Capitolo 28 - Natale in famiglia

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La mattina successiva sfruttarono il rango di Michael per acquistare dei biglietti del treno a una tariffa più agevole.

I mezzi di trasporto costavano un occhio della testa e Darren poteva contare sulle dita di una sola mano le volte in cui aveva viaggiato in treno. Soltanto i giovani riccastri e i vecchi pensionati viaggiavano con il culo piazzato su un comodo sedile, e lui non era né l'uno né l'altro, come continuava a ripetergli Greg ogni volta che incrociavano con lo sguardo una ferrovia.

La sensazione comunque non lo metteva a suo agio: chiuso in una scatola di metallo rovente lanciata a chissà quante miglia orarie insieme ad altre decine di sconosciuti. Una trappola mortale dalla quale persino il miglior cacciatore di taglie avrebbe faticato a uscire.

Nulla a che vedere con una bella cavalcata in una strada di campagna o attraverso un sentiero immerso nei boschi. Era ben più che pragmatismo o deformazione professionale: era libertà, libertà che gli veniva negata costretto dentro quelle quattro pareti di ferro scuro.

E i sedili non erano poi così comodi, alla fin fine.

Theresa non si allontanava più di un metro da Michael e per tutto il viaggio non fece altro che discutere con il paladino di filosofia, etica, religione, morale e tante altre cazzate. Alex si era addormentato poco dopo la partenza e rimase immerso in un sonno disturbato fino al loro arrivo alla Union Station di Washington. Jacob si era chiuso in un gelido silenzio e sembrava proprio una fidanzata offesa che tiene il broncio per qualche futile motivo.

Per grazia degli dei, Amanda si era sciolta negli ultimi giorni e le quattro ore abbondanti di viaggio passarono in un battito di ciglia: Darren e la presidentessa si ritrovarono a chiacchierare come vecchi amici. La famiglia, l'infanzia, il passato, il cibo e la musica preferita; vedendoli dall'esterno, nessuno avrebbe detto che fossero la presidentessa degli Stati Uniti e il cacciatore di taglie che aveva deciso di proteggerla.

E non andava bene. Non andava bene proprio per un cazzo.

Quello era un lavoro; un lavoro che non si era scelto, ma era pur sempre un lavoro. E, Darren lo sapeva bene perché Greg gliel'aveva ripetuto alla nausea, il dovere non andava mai mischiato con il piacere. La mente è fredda e logica e non fa errori, ma il cuore... il cuore ne fa anche troppi, e un cacciatore di taglie non poteva permettersi neanche un errore. Sbagliare una volta voleva dire non avere più altra occasione di sbagliare. Mai più.

Però era piacevole parlare con lei, tutto sommato. Dietro la facciata da politicante con decenni di esperienza si nascondeva una donna piacevole e brillante, e quando i sobborghi della capitale iniziarono a delinearsi fuori dal finestrino Darren sentì un curioso moto di dispiacere espandersi dallo stomaco fino al petto. Gli era piaciuto quel viaggio e avrebbe tanto desiderato essere libero di non scendere da quel treno e continuare a parlare con lei con la piacevole spensieratezza di chi non ha una nazione alle calcagna.

Union Station non era affollata come ci si poteva aspettare da una grande stazione. I binari erano percorsi da poche persone, in prevalenza uomini di mezza età in abiti eleganti. La zona all'interno occupata da negozi e boutique di alto livello era deserta, fatta eccezione per una famigliola di gnomi orgogliosi di sfoggiare le loro magliette I love D.C. abbinate a berretti adornati dei colori della bandiera americana.

Nella grande lobby d'ingresso dal sontuoso soffitto a volta c'erano soltanto una manciata di persone: alcuni elfi diretti affannati verso i binari che si portavano dietro delle grosse valigie; un grosso orco dalla pelle grigiastra addobbato con un doppiopetto alla moda seduto su una panchina a leggere un giornale attraverso dei discreti occhiali da lettura con montatura argentata; una giovane coppia di nani accanto alle porte d'ingresso che discutevano in un dialetto gutturale sventolandosi addosso due cartine turistiche.

Classiche scene a cui chiunque avrebbe potuto assistere passando attraverso Union Station, ma la ridotta quantità di viaggiatori non passò inosservata. Non era colpa della stagione, luglio era un ottimo mese per viaggiare e fare turismo; non bisognava sforzarsi così tanto per scovare la causa di quella penuria di visitatori. Il Paese danzava in punta di piedi sul ciglio di un precipizio ed era chiaro a ogni cittadino americano che la caduta verso il baratro della guerra era a pochi giorni di distanza.

Chi è che avrebbe voluto mettersi a viaggiare con la minaccia di un conflitto del genere a pesare sulle spalle degli Stati Uniti? Darren avrebbe ritirato le sue modeste finanze dalla banca e si sarebbe chiuso in casa fino alla risoluzione di quel grandissimo casino, risparmiando il più possibile e preparandosi per il periodo successivo.

A vedere lo stato della stazione, non era stato l'unico a pensarla in quel modo.

«C'è un'atmosfera davvero di merda,» mormorò Jacob, guardandosi intorno.

I loro passi sul pavimento di marmo della stazione era l'unico rumore che rompeva il silenzio innaturale dell'ampio atrio.

«È più normale uno spettacolo simile, piuttosto che l'irreale felicità di Richmond,» replicò Michael. «La gente ha paura di quello che potrà succedere.»

«Dobbiamo arrivare in tempo,» disse Amanda, i pugni stretti e gli occhi lucidi. «Possiamo ancora evitarlo e far tornare tutto alla normalità.»

«Chissà che ci dirà tua sorella quando andremo a trovarla!» borbottò Darren, sistemandosi a tracolla la borsa magica dove aveva infilato tutte le sue armi.

«Ho intenzione di andare immediatamente alla Casa Bianca!» disse Amanda, le pupille che dardeggiavano sulle porte della stazione. «Mi faranno entrare. Devono farmi entrare.»

Darren schioccò la lingua e fece per replicare che tutta l'amministrazione di Washington doveva sapere della sua gemella, ma un movimento alla loro sinistra attirò la sua attenzione.

Una ragazzina umana si stava avvicinando a loro; all'inizio non l'aveva notata, forse era seduta in un angolo o il mezzelfo non ci aveva fatto caso. Senza indugio, si fermò davanti a Jacob che, intento a discutere con Amanda sulle loro prossime mosse, non si accorse neanche della sua presenza e rischiò di andarle a sbattere contro.

«Ehi, attenzione!» esclamò la ragazza, scansandosi appena in tempo per evitare l'impatto con la gamba del federale.

«Oh, cazzo,» fece Jacob, incespicando.

Darren ridacchiò. Avrebbe potuto avvisarlo, ma quella scena era stata meravigliosa da vedere.

«Agente Collins, vero?» chiese la ragazzina, scrutando il federale con piccoli occhi color nocciola.

Ecco, non era più così divertente. Neanche dieci minuti nella capitale e già erano stati sgamati.

Jacob drizzò la schiena, guardingo, e il viso gli si contrasse nell'espressione da pazzoide che aveva esibito fin troppe volte da quando Darren l'aveva conosciuto.

«No, ti sei sbagliata,» rispose, asciutto.

«Io credo di no,» ribatté lei, infilandosi una mano nella tasca dei jeans scuri per estrarne un foglietto spiegazzato. «Mi hanno detto di dare questo all'agente Collins e lei è identico all'immagine che mi hanno fatto vedere.»

«Ma che cazzo?» fece Darren, a denti stretti.

Si guardò intorno, ma nessuno dei pochi presenti stava prestando attenzione: sembravano tutti intenti a farsi gli affari propri, ma sarebbe stato meglio non abbassare la guardia. Con due dita, il mezzelfo aprì la cerniera della borsa, pronto a infilarci la mano per estrarre uno dei suoi coltelli.

«Il messaggio è da parte di mio nonno, vi conoscete,» continuò la bambina, tendendo il foglio di carta verso il federale. «Avanti, lo prenda!»

Jacob spostò lo sguardo verso Amanda che annuì da sotto il cappuccio tirato sul volto. Protese la mano e afferrò con la punta dell'indice e del pollice un angolo del foglio, come se si aspettasse che potesse esplodere da un momento all'altro.

«Perfetto!» disse la ragazzina.

Sorrise, salutò con la mano, si girò e si allontanò a passo svelto per imboccare uno dei portoni che l'avrebbero condotta all'esterno.

«Cosa cazzo è appena successo?» mormorò Alex.

«I nostri nemici hanno un'ottima vista,» fece Michael, arricciando le labbra in una smorfia. «Cosa dice il messaggio?»

Jacob rivoltò i bordi del foglio e scoprì poche righe scritte con una grafia pungente e affrettata.

«John ci invita all'hotel Thompson, 221 di Tingey Street,» rispose Jacob. Ruotò il foglietto, ma non c'era altro.

«E chi cazzo è John?» sbottò Darren.

«Per favore: basta parolacce,» mugolò Theresa, passandosi la mano sul viso. «La volgarità non ci aiuterà.»

Darren schioccò la lingua di nuovo. Possibile che non potessero neanche spostarsi senza attirare attenzioni indesiderate? Merda! Nuova città, nuova rottura di palle. Ci mancava soltanto un altro pazzo come la Hickman che voleva offrire supporto in cambio di qualche lampada magica che avrebbe esaudito tre desideri.

«Dovremmo andare,» disse Amanda.

«Anche no!» sbottò Darren. «È ovviamente una trappola.»

«Siamo noi i ricercati,» sussurrò Alex, scrollando le spalle. «Se ci avessero voluto prendere avrebbero potuto aspettarci qui in stazione con l'esercito.»

«Concordo con Alex.» Michael incrociò le grosse braccia sul petto e annuì con aria solenne. «Da ciò che mi avete raccontato, chi agisce lontano dallo sguardo di questo governo è un nostro potenziale alleato. Vogliono un incontro privato in segreto, sarebbe sciocco perdere un'opportunità simile.»

«Annabelle diceva di avere dei contatti a Washington,» disse Jacob, rigirandosi tra le dita il foglietto come se potessero comparire altre scritte per magia. «Potrebbero essere loro.»

Darren osservò Amanda, poi Theresa. Era un rischio presentarsi a un incontro al buio, ma il gioco poteva valere la candela. Però, come in tutti i giochi, ci voleva un po' di furbizia.

«Va bene, ma la presidentessa non ci andrà.»

Amanda si voltò di scatto e spalancò la bocca, ma si bloccò subito. Roteò gli occhi, abbassò il viso e sbuffò infastidita.

«Non vorrei dirlo, ma hai ragione tu,» disse, rivolgendo una fugace occhiata al mezzelfo. «Se è una trappola, quanto meno non cadrò di nuovo in mano loro.»

Darren sorrise. Astuta e dalla mente svelta, una vera stratega. Mandando in avanscoperta loro e rimanendo nascosta, avrebbero potuto ottenere aiuto e informazioni se davvero il misterioso John era un alleato. Se invece quell'incontro si fosse rivelato una trappola, sarebbero stati sacrificate soltanto le pedine meno importanti e lei avrebbe avuto modo di darsi alla fuga. Qualcuno, comunque, sarebbe dovuto rimanere con lei.

«Jacob, il messaggio era per te,» disse la presidentessa, sfoggiando il tono deciso da generale dell'esercito che l'aveva resa celebre. «Dovresti andare tu all'incontro, ma non da solo. Se andaste tutti quanti senza di me, avreste più possibilità di uscirne in caso di una trappola.»

«Non può rimanere da sola senza protezione,» protestò Jacob, corrugando la fronte.

Darren alzò gli occhi verso l'alto soffitto. Mandare i suoi nipoti in una trappola senza di lui? Era pericoloso, un probabile suicidio e non si sarebbe mai perdonato se fosse successo qualcosa. Però c'era Michael, il paladino più forte di tutta la chiesa di Ilimroth. E poi Theresa e Alex sapevano cavarsela da soli, ormai: avevano fatto fuori un demone una settimana prima!

Beh, se davvero era così preoccupato per la loro salute poteva andare con loro all'appuntamento e lasciare Michael a guardia della presidentessa.

Il mezzelfo scrutò la donna coperta dal suo mantello e schioccò la lingua contro il palato. Stava rimuginando troppo; dov'era finita la sua decisione?

«Rimango io con Amanda,» disse, dopo qualche attimo.

Lei si voltò e gli piantò gli occhi addosso, ma non ribatté.

«Prenderemo un hotel qui vicino e rimarremo chiusi in camera fino al vostro ritorno,» spiegò il cacciatore di taglie, dopo essersi schiarito la gola.

«E se non dovessimo tornare?» chiese Alex a mezza voce.

Darren socchiuse gli occhi e prese aria a pieni polmoni.

«Se non doveste tornare entro sera, vi verrò a cercare.»

Richiuse la borsa con un gesto deciso della mano e scoccò un'occhiata in tralice alla presidentessa.

«Vi verrò a cercare e vi riporterò a casa. Poi completerò quello che ho iniziato, perché io porto sempre a termine i miei incarichi. Questo a maggior ragione.»




Presero tre camere doppie in un hotel a qualche centinaio di metri da Union Station. Si trovava in un quartiere alle spalle della stazione, dove gli alti edifici avevano lasciato spazio per file di piccole costruzioni a due piani dai colori sgargianti. La struttura era un modesto Bed & Breakfast da una mezza dozzina di camere e la tariffa per il pernottamento era molto più bassa rispetto all'hotel di Richmond.

Rinchiusi in una delle stanze, Amanda e Darren osservarono dalla finestra che dava sulla strada l'ex federale e il paladino in nero che si avviavano a piedi al loro appuntamento, seguiti subito da una Theresa dall'aria decisa e da Alex, titubante e dal viso attraversato da un'espressione turbata.

«Non preoccuparti,» disse la presidentessa, allontanandosi dalla finestra. «Sanno il fatto loro.»

Il mezzelfo annuì, ma rimase alla finestra finché le sagome dei suoi compagni di viaggio non si fecero piccole fino a sparire dietro la chioma di alcuni alberi che si intervallavano lungo il marciapiede.

«Lo so,» rispose, voltandosi e appoggiandosi al davanzale.

La presidentessa aveva appoggiato sul bordo di un letto il suo zaino e stava rovistando all'interno.

Il cacciatore di taglie la osservò per qualche istante senza dire nulla. Non era stata una grande idea proporre di rimanere con lei, non dopo essersi accorto di quanto gli piaceva stare in sua compagnia.

Aveva iniziato a parlarle già da Elizabeth City, quando era appena sveglia e il suo corpo era ancora troppo debole per muoversi da sola. In quei giorni non era stata una grande conversatrice e gli era sembrata la classica quarantenne che crede di essere arrivata all'apice della sua vita, una di quelle che guarda i popolani come lui dall'alto di un piedistallo.

Più passavano i giorni più Amanda si era aperta. Forse si poteva addirittura dire che si fosse sciolta, perché era l'espressione che rendeva meglio l'idea: era circondata da una corazza di ghiaccio spesso una spanna che però si era via via assottigliata sempre di più, fino a quel giorno, quando in treno avevano parlato e sorriso come se si fossero conosciuti da una vita intera.

Anche lui aveva abbassato la sua barriera fatta di ironia e cinismo. Non lo faceva molto spesso e soltanto pochi eletti nel mondo potevano dire di avere la sua fiducia, ma Amanda Lawson era ormai una di quelli.

Cazzo, sarebbe stato davvero figo conoscerla all'infuori di quel casino. Peccato che una come lei non avrebbe mai neanche notato una nullità come lui, in una situazione normale. Non è che si potesse entrare in un bar per bere una cosa e trovarsi a flirtare con la presidentessa degli Stati Uniti. Per Darren le persone importanti come Amanda erano fuori portata e l'occasione di avvicinarsi a loro gli si poteva presentare soltanto tramite il suo pericoloso lavoro.

Purtroppo il lavoro era il lavoro, non se lo poteva dimenticare e ignorarlo sarebbe stato da irresponsabili. Però, per un pomeriggio soltanto, forse avrebbe potuto rischiare di fare la persona normale... Greg si sarebbe incazzato come una bestia.

«Ti va di bere qualcosa?» domandò Darren, con la voce roca.

Amanda si bloccò con metà braccio infilato nello zaino e rimase in quella posizione per una manciata di secondi.

Ecco: aveva fatto la cazzata. Era andato troppo oltre, avrebbe dovuto fermarsi e lasciare che quell'idea da idiota rimanesse tale. Avevano parlato e scherzato insieme per qualche giorno, ma era soltanto due persone di estrazione sociale agli antipodi che stavano condividendo un viaggio, nulla di più. Perché la donna più potente della nazione avrebbe dovuto bere qualcosa con uno sconosciuto cacciatore di taglie? Deficiente, era solo un deficiente.

«Lascia stare, io—»

Darren provò a correggere l'errore, ma Amanda lo interruppe.

«D'accordo,» disse, girandosi di profilo per lanciargli un'occhiata in tralice. «Ma non credo che sia saggio uscire da qui.»

Darren arricciò il labbro in un mezzo sorriso.

«In uno dei negozi della stazione venderanno dell'alcool, spero. Washington sarebbe una città molto noiosa, altrimenti.»

Amanda ridacchiò e tornò a voltargli la schiena.

«Prendi del bourbon. Knob Creek possibilmente.»

Darren alzò le sopracciglia e si infilò le mani in tasca.

«Che palato fino,» commentò il mezzelfo.

«Mio nonno beveva soltanto alcolici invecchiati in Kentucky. Nessun'altra brodaglia di altri posti, come diceva lui.»

Amanda estrasse dallo zaino una maglietta pulita e si sedette sul bordo del letto con un sospiro nostalgico.

«È lui che ha insegnato a me e a Samantha a bere,» continuò, alzando la testa per scrutare qualcosa oltre le tende che coprivano la finestra. «Una vigilia di Natale, mamma lo beccò mentre ci faceva assaggiare del bourbon per la prima volta; avevamo otto anni. Mamma urlò così tanto quella sera, ma ricordo che papà aveva le lacrime agli occhi dal ridere.»

Sorrise a guardò Darren con espressione furba.

«Non preoccuparti: la presidentessa e la sua gemella non hanno un passato da alcoliste. Passarono ben dieci anni prima che toccassimo di nuovo dell'alcool. Ma fu del bourbon anche in quell'occasione. Mi ricorda il Natale, mi ricorda il nonno... mi ricorda casa. E poi devo togliermi dalla lingua il saporaccio di quel sandwich che ho mangiato in treno: sono sicura che fosse scaduto.»

Il mezzelfo annuì.

«D'accordo, vada per il bourbon. Torno tra un attimo.»




Darren rientrò in camera con un paio di bottiglie di bourbon, due bicchieri e alcuni pacchetti di patatine della marca che preferiva. Stava offrendo delle patatine da due dollari alla presidentessa, Greg si sarebbe fatto una delle sue grasse risate e si sarebbe aspirato un sigaro intero in una sola boccata.

Amanda si era cambiata: si era infilata dei pantaloni larghi dall'aria molta comoda e la canottiera bianca che stava cercando poco prima. Ancora gli faceva strano vederla in quell'abbigliamento così... normale. Prima di qualche settimana prima aveva visto la presidentessa soltanto nelle immagini ufficiali sui giornali, perfettamente truccata e vestita con meravigliosi abiti eleganti.

Osservarla lì, seduta sul letto in pantaloni della tuta, canottiera e capelli ramati scompigliati la facevano sembrare una persona normale, proprio come poteva esserlo lui.

«Ho dovuto cercare un po' per trovare proprio il Knob Creek,» spiegò Darren, richiudendo la porta della stanza.

Appoggiò i bicchieri, le bottiglie e le patatine su un comodino e spostò una sedia per avvicinarsi al letto.

Amanda lo osservò in silenzio, come se stesse aspettando qualcosa.

«Mi sento un po' in colpa,» sussurrò lei, osservando le bottiglie piene del liquido ambrato. «Noi siamo qui a... a bere come se nulla fosse mentre gli altri potrebbero essere finiti in una trappola.»

Già, quella situazione era una vera merda. Darren non si sentiva in colpa, si sentiva un verme nel vero senso della parola. Aveva utilizzato un pretesto subdolo per rubare del tempo da solo con Amanda, fregandosene del pericolo in cui aveva gettato la sua famiglia.

Tutto per stare un po' da solo con lei. Per un capriccio inutile di un uomo egoista.

«Dobbiamo aspettare, tanto vale passare il tempo in modo piacevole,» commentò il cacciatore di taglie.

Voleva rincuorare lei o sé stesso?

Stappò la prima bottiglia e versò due dita di liquido nei bicchieri, ne porse uno alla silenziosa presidentessa e alzò il suo davanti al volto.

«Alla fine di questa peripezia?»

Lei sorrise di rimando e accostò il vetro al suo, il giusto per farlo tintinnare appena.

«Alla fine,» rispose.

Il sapore intenso del bourbon lo colpì subito alle papille gustative, ma cazzo se era buono! Quelle due bottiglie erano costate un occhio della testa, ma valevano tutti i soldi spesi.

«Complimenti al nonno, questo affare spacca!» esclamò Darren, appoggiando il bicchiere vuoto sul comodino.

Amanda prese solo un sorso e sorrise mentre un lieve rossore le pervadeva le guance.

«Roba del Kentucky, roba seria.»

Darren incrociò le gambe sulla sedia e si sporse per afferrare un pacchetto di patatine.

«Allora, raccontami un po': com'è essere la presidentessa più giovane della storia americana?»

Lei si leccò il labbro superiore e fissò il cacciatore di taglie, perplessa.

«Giusto per curiosità: quanti anni mi dai?» chiese, trattenendo una risata.

Darren le scrutò il volto per qualche secondo e fece finta di rifletterci a lungo prima di rispondere.

«Non più di quarant'anni.»

Lei scoppiò a ridere rovesciando la testa all'indietro.

«Saranno quarantatré a novembre. Ti ringrazio per il complimento, però.»

Darren scosse il capo incredulo mentre si infilava in bocca due patatine.

«Non più di quaranta, lo giuro!» ripeté.

«Comunque questo mi trasforma nella terza più giovane presidentessa della storia,» spiegò, dopo aver bevuto l'ultimo sorso dal bicchiere. «Roosevelt a quarantadue anni e JFK a quarantré.»

Darren si grattò la barbetta che gli copriva il mento.

«Sono sempre stato una sega nella storia americana,» disse il cacciatore di taglie, a mo' di scuse. «Ti sembrerà una mancanza di rispetto, ma credo che sia inutile saper nominare in ordine i presidenti.»

Lei si chinò in avanti, afferrò la bottiglia aperta e si versò una generosa dose di bourbon nel bicchiere.

«Ti svelo un segreto governativo, ma devi giurare sulla tua vita che non lo rivelerai a nessuno,» disse, corrugando la fronte con aria solenne.

Darren rise e si portò la mano sul cuore.

Amanda si piegò in avanti verso di lui con aria cospiratoria e mormorò:

«Non li so neanch'io tutti i presidenti americani.»

Risero insieme e il mezzelfo non perse l'occasione per riempirsi il bicchiere.

Aveva bevuto roba ben più forte di quel bourbon, ma gli sembrava di essere più leggero e meno preoccupato per quello che sarebbe potuto accadere di lì a poche ore. Avevano tutti quanti bisogno di un momento del genere e il fatto che se lo stesse godendo da solo con Amanda gli fece provare una fitta di rimorso nel fianco.

Ma aveva votato gran parte della sua vita a quei due orfani e ora quei due bambini che aveva raccolto dalle braccia degli assassini dei loro genitori erano cresciuti, erano diventati adulti ed erano sul punto di trovare la loro strada. Poteva permettersi, dopo tutto quel tempo, di pensare un po' a sé stesso. Se l'era meritato, alla fin fine.

«Come mai non ti sei ancora sposata, alla tua veneranda età?» domandò Darren, bevendo d'un fiato metà bicchiere di bourbon.

«Veneranda età, ma che screanzato!» esclamò Amanda, assumendo la faccia da finta offesa.

Picchiettò con l'unghia sul bordo del bicchiere e osservò di sottecchi il mezzelfo e il pacchetto di patatine che teneva in mano.

«Non è che mi sia mai importato degli uomini,» rispose, lentamente. «Avevo altre cose a cui pensare: le attività commerciali della famiglia, poi la carriera in politica. L'ho presa sul serio, sai? Non come quei porci che si piazzano sulle loro sedie a prendersi lo stipendio per comprarsi gli chalet in montagna e le ville sull'oceano. Io volevo davvero fare la differenza e ci ho messo tutta me stessa in quello che ho fatto in questi anni.»

Darren annuì.

«Ci credo. Theresa ti adora, e come lei tantissime altre persone.»

«Non l'ho fatto neanche per quello. Mi fa piacere sapere che piaccio alle persone, ovvio, ma sarei andata per la mia strada anche se non avessi avuto tutto il consenso di cui godo. Godevo.»

Prese un altro sorso e si schiarì la voce.

«Il fatto è che ci sono cose che soltanto noi che siamo al potere possiamo fare. E queste cose possono cambiare la vita a milioni di esseri viventi. Quando mi sono accorta di quello che rappresentavo e di quello che gravava sulle mie spalle, ho deciso che non mi sarei fatta distrarre da niente e da nessuno. Ho ancora troppe cose da fare e mi rimane troppo poco tempo; quando i miei mandati termineranno, avrò tutto il resto della vita per pensare agli uomini e al mio benessere.»

«Tutto molto bello, ma hai diritto anche tu a essere felice,» commentò Darren, sgranocchiando una patatina. «Non potrai mai sapere come far felici gli altri se non lo sei tu per prima.»

Lei abbassò gli occhi e fece ondeggiare il bicchiere per seguire il movimento del liquido al suo interno.

«Io... non so, io pensavo di esserlo. Felice, intendo. Che cosa può volere di più dalla vita il presidente degli Stati Uniti?»

Darren fece spallucce.

«Normalità?» propose. Indicò la bottiglia di bourbon. «Un natale in famiglia? Dei parenti attorno? Una casa?»

Amanda tirò su con il naso e gli occhi le si fecero umidi.

«E tu che cosa vuoi dalla vita?» chiese di rimando al mezzelfo. «Non una villetta a Juno Beach, vero?»

Darren esplose a ridere e lei lo seguì con un istante di ritardo.

Quel maledetto intruglio del Kentucky stava facendo effetto troppo in fretta.

«Quella villetta a Juno Beach sarebbe un fantastico inizio,» disse, passandosi il dorso della mano sulla fronte per asciugarsi una gocciolina di sudore solitaria. «Che voglio io dalla vita? Vediamo: sono seduto in riva al mare; alle mie spalle c'è la veranda di casa mia e davanti a me il sole che sorge dall'orizzonte. Theresa è una stimata paladina di Deladan e Alex è il responsabile della biblioteca di Filadelfia. Non porto i coltelli alla cintura; non porto proprio la cintura, soltanto un paio di bermuda a fiori e una camicia leggera. Niente più paura di morire, niente più uccidere per non essere ucciso, niente più scegliere l'incarico più redditizio tra quelli meno pericolosi per arrivare a fine mese con la propria pelle addosso.»

Il mezzelfo sospirò e si riempì il bicchiere ben oltre la metà.

«Ma mi accontenterei: se non Juno Beach va bene qualsiasi altro posto, l'importante è che ci sia il mare.»

Amanda soffocò una risata sommessa portandosi il bicchiere di bourbon alle labbra.

«Normalità,» commentò.

«Normalità,» ripeté il cacciatore di taglie, alzando il bicchiere come a voler proporre un brindisi. «Il sogno di ogni persona sulla Terra.»

Ingoiò due pesanti sorsate e un brivido di caldo gli percorse la schiena.

«Ma domani si torna alla solita routine,» mormorò Darren, deluso.

Amanda scosse il capo.

«Non voglio pensare a domani,» sussurrò.

Darren si schiarì la gola e appoggiò il bicchiere sul bordo del comodino.

«Lo so che sarà difficile, ma dobbiamo iniziare a parlare di come—»

La presidentessa si alzò di scatto, il bicchiere le volò dalle mani e rotolò sul pavimento con un tonfo; una chiazza di bourbon si allungò sul pavimento di parquet, sembrava miele annacquato.

Si protese in avanti, afferrò il mezzelfo per la camicia e lo trasse a sé, incollandogli le labbra sulle sue.

Fu forse colpa del liquore, ma Darren non la respinse. Infilò le dita tra i capelli ramati della presidentessa e le tenne la testa adesa, mentre le premeva le labbra addosso con forza e le infilava la lingua nella bocca, trovando la sua. Sapeva di bourbon, ma c'era anche un retrogusto acidulo. Nel complesso era un buon miscuglio di sapori.

Amanda ritrasse la testa di un centimetro, liberandosi da quel bacio inaspettato per fissare il cacciatore di taglie con occhi lucidi ma intensi.

«Ti ho detto che non voglio pensare a domani,» mormorò, ma fu come se lo avesse urlato.

Indietreggiò fino al bordo del letto e tirò il mezzelfo dalla camicia verso di sé.

Greg, dovunque fosse in quel momento, stava tirando qualche bestemmia, Darren ne era sicuro.

Portarsi a letto il proprio datore di lavoro: sarebbe rientrato nell'albo dei cacciatori di taglie come lo stronzo più stupido di tutti gli Stati Uniti.

Per il resto del pomeriggio fecero esattamente ciò che Amanda aveva detto: non pensarono affatto al giorno successivo.

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