Capitolo 21 - L'arma segreta di Annabelle

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Jacob aiutò Amanda Lawson a sistemarsi sulla sedia a rotelle dal telaio metallico che la gnoma aveva spinto nell'infermeria.

La presidentessa era leggera come un fuscello e le sue gambe erano così sottili che il federale temeva avrebbe potuto spezzarle soltanto con un po' più di forza. Era stata tenuta in vita dalla magia, da quello che avevano detto, ma neanche la magia poteva rimpiazzare il nutrimento, e il tenore muscolare aveva risentito in modo evidente di quei mesi di prigionia forzata.

«Dovrebbe mangiare qualcosa,» disse Darren, dando voce ai pensieri di Jacob, dopo aver osservato con occhi attenti il fisico scheletrico della donna.

Annabelle si limitò ad annuire.

«Ho già dato disposizioni, ma prima voglio che li vediate.»

«Cosa?» chiese Jacob, spostandosi dietro alla sedia.

Lei inclinò la testa e si aggiustò una ciocca dietro l'orecchio.

«Niente spoiler,» intimò, ondeggiando il dito davanti al volto. «Non ci metteremo molto, tempo di fare una passeggiata di sotto.»

Lei lo superò e si avviò verso l'uscita del lungo stanzone. Jacob incontrò lo sguardo di Darren per una manciata di secondi, ma fu più che sufficiente: non si era mai piaciuti, loro due, ma sarebbero stati pronti entrambi a mettere da parte loro divergenze per fare fronte comune contro di lei.

Sarebbe stato molto bello avere la libertà di mandare all'inferno Annabelle e il suo senso di superiorità, ma, purtroppo, quella stronza era l'unica garanzia che Jacob avesse per mettere in salvo sua moglie. Aveva promesso, dopotutto: aiuto in cambio di aiuto, e lui era un uomo di parola.

Annabelle non gli piaceva proprio. Provava una repulsione atavica per le sue parole, così troppo cordiali da trasudare ipocrisia a ogni sillaba. Avrebbe tanto voluto girarsi e prendere la porta di quel tumulo fatto di metallo e tornarsene a Washington a gambe levate; nient'altro lo avrebbe reso più felice di poter correre da Claire, abbracciarla, baciarla e stringerla a sé.

Quando era partito per Elizabeth City per stare qualche giorno con sua madre, non si erano separati nel migliore dei modi: lui era stato sospeso dal Bureau perché aveva ammazzato un uomo come un maiale, e lei... beh, lei era molto sensibile sull'argomento; a ragion veduta, tutto sommato. Si era ritrovata imprigionata in un matrimonio con un uomo che non avrebbe mai potuto creare delle nuove vite, e che aveva anche iniziato a spegnerle. Jacob non avrebbe potuto biasimarla se si fosse trovato in mano le carte del divorzio non appena avesse rimesso piede in casa. Non l'avrebbe biasimata e non si sarebbe neanche stupito della cosa: non aveva fatto che deluderla, sempre e in ogni cosa.

E ora l'aveva pure messa in pericolo di vita.

Strinse le mani intorno al manubrio della sedia e la spinse in avanti per seguire i passi della loro misteriosa ospite.

Si sarebbe dovuto far perdonare un'infinità di cose, ma dubitava davvero che ne sarebbe stato capace. Dopo una vita passata ad amare di più il lavoro piuttosto che la famiglia, come poteva sapere di cosa aveva bisogno per fare ammenda con Claire? Era davvero capace di amare lei quanto aveva amato il Bureau?

Uscirono nel corridoio in silenzio, il suono dei passi e lo stridio delle ruote dello scomodo trasporto della presidentessa erano gli unici rumori che risuonavano tra le pareti grigie. Nella sala comune del covo trovarono soltanto due uomini in abiti borghesi che li squadrarono senza dire nulla, occhieggiando principalmente verso Amanda Lawson. Alex li salutò alzando la mano, e quelli ricambiarono nello stesso modo.

Annabelle li condusse lungo un secondo corridoio, oltrepassando una serie di porte chiuse e alcune aperte, oltre le quali l'ex federale riuscì a scorgere quelli che sembravano essere laboratori improvvisati o piccoli uffici ricolmi di tavoli da lavoro.

Era forse dovuto alla stanchezza (dopotutto non dormiva davvero da fin troppe ore), ma Jacob si chiese soltanto in quel preciso frangente che cosa Annabelle e i suoi uomini stessero facendo lì. Di loro sapeva soltanto quel poco che Darren gli aveva accennato e altre scarse informazioni che aveva intuito dai loro discorsi, ma che cazzo ci stavano facendo degli agenti della CIA insubordinati in uno scantinato dimenticato dagli dei sotto Elizabeth City?

La sua curiosità sarebbe stata soddisfatta nel giro di poco, ma gli fu impossibile scacciare quella sensazione di disagio che si faceva via via sempre più pressante mentre spingeva la presidentessa dietro Annabelle e le grosse porte metalliche in fondo al corridoio si facevano più vicine e imponenti. Ricoprivano tutta la parete e gli ricordarono l'ingresso del cannone accanto al quale era entrato insieme agli agenti, il giorno prima; avevano un aspetto massiccio e antico, come i blocchi di pietra che gli antici egizi piazzavano davanti agli ingressi dei sepolcri dei loro faraoni. Che maledizione si sarebbe abbattuta su di loro, una volta aperte?

Annabelle si fermò a un paio di passi dai battenti di metallo scuro e li studiò per un istante, come stesse ponderando come fare per aprirli, poi alzò entrambe le mani davanti al volto e un pesante sferragliare stridente si dipanò nel corridoio, pungendo le orecchie di Jacob e dei suoi compagni. Come due grosse fauci, il portone si spalancò e le due paratie metalliche che lo componevano iniziarono a slittare di lato, strusciando contro il pavimento e scomparendo all'interno delle pareti del corridoio; dall'altra parte non si vedeva altro che oscurità, e un alito di vento gelido sfuggì all'esterno, sferzando Jacob che rabbrividì.

«È terrificante,» squittì Theresa, dietro di lui.

Annabelle fece una risatina civettuola.

«Non preoccupatevi, non c'è nulla che vi potrà nuocere là sotto.»

Jacob scrutò la coltre di oscurità oltre il passaggio appena aperto e si mordicchiò il labbro. Non doveva preoccuparsi, eh? Perché quelle raccomandazioni, dette da lei, gli causavano l'effetto contrario?

«Scendiamo,» spiegò Annabelle, facendo volteggiare la mano nell'aria e generando un globo di luce candida che prese a fluttuarle sopra la nuca. «C'è l'ascensore, ma non funziona, quindi dovremo fare le scale.»

E pensava anche di fare la simpatica. Pensava che sarebbe bastata una battuta da quattro soldi per metterli a loro agio? No, era più probabile che quella stronza volesse ottenere l'effetto contrario. Beh, ci stava riuscendo alla grande.

La donna in rosso fu la prima a oltrepassare il varco, e la sua torcia magica illuminò un passaggio di un paio di metri che terminava contro una parete di gelido metallo scuro su cui si apriva il telaio di una piccola porta sprovvista di battente e, accanto, una paratia dalla colorazione più chiara e dalle dimensioni più evidenti; se non fosse stato per la sfumatura diversa, sarebbe stata impossibile distinguerla dal resto del muro.

«Usiamo le scale,» disse Annabelle, indicando il piccolo passaggio. «Posso portare io la presidentessa, è solo qualche rampa.»

Senza attendere alcun cenno di assenso da parte dei suoi compagni, Annabelle puntò il dito contro la silenziosa Amanda Lawson e, subito, la sedia a rotelle prese a fluttuare a qualche centimetro dal pavimento. La presidentessa si aggrappò ai braccioli come un marinaio alla murata di una scialuppa in preda a una tempesta, e scoccò una fugace occhiata indietro, in una tacita e istintiva richiesta d'aiuto.

«Non temere, signora Presidentessa,» disse la donna in rosso, esibendo una sottile vena canzonatoria. «La mia presa è molto salda, non ti farò cadere.»

«Lo spero bene,» ribatté lei, piccata. «Svegliarsi dopo mesi di coma e poi rompermi l'osso del collo sarebbe proprio ridicolo.»

Jacob sentì Darren soffocare a stento una risatina e si limitò a rifilargli un'occhiataccia sdegnata; la Presidentessa doveva essere ancora in shock dopo il brusco risveglio che aveva subito, un po' di empatia nei suoi confronti sarebbe stata quanto meno apprezzabile!

Annabelle fece fluttuare il globo di luce fredda in avanti, oltre la porta che, e illuminò un breve pianerottolo da cui partiva una ripida scala chiocciola di metallo che scendeva verso il basso, lungo un vano verticale asettico e dalle pareti grigiastre.

Iniziò a scendere gli scalini, portandosi dietro la sedia fluttuante che ospitava la donna più potente del paese; Jacob la seguì subito, tenendosi il più vicino possibile alla presidentessa in modo da poter intervenire in caso di necessità. I gradini cigolavano in modo sinistro a ogni movimento: minacciavano di potersi incrinare sotto il loro peso e di lasciarli cadere nel buio abisso sotto di loro, così profondo che la luce magica della donna in rosso non riusciva a illuminarne la fine.

Quanto stavano scendendo? Che cazzo poteva nascondere Annabelle così in profondità? Anzi, la domanda corretta era molto più spaventosa: che cosa aveva trovato?

Quel posto era un'installazione precedente alla fine della guerra, forse un bunker segreto usato dall'esercito o da qualche organizzazione paramilitare; qualunque cosa si trovasse la sotto, in mezzo al buio e al freddo avvolgente, non sarebbe stato nulla di bello. Che bisogno ci sarebbe stato di nasconderlo là sotto, altrimenti?

Scesero lentamente, con Annabelle che sembrava tastare ogni gradino prima di poggiarci i piedi in via definitiva. Non aveva tenuto conto dello scorrere del tempo, ma Jacob era sicuro di essere rimasto sulla scala chiocciola per più di un minuto; non dovevano essere scesi di molto, comunque, data la lentezza con cui la loro guida procedeva.

Fu proprio quando stava per chiedersi quanto ancora avrebbero continuato che la torcia magica illuminò il fondo del vano che stavano percorrendo. La scala chiocciola terminava proprio davanti a un angusto telaio rettangolare che fungeva da unica uscita verso un nuovo ambiente, anch'esso ricolmo di oscurità profonda. Faceva quasi freddo e l'aria intorno a loro era viziata e permeata dello stesso odore di vecchio che Jacob aveva dovuto affrontare quando aveva aperto il bagno di servizio a casa di sua madre, quello che l'anziana Agnes aveva smesso di utilizzare da chissà quanti anni.

«Signorina Foster, io credo che delle spiegazioni siano doverose,» disse la presidentessa, categorica.

«Ormai ci siamo,» rispose lei, affiancandosi all'apertura nella parete e facendo un lieve cenno con la testa. «Su, entrate!»

«È buio pesto lì dentro!» protestò Darren. «Entra prima tu, o manda avanti la luce.»

Annabelle ridacchiò, portandosi la mano davanti alla bocca in un gesto che ricordava una nobildonna in una corte regale europea di secoli passati.

«E rovinarmi un meraviglioso effetto sorpresa? Dovreste averlo capito, ormai, che amo le rivelazioni teatrali.»

«Pazza furiosa,» sibilò il cacciatore di taglie a denti stretti.

Alex fece un passo in avanti, ma la mano del suo zio adottivo scattò verso di lui e gli afferrò la spalla.

«No,» disse. «Vado io.»

Jacob scrollò le spalle in segno d'assenso: se voleva essere lui il primo a mettere piede nella stanza dell'oscurità, non sarebbe certo stato lui a impedirglielo.

Il mezzelfo esitò soltanto un secondo, poi sbuffò, appoggiò le mani sulla cintura e oltrepassò il passaggio con un movimento titubante, indugiando poco oltre la soglia.

«Fermatevi subito dopo essere entrati,» si raccomandò Annabelle, esibendo sempre quel sorrisino irrisorio di merda che Jacob avrebbe voluto farle sparire dalla faccia a colpi di pistola.

Darren si spostò di lato per permettere ai nipoti di seguirlo.

«Fa un freddo cane,» protestò Theresa, mentre Jacob prendeva un profondo respiro e li seguiva oltre il vano vuoto.

Faceva freddo, sì, e non si vedeva niente. Il silenzio e il buio che lo circondavano lo rigettarono indietro di un giorno, e si ritrovò con la mente nello stanzino del cannone nel quale i suoi vecchi colleghi del FBI lo avevano lasciato a morire di stenti o a diventare pazzo. Sì, la sensazione di disagio era identica.

Prima che il federale potesse cambiare idea, Annabelle fece fluttuare Amanda Lawson dietro di loro e, infine, fece il suo ingresso nel nuovo ambiente, illuminando una buona porzione della stanza con la sua sfera lucente.

La luce non era abbastanza forte da rischiarare tutto l'ambiente, ma ciò che si rivelò alla loro vista fu sufficiente per far venire il mal di stomaco a Jacob. Sentì Theresa soffocare un gridolino e Alex trattenere il fiato, e un brivido sinistro gli fece rizzare i peli sulle braccia.

A pochi passi da loro c'era una fila di statue di metallo a forma umanoide. Erano alte almeno due metri e i loro contorni era squadrati e grezzi, come se fossero state create con cubi di ferro grezzo più che per mezzo di un'attenta lavorazione. I loro volti erano lisci e amorfi, se non per due ovali vuoti a simulare una parvenza di occhi umani.

Mettevano i brividi, nella loro immobile presenza. La fila procedeva a destra e a sinistra oltre la linea di luce e, per quel che ne sapevano, poteva proseguire all'infinito. Alle spalle della prima fila di statue ce n'era una seconda, e poi una terza e, aguzzando la vista, Jacob ne scorse una quarta, appena illuminata.

Era come il celebre esercito di terracotta cinese, ma con i soldati fatti di metallo opaco. Però, pensandoci, la funziona di quegli affari doveva essere molto diversa: Jacob dubitava che qualcuno si fosse preso la briga di costruire decine di statue e di nasconderle sotto terra soltanto come omaggio a quel celebre reperto di due secoli prima.

«Merda,» sussurrò Alex con voce roca.

«Che cosa sono questi aggeggi?» chiese Darren, voltandosi a cercare la donna in rosso.

«Soldati robotici,» rispose Alex. «Costruiti durante l'ultima guerra per sostituire i soldati... veri.»

Jacob fece un passo indietro e colpì la parete gelida con le spalle.

«Si muovono?» chiese Theresa con tono tremolante.

«Si muovevano,» disse Annabelle, intromettendosi brusca nel discorso. «Per le ragioni che tutti quanti conosciamo, non si possono muovere. Non funzionano da oltre un secolo e sospetto che non siano mai stati impiegati davvero.»

«Credevo non ce ne fossero più,» disse Alex. Sembrava più affascinante che spaventato, al contrario di tutti gli altri presenti.

«Già prima della fine della vecchia tecnologia non ne esistevano molti esemplari, credo soltanto qualche migliaio,» spiegò la donna in rosso. «Erano stati progettati e sviluppati per essere utilizzati sul territorio nazionale, una sorta di corpo di guardia speciale per la difesa degli obiettivi sensibili. Non è un caso, se ci pensate, che ce ne sia un plotone nascosto qui.»

«Proteggevano il cannone?» chiese Alex, scrutando di sottecchi la donna in rosso.

Lei annuì vigorosamente.

«Questo posto e il mio nascondiglio sono collegati al cannone di Elizabeth City... a quello che ne resta, ormai. Sotto la città e sotto il fiume scorreva un'intricata rete di cunicoli sotterranei che collegano tutte le installazioni militari che sono state costruite in segreto qui intorno durante la guerra. Mi è stato impossibile esplorare tutti i passaggi, ma sono sicura che ne, cercando bene, ne troveremmo uno che conduceva al relitto del cannone, o almeno a una qualche sezione sotterranea.»

«E questo che cosa c'entra con noi?» chiese Jacob, a bruciapelo.

Annabelle si schiarì la voce e guardò di sottecchi Amanda, sprofondata in un cupo silenzio.

«Lo sapete che io e la mia equipe stavamo studiando un modo per usare la magia per come fonte di energia alternativa per far funzionare l'antica tecnologia.» Incrociò le braccia sotto il seno e si appoggiò con la spalla vano vuoto dell'ingresso. «È un risultato semplice da ottenere: la magia è una forma di energia e come tale può essere rimodellata per fungere da fonte di alimentazione. Ciò che è difficile, invece, è usare la magia per sovrascrivere in modo selettivo l'incantesimo che spegne la tecnologia su tutto il pianeta. Per fare un esempio: al momento siamo capaci di alimentare una vecchia lavatrice, ma non possiamo comunque farla funzionare a causa dell'incantesimo che l'antenato della presidentessa ha lanciato.»

Jacob corrugò la fronte e si girò a studiare Amanda Lawson: era scura in viso e teneva le labbra serrate, strette in modo spasmodico. Tutti quanti stavano arrivando alla inesorabile conclusione e le intenzioni della loro misteriosa ospite si stavano facendo evidenti.

«Sono arrivata a una procedura teorica. Diciamo che sulla carta sarei in grado di prendere uno di questi robot e farlo muovere, escludendolo quindi dall'incantesimo.» La donna in rosso fece un sospiro affranto e scosse il capo. «Solo in teoria, però. Il rituale lanciato un secolo fa è potente e complesso, e aggirarlo richiederebbe un dispendio di forze arcane davvero considerevole. Il mio team sta continuando a sperimentare e studiare nuovi metodi e non ho dubbi che, prima o poi, troveremo una maniera per farlo con facilità, ma prima o poi potrebbe essere troppo tardi.»

«So dove vuoi arrivare,» sbottò Amanda Lawson. «Te lo dico subito per evitare di farti perdere del tempo: no, non lo farò mai.»

Darren fece un sospiro tremulo, forse di sollievo?

Il sorriso di Annabelle si tramutò nella smorfia di chi ha appena addentato un limone ammuffito.

«Davvero, Amanda?» chiese, scandendo le sillabe. «Pensavo che volessi riprendere il tuo posto a Washington.»

«Lo devo fare, il fatto che lo voglia è irrilevante,» rispose la presidentessa, corrugando la fronte, «ma non intendo ottenere questo risultato con la forza.»

Stese il braccio e indicò il robot più vicino.

«Men che meno intendo farlo con questi... strumenti.»

«La parola che cercava è armi,» intervenne Darren, incrociando le braccia sul petto. «Molto pericolose, oltre tutto.»

Theresa aveva gli occhi spalancati e lucidi e stava fissando in silenzio Annabelle da qualche minuto.

«Pensavi davvero di usare questi cosi?» domandò, con voce più acuta del normale. «C'è un motivo se sono stati sepolti qui!»

«Questi cosi sono il nostro biglietto vincente,» protestò la donna in rosso, aspra. «Vi rendete conto che noi siamo un manipolo di fuorilegge che stanno per combattere contro una nazione? Abbiamo bisogno di qualsiasi strumento possibile.»

«Io non intendo combattere contro nessuna nazione!» esclamò Amanda Lawson. «Io sono la presidentessa e intendo tornare alla mia carica senza spargere sangue o creare disordini interni.»

«Ti devo correggere, purtroppo,» fece Annabelle, socchiudendo gli occhi. «La tua gemella è la presidentessa. La polizia federale, i servizi segreti, l'esercito, il resto del governo e il popolo appoggiano lei. Lei comanda, non tu. Tu sei una ricercata sfuggita dalle grinfie del FBI; pensi di potertene tornare a Washington come se nulla fosse? Pensi di poter bussare alla casa bianca e riprendere la tua poltrona nello studio ovale senza calpestare qualche piede?»

«Calpestare qualche piede?» sibilò la presidentessa, protendendosi in avanti sulla sua sedia. «Usare queste armi per conquistare Washington con la forza sarebbe calpestare qualche piede, per te? Che fine ha fatto la democrazia?»

«Beh, non è stata la democrazia a metterti in coma e a dare la poltrona alla tua gemella,» commentò Darren, alzando le sopracciglia.

Jacob fece una smorfia e fulminò il mezzelfo con un'occhiataccia, e Theresa fece lo stesso.

«Questo è innegabile,» rispose la presidentessa, squadrando il mezzelfo da capo a piedi come fosse la prima volta che lo vedeva. «Ciò non toglie che io abiuri la violenza con grandissima convinzione e non calpesterò i miei princìpi soltanto perché i miei avversari sono privi di scrupoli.»

«Sono d'accordo!» esclamò Theresa, battendo i palmi delle mani. «C'è sempre una soluzione alternativa, e Deladan insegna che la via per la vera bellezza passa attraverso lunghe tribolazioni.»

«Non stiamo parlando di religione, Thera,» mormorò Alex, scuotendo il capo. «Sta per scoppiare una guerra con l'Europa, te ne rendi conto? Sono sicuro che anche Deladan passerebbe dalla via più semplice, se servisse a evitare un conflitto del genere.»

La ragazza fulminò suo fratello, aprì la bocca e non disse nulla.

«Non litigate anche per questo, per favore,» intimò Darren, facendo un passo e fermandosi in mezzo ai nipoti. «La scelta non spetta a noi, in ogni caso.»

«Perché?» chiese Jacob, aggrottando la fronte. «Potremo tornare alle nostre vite soltanto dopo aver rimesso la presidentessa vera al suo posto. Siamo coinvolti in pieno in questa faccenda.»

«Continuo a dovertelo ricordare, Darren,» disse Annabelle a mezza voce. «Non potete fare finta che non sia successo nulla. Siamo tutti nella stessa barca, ormai.»

«Allora votiamo!» proruppe Theresa, alzando la mano. «Si parlava di democrazia, no? Cosa c'è di più democratico di una votazione?»

Alex sbuffò e Jacob alzò gli occhi a cercare il soffitto.

«Concordo,» disse la presidentessa. «Se la decisione spetta alle persone qui riunite, una votazione è l'unica soluzione.»

Cosa poteva esserci di peggio di una testarda idealista come Theresa? Semplice: due testarde idealiste. Jacob incrociò le braccia e sbuffò con malcelata irritazione; Annabelle non gli sarebbe mai piaciuta del tutto, ma nessuno poteva negare che la soluzione che aveva proposto era la migliore per riportare tutto quanto alla normalità. Sarebbe bastato prendere la Casa Bianca con quei soldati robotici, deporre la finta presidentessa, mandare all'inferno quella stronza della Kennedy e la vera presidentessa avrebbe riportato l'ordine naturale. Lui sarebbe tornato da Claire e si sarebbero lasciati alle spalle quella storia di merda una volta per tutte.

Cazzo, però: era proprio cambiato. Soltanto una settimana prima si sarebbe tagliato una gamba piuttosto che contravvenire alla legge, mentre ora era pronto a riesumare antiche armi tecnologiche e prendere d'assalto Washington, come un malvagio despota di un romanzo di fantascienza.

Perché non cambiava nulla, alla fin fine: usare quelle armi era proprio come utilizzare la magia senza la licenza del governo. Alla fine aveva ceduto anche lui, ma poteva consolarsi del fatto di aver resistito molto più di tante altre persone.

«Se è questo che desiderate, allora voteremo,» fece Annabelle, evidentemente seccata da quello sviluppo inaspettato. «Alzi la mano chi vuole che la presidentessa riattivi queste armi.»

Fu la prima a stendere il braccio verso l'alto, seguita poco dopo da Jacob, che evitò di incrociare gli sguardi roventi di Darren e di Theresa. Per un istante sembrò che anche Alex stesse alzando il braccio, poi però alzò lo sguardo verso destra e si bloccò, riportando la mano verso il basso ben adesa al corpo.

La donna in rosso attese qualche istante, poi fece una smorfia e ritrasse il braccio.

«Credo che siamo in vantaggio noi,» disse la presidentessa, sorridendo compiaciuta.

«Io voto per non usarli!» esclamo Theresa, alzando un braccio con foga.

«Si era capito, Thera,» sibilò Alex.

«Credevo che saremmo stati tutti d'accordo, e invece...» disse Darren, scrutando Jacob con espressione granitica.

«Dovrei dirlo io,» rispose il federale. «Stiamo preferendo seguire le regole dell'etica piuttosto che scongiurare l'inizio di una guerra.»

«Nessuno dovrebbe avere un potere simile,» replicò il mezzelfo, indicando i soldati metallici. «Tutto questo è iniziato perché delle persone hanno voluto sfruttare il potere di Amanda.» Fece un cenno verso Annabelle, che lo fissava con viso truce. «Lei non è diversa da loro.»

«Vi ho aiutati e ancora non vi fidate di me?» sussurrò la donna in rosso, ma le sue parole echeggiarono tra le pareti gelide come se avesse urlato. Si girò a guardare Alex, che sobbalzò. «Alex, i miei uomini ti stanno insegnando la magia e ti stanno aiutando a diventare una persona migliore.»

Lui si guardò i piedi e indietreggiò di un passo, evidentemente a disagio sotto lo sguardo di fuoco della donna in rosso.

«Non pensavo che lo stessi facendo solo per ottenere qualcosa in cambio,» rispose Alex, con voce incerta.

Il viso di Annabelle si contrasse in una smorfia di disgusto e il suo corpo si protese in avanti, apparentemente pronto a scattare verso il corpulento orfano.

«Adesso smettiamola, per favore,» disse la presidentessa, e la sua richiesta ebbe il gradito effetto di bloccare sul nascere qualsiasi intento stesse muovendo l'inquietante donna in rosso.

Quel gesto, per quanto fosse durato pochi istanti, non era passato inosservato a nessuno. Jacob aveva portato la mano alla fondina, vuota e inutile, mentre Theresa aveva oltrepassato lo zio e si era fermata davanti al fratello per fargli scudo con il suo corpo. Darren era rimasto immobile, ma l'attenta vista dell'ex federale aveva notato uno scintillio metallico baluginare tra le sue dita quando il mezzelfo aveva estratto, veloce come il pensiero, un discreto coltello.

Annabelle si schiarì la voce e riconquistò la sua pacatezza ordinaria.

«Avete anche delle proposte sensate o vi limiterete a opporvi alle mie?» chiese, con espressione sostenuta.

«Lo faremo nel modo corretto,» rispose Amanda. «Appena mi sarò rimessa andrò di persona a parlare con le autorità competenti di questa città. Mi basterà trovare il supporto dalle istituzioni locali, spargere la notizia che a Washington c'è un usurpatore e l'incidente sarà sistemato nel giro di poco tempo. Forse riusciremo anche a evitare l'inasprirsi della situazione con la Francia.»

Annabelle si strinse nelle spalle e si girò a guardare la prima fila del suo esercito inanimato; sembrava un generale che passava in rassegna le truppe prima di una grande battaglia.

«L'ottimismo e la fiducia nelle tua capacità sono le qualità che ti hanno permesso di mantenere il consenso così a lungo,» disse, continuando a dare le spalle alla presidentessa e al resto dei suoi compagni. «Ma in questa occasione sarà la tua rovina. Ci sono cose che non possono essere risolte con la retorica politica.»

«Non smetterò mai di credere che le parole sono più potenti delle armi,» ribatté Amanda, piccata.«Il tuo dovere come membro dei servizi segreti è aiutare il tuo paese: supportami in quello che ho intenzione di fare e saremo entrambe a Washington come due donne libere in men che non si dica!»

Annabelle unì le mani dietro la schiena e alzò appena il capo; sembrava riflettere su quelle parole, come se stesse soppesando i possibili risvolti positivi e negativi.

Alla fine voltò soltanto la testa e puntò gli intensi occhi addosso alla presidentessa.

«No.»

Theresa trattenne il fiato e Jacob prese un'ampia boccata d'ossigeno. Nessuno pensava che quella conversazione potesse concludersi in quel modo e; era un grandissimo casino.

«No?» chiese Amanda, protendendosi in avanti sulla sedia. «Che significa? Non puoi ignorare il tuo ruolo!»

«Io sono una civile,» ribatté la donna in rosso. «Proprio come lo sei tu. Non sei la presidentessa e io non sono la dirigente di un reparto occulto della CIA. Siamo due donne di pari grado e adesso io posso decidere per me.»

«Annabelle, avanti,» disse Jacob, massaggiandosi la radice del naso. «Sappiamo a chi abbiamo votato la nostra fedeltà.»

«Non l'ho votata a una stupida idealista che mette in pericolo la sua nazione soltanto per rispettare degli stupidi dogmi legati all'etica.»

«Lascia che ci provi,» intervenne Theresa. «Lasciaci provare. Aiuteremo noi la presidentessa a raggiungere Washington e a parlare con sua sorella.»

«Thera...» mugugnò Darren, alzando il viso con espressione sconsolata.

«Non potete neanche lasciare questa base senza il nostro aiuto,» sussurrò Annabelle.

«Infatti ci aiuterai,» replicò la novizia, corrugando la fronte. «Ci aiuterai a parlare con il sindaco e con la polizia. Una volta convinti, saranno loro ad aiutarci a lasciare la città.»

Amanda Lawson annuì.

«Ci sono già delle persone che hanno fiducia in me,» disse, indicando Theresa. «Ti chiedo di averne anche tu.»

La donna in rosso si ammutolì per qualche istante e scrutò i volti che emergevano dalla penombra, studiando le espressione di ciascuno di loro. A Jacob tornò in mente l'esame di valutazione che aveva sostenuto per entrare nel FBI e la gola gli si seccò ricordando la tensione di quel momento.

«D'accordo,» disse, alla fine. «Vi darò fiducia per ora, ma non esiterò ad agire appena mi renderò conto che le cose non stanno andando come dovrebbero.»

«Perfetto,» replicò Amanda. «Sono sicura che non dovremo arrivare all'intervento militare.»

«Lo spero,» mormorò la donna in rosso.

Era molto diversa dalla donna affabile e gentile che avevano incontrato nel cimitero, un paio di notti prima. Vedere come la luce del suo incantesimo si rifletteva nelle sue pupille fece venire la pelle d'oca a Jacob: sembrava pronta ad ammazzare qualcuno e il sospetto che solo un minuto prima fosse sul punto di attaccare Alex non voleva proprio abbandonarlo. Sarebbe stata capace di ammazzarli tutti quanti in un battito di ciglia, se solo avesse voluto: ecco le sensazioni che il viso di Annabelle trasmetteva.

«Lo spero davvero.»

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