra volta non c'era la musica. Dev'esserci una festa, da qualche parte.»

Alex percorse qualche passo prima in una direzione e poi nell'altra, nel tentativo di capire da dove arrivasse quel suono così fuori luogo.

S'incamminò in direzione della Terra che scintillava in lontananza, crogiolandosi pigramente nella luce del Sole. Un solo passo equivale a centinaia di miglia. Il pianeta blu si faceva più vicino e la musica sempre più intensa: era una chitarra e una voce calda accompagnava la melodia. Alex la conosceva, aveva sentito alcuni cantanti riproporre quel brano del famoso cantante vissuto chissà quanti secoli prima.

«Ah, Elvis, che artista!» esclamò Hiss, serpeggiando nel vuoto a pancia in su. «Adoro i suoi pezzi, non ce n'è uno che non mi piaccia.»

«Di preciso, quanto sei vecchio tu?» chiese Alex, osservando in tralice il suo rettile.

«Che cosa poco cortese da chiedere a un serpente,» sibilò lui, canzonatorio.

«Conosci tante cose, anche di molto tempo fa. È una domanda che sorge spontanea.»

Hiss sbuffò.

«Pensiamo alla presidentessa, non alla mia età, che ne dici?»

Fu forse per la natura metafisica di quella realtà, ma ad Alex fu sufficiente pensare al viso di Amanda Lawson per sentirsi catapultato in avanti a velocità impossibile. In un battito di ciglia furono sopra la Luna, mentre le note del celebre cantante senza tempo rimbombavano nello spazio aperto come se intonate da un coro di milioni di voci.

Davanti a loro fluttuava Amanda Lawson: ballava a tempo di musica e si faceva rigirare tra le dita un sasso fluorescente che emanava un curioso colorito verdastro. Sembrava Kryptonite, a prima vista.

«But i got wise,» cantò la presidentessa, scuotendo la lunga chioma ramata.

Il viso era pallido e inespressivo, gli occhi chiari puntati fissi su Alex. Sembrava un cadavere canterino, con quelle pupille prive di vita.

«You're the devil in disguise,» proseguì Amanda, mentre la chitarra invisibile lasciava espandere le sue note nello spazio.

«Oh yes you are!» le fece eco Hiss, ondeggiando a tempo di musica.

«Devil in disguise,» rispose Amanda.

Aveva una bella voce ed era molto intonata; Alex avrebbe potuto ascoltare quel curioso duetto anche per ore intere se soltanto l'intera situazione non fosse stata così inquietante.

«Mh-mh,» canticchiò Hiss, seguendo la melodia.

«Dai, basta!» lo richiamò Alex, sfiorandogli la punta della coda.

«Perché? Adoro questa canzone!»

«Fai il serio. Dobbiamo parlarci, non farci un musical insieme,» sbottò il bibliotecario di Filadelfia.

In condizione normali si sarebbe unito alla danza insieme al suo amico serpente, ma quella era tutt'altro che la normalità. Cazzo, quella era la presidentessa degli Stati Uniti d'America, o la sua gemella, o un suo clone... e si sognava nuda mentre ballava nello spazio sulle note di Elvis Presley? Non sapeva davvero se prenderla a ridere o se farsela addosso.

Alex si fece avanti e provò a protendere la mano verso la sagoma pallida di Amanda.

«Presidentessa Lawson, mi sente?» chiese, incerto.

«You're not the way you seemed,» rispose lei, muovendo i fianchi e lanciando in aria la pietra.

Brillò nello spazio unendosi al manto stellato che li circondava e le ricadde sul palmo della sinistra.

«Certo,» fece Alex, laconico.

La donna continuò a cantare, ancheggiando e lanciando in aria il sasso brillante.

Alex non trovò altro da fare se non rimanere immobile a osservare la scena, sforzandosi di ignorare Hiss che continuava a cantare alle sue spalle. Era la cosa più strana e inquietante che avesse mai visto in uno dei suoi viaggi onirici.

Ammesso che quello fosse un sogno normale, e di sicuro non lo sembrava. Non c'erano le classiche immagini caotiche e incredibili, niente mescolanza di suoni, colori e odori; niente panorami illogici ritagliati da frammenti di realtà incollati insieme. Solo lo spazio infinito, la Terra sotto di loro, la presidentessa ballerina, il sasso verde, la canzone di Elvis.

La canzone si ripeteva all'infinito, strofe e note sempre uguali reiterate per l'eternità, ma ad Amanda non sembrava importare e continuava a cantare e ballare come se nulla fosse. Pure Hiss si stancò di starle dietro dopo qualche ripetizione del ritornello e si afflosciò, stanco, sulla spalla del suo amico umano.

«Va bene, dobbiamo fare qualcosa,» sussurrò il serpente dalle spire luccicanti.

Alex annuì e tornò alla carica con maggior veemenza. Si spinse in avanti, alzò le mani e afferrò i polsi della presidentessa.

«Signora Presidentessa, mi deve ascoltare,» le urlò, avvicinando il volto al suo fino a qualche centimetro di distanza.

«Heaven help me, I didn't see,» replicò lei.

Fissava un punto indistinto alle spalle di Alex con volto inespressivo.

La pietra verde stava volteggiando in aria sopra le loro teste e iniziò a cadere con una lentezza allucinante, come se solo in quel momento si fosse accorta di dover rispettare le leggi del vuoto spaziale e della mancanza di gravità.

Il sasso misterioso fluttuò tra i loro occhi e rimase lì, a frapporsi fra Alex e la presidentessa.

«The devil in your eyes,» intonò Amanda, osservando qualcosa dietro di lui.

In quel momento, Alex si sentì spingere indietro: una forza brusca e violenta lo afferrò per le spalle e lo tirò all'indietro, allontanandolo dalla presidentessa.

Gridò e dimenò le mani in avanti per provare ad afferrarsi a qualcosa: le dita gli si chiusero sulla superficie liscia e tiepida della pietra verde.

Sentì un lungo boato e poi il suono secco di uno strappo, come se qualcuno avesse aperto a forza un grosso squarcio nel tessuto onirico che lo circondava.




Urlò e si risvegliò sulla sedia accanto al letto di Amanda Lawson. Aveva la bocca spalancata e il viso imperlato di goccioline di sudore, e Tracy gli aveva afferrato il braccio e lo stava scuotendo con forza chiamando il suo nome.

«Ehi, stai bene?» strillò la gnoma, continuando a strattonarlo.

«Sì,» rispose lui, flebile.

Gli tremavano le braccia e aveva entrambe le mani strette a pugno.

«Cazzo, mi hai fatto prendere un colpo!» esclamò lei, portandosi una mano al petto. «Sembravi dormire, ma hai iniziato a urlare fortissimo e tremavi come una foglia.»

«Mi spiace,» disse il ragazzo. «È stato tutto troppo strano e...»

Aprì la mano destra per pulirsi la faccia dal sudore, ma si ritrovò a fissare la pietra verde del sogno di Amanda: giaceva sul suo palmo aperto ed emanava un curioso bagliore verdognolo. Era tiepida come un uovo covato per giorni interi.

«Oh,» fece, interdetto.

Hiss era ancora acciambellato sulle lenzuola, ma aveva alzato la testa e i suoi brillanti occhietti scrutavano il sasso. Era immobile come un animale impagliato, ma il luccichio sinistro che gli pervadeva lo sguardo era fin troppo chiaro.

«Che cos'è?» chiese Tracy, guardando prima la pietra, poi il ragazzo.

Non riuscì a risponderle.

"Oh" ful'unico suono che riuscì a emettere per gran parte della giornata, chiuso in séstesso a riflettere su cosa potesse essere accaduto nel sogno di Amanda Lawson.

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