Capitolo XIV - Ka Rhana

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ATTENZIONE! IL CAPITOLO CONTIENE SCENE DI SESSO NON CONSENSUALE CHE POTREBBERO TURBARE I LETTORI PIU' SENSIBILI


Il giorno si era spento in un lungo crepuscolo, lasciando il posto a un'oscurità piena di pigri fiocchi che scendevano lenti. La strada davanti al "Carrettiere" si era fatta bianca, percorsa dalle numerose impronte della chiassosa moltitudine che adesso rumoreggiava all'interno dell'osteria.

Oltre la porta, l'algida notte bianca era solo cupa oscurità al di là dei vetri piombati. Il fuoco danzava tra gli alari del camino, un grasso porcello sfrigolava sui carboni ardenti, infilzato su uno spiedo. Ai tavoli gli avventori mangiavano e bevevano parlando e ridendo. Era sera di arrosto, il famoso arrosto di Mastro Berto e gli animi erano lieti. La birra scorreva copiosa come un torrente in stagione di disgelo gonfiando il volume delle voci e rendendo le risate più corpose.

Molti erano gli occhi che si soffermavano sulle grazie della bella Alice, le mani che tentavano di saggiarne le consistenze venivano evitate o colpite, a seconda del caso.

Iorio sedette al tavolo, c'era sempre un tavolo riservato per il Capitano della Rocca dei Corvi la sera dell'arrosto. I tre soldati con lui sedettero a loro volta, rimboccandosi le maniche mentre annusavano il buon profumo che aleggiava nell'aria.

Alice giunse rapida e sorridente soffiando via dalla faccia un ciuffo di capelli sfuggito alla treccia.

«Buonasera Capitano, buonasera signori. Quattro birre e quattro porzioni di arrosto, dico bene?»

«Abbondanti» annuì Iorio, salvo poi bloccare con un'occhiataccia il tentativo di un soldato di allungare le mani verso rotondità così vicine e invitanti. Un sorriso riconoscente, tutto per lui, illuminò il volto della ragazza prima che tornasse a muoversi tra i tavoli.

«Avete visto?» disse uno dei suoi uomini richiamando la sua attenzione. «Quei due mercanti girovaghi, quelli del vicolo, sono qui. Il tavolo nell'angolo, dietro a dove siede il maniscalco con i suoi apprendisti.»

«Lasciamoli stare» disse Iorio. «E godiamoci invece la cena.»

«E la cameriera» aggiunse uno degli uomini.

«Ho sentito che si concede per qualche moneta, di quando in quando» disse il soldato che era stato dissuaso dal toccarla.

«Si dice che lo faccia solo con quelli di suo gradimento.»

«O con quelli che hanno abbastanza monete da farsi gradire!»

«Io mi sono portato qualche moneta in più, giusto per lei.»

«Visto quanto sei brutto spero siano dei ducati d'argento.»

«Io dico che non ti basta nemmeno un reale d'oro per fartela dare.»

«Signori!» interruppe la schermaglia Iorio. «Ricordatevi che siete in servizio e che quindi berrete con moderazione e che soprattutto nessuno di voi offrirà denaro per avere i favori della cameriera.»

Ci fu un attimo di silenzio poi uno degli uomini prese la parola.

«Capitano cosa intendete esattamente con moderazione? Quanti boccali?»

La sua espressione sinceramente preoccupata fece scoppiare a ridere tutti gli altri.


Molto più tardi, dopo una media di tre porzioni di arrosto e un imprecisato numero di boccali di birra a testa, Iorio si alzò per andare a pagare il conto. Aveva notato che i due mercanti di spezie erano saliti al piano di sopra un po' di tempo prima, segno che avevano preso una camera all'osteria proprio come avevano detto, ma non riusciva a togliersi dalla testala brutta impressione che si era fatto di loro la notte che li aveva trovati nel vicolo a minacciare quella ragazzina.

«Arrosto delizioso come sempre, mastro Berto» disse allungando un ducato d'argento. Gli occhietti dell'oste brillarono mentre tendeva la mano. «Tenete pure il resto, ve lo siete meritato e fate sì che un soldo di rame vada come mancia ad Alice.»

«Certo Capitano» annuì Berto. «Le devo dire qualcosa da parte vostra?»

«No, non ditele niente. Non ce n'è bisogno. Aggiungilo solo alla sua paga.»

«Come volete.»

«Vi sarei grato se inoltre mi teneste al corrente degli spostamenti dei due forestieri arrivati ieri.»

«Sarà fatto» annuì di nuovo Berto guardando verso il tavolo vuoto.

Uscì fuori assieme ai suoi uomini, ascoltandoli vantarsi per prodezze in battaglia e tra le coperte. Prodezze che immaginava per lo più ingigantite e per il resto inventate di sana pianta.

Notò l'ombra nel vicolo dietro la locanda e si fermò.

«Capitano che fate, non venite?» lo chiamò uno dei suoi uomini.

«Voi andate pure. Io devo fare una cosa prima di tornare alla Rocca» disse. L'ombra nel vicolo era scomparsa dietro l'angolo, nel cortile interno.

Si incamminò per seguirla.

Alice stava riempiendo una cesta di legna da ardere, era china sulla catasta sotto la tettoia della legnaia e gli stava dando le spalle.

«Volevo solo ringraziarvi» disse senza smettere di raccogliere i ciocchi.

«Non dovresti uscire a quest'ora di notte» disse Iorio cercando di non guardarle il sedere puntato in aria.

«So badare a me stessa. E poi immaginavo che un uomo nella vostra posizione non volesse essere visto con una come me.»

«Non ho fatto niente che meriti un ringraziamento, niente che un uomo dabbene non avrebbe fatto. Inoltre puoi venire a parlarmi ogni volta che lo desideri.»

«Non intendevo parlare.»

Iorio la guardò rialzarsi dalla catasta, l'abito scollato le era scivolato via dalla spalla, ma lei non fece niente per porvi rimedio. La pelle rosea e liscia del petto scendeva fino alla curva generosa del seno, pericolosamente prossima al suo apice.

«Ho visto il ducato d'argento dato a Mastro Berto e che non avete voluto il resto. Una mancia troppo generosa, anche per il suo arrosto, così ho immaginato che qualcosa fosse per me.»

Iorio aprì la bocca per parlare, ma Alice anticipò la sua domanda.

«Mastro Berto non mi ha detto niente, diciamo solo che voglio ringraziarvi per la generosa mancia.»

Il corpo della ragazza andò a premere contro il suo, la mano gli carezzò il fianco. «Slacciatevi i calzoni» gli sussurrò seducente.

La mano di Iorio scese su di lei, le sfiorò la spalla e poi le tirò su il vestito, rimettendolo al suo posto.

«Dovresti tornare dentro» le disse. «Stai gelando.»

Fu il turno di Alice di restare senza parole. Iorio si scostò da lei e poi le sorrise. «Hai visto giusto, c'è una mancia per te, ma per il tuo servizio al tavolo. Nient'altro.»

Le fece un cenno di saluto e si incamminò tornando nel vicolo e poi sulla strada.

Attonita, Ka Rhana guardò la sua preda sfuggirle. Non le era mai successo che un uomo la rifiutasse, non dopo aver sfoderato le sue armi di seduzione, non dopo aver avuto modo di restare sola con lui. Dopo giorni di attesa la sua occasione di sedurre il Capitano era miseramente fallita e non riusciva a capire cosa avesse sbagliato.

***

Il Maestro aveva deposto sul tavolo una pergamena e l'aveva srotolata di fronte a lei. Prima dello scritto c'era un'immagine finemente vergata con tratti nitidi: un uomo e una donna nudi che si tenevano per mano.

«In questa pergamena è spiegato il sesso» le aveva detto mostrandole la seconda immagine: un'esplicita raffigurazione di ciò di cui parlava. «Il sesso è né più né meno l'atto fisico che consente di fare figli, ma non è questo l'aspetto interessante. Il fulcro del tuo interesse deve imperniarsi sul piacere. Fare sesso dà piacere, un piacere di cui gli uomini non riescono a fare a meno. La promessa del sesso, come il sesso stesso, è capace di far perdere all'uomo medio ogni buon senso portandolo ad agire come il più prevedibile degli animali. Una donna consapevole del suo corpo e abile nell'arte della seduzione può ottenere molte cose da un uomo. Hai capito Ka Rhana

«Sì, Maestro.»

«Ora che sei divenuta una donna piacente con un corpo desiderabile e un bel viso puoi fare pieno affidamento sulla seduzione, quindi studia attentamente questa pergamena.»

Quella era stata la prima volta che Ka Rhana aveva sentito parlare di sesso.

Pochi giorni più tardi il Maestro le aveva ordinato di seguirla, conducendola in una camera dominata da un grande letto. L'aveva fatta spogliare e poi si era spogliato a sua volta, l'aveva fatta stendere e si era preso la sua verginità. Era stato doloroso e spaventoso, ma era riuscita a non piangere. Il Maestro si era rivestito e le aveva ordinato di proseguire lo studio della pergamena.

Nei giorni seguenti l'aveva interrogata e poi addestrata alla seduzione e al sesso, punendola per ogni volta che sbagliava, come per tutte le cose che le aveva insegnato. Era stato incredibile scoprire che però, quando faceva tutto giusto, il Maestro la gratificava con il piacere. Sorpresa, aveva scoperto che anche lui provava piacere nel farlo e per la prima volta era stata capace di ottenere qualcosa che somigliava a dei veri gesti di affetto.

Per anni non aveva ricevuto altro contatto fisico che quello con la mano del Maestro, altro conforto che quello ricevuto strofinandosi contro di essa. Era stata sola ogni giorno. Invece tra le lenzuola lui la abbracciava e lei si poteva aggrappare a lui, cercare i suoi baci, sentire il suo calore. Erano momenti fugaci, al di fuori del grande letto niente era cambiato, ma ogni volta che lui la portava con sé in camera il suo cuore prendeva a battere più rapido nel petto.

Era stato soprattutto per quello che si era dedicata con tutta se stessa a quella nuova disciplina, impegnandosi con dedizione a compiacerlo in ogni modo lui desiderasse. Era diventata brava.

Era diventata irresistibile.


Rigirandosi tra le coperte Ka Rhana ripensava a quel periodo felice e poi di nuovo al rifiuto del Capitano Iorio, avvenuto poche ore prima. Non aveva compiuto nessun errore, ne era certa, ma non era riuscita a sedurlo. Il suo corpo, i suoi gesti, il suo sguardo, la sua voce, aveva fatto tutto nel modo giusto ed era certa di aver anche visto il desiderio negli occhi dell'uomo, eppure lui alla fine l'aveva allontanata. Era certa che Iorio non avesse una donna nella sua vita e questo escludeva scrupoli di fedeltà, qualora ne avesse. Gli aveva servito personalmente cinque boccali di birra, della più forte che c'era in cantina, e questo avrebbe dovuto combattere ogni genere di inibizione. Con queste premesse non riusciva a capire cosa mai avesse trattenuto un uomo solo e alticcio dal saltarle addosso e l'idea di aver fallito le gravava sul petto come un macigno. Il Maestro non sarebbe stato contento.

Angosciata e stanca di arrovellarsi scalciò via le coltri, si avvolse nel mantello e scese al piano delle camere degli ospiti. Bastò un lieve colpo alla porta per farsi aprire. Lor Kon la guardò interrogativo, lei lo ignorò passandogli sotto al braccio.

«Svegliati, stupida bestia!» ringhiò tra i denti, scrollando Nicodemo. Non intendeva mostrargli quanto fosse preoccupata, meglio fargli pensare che fosse furiosa.

«Che succede?» mugugnò lui. «Qualche cattivo ti ha tirato la treccia?»

Ka Rhana gli tirò via le coperte. «Ho bisogno del parere di un uomo e tu sei la cosa che ci si avvicina di più.»

«Piano con i complimenti o penserò che ti sia presa una cotta» si stiracchiò Nicodemo, strofinandosi la faccia.

«Smettila di parlare a sproposito e stammi a sentire» lo rimbrottò lei, dopodiché gli raccontò nel dettaglio cosa era successo nel cortile.

«Probabilmente è un effeminato» sbadigliò Nicodemo guardando con desiderio il letto.

«No, non lo è, ne sono più che certa.»

«Ne possiamo riparlare domani mattina? Ho un gran sonno e l'unica cosa che in questo momento potrebbe svegliarmi sarebbe vederti togliere la camicia da notte.»

«Non se ne parla.»

«Appunto, quindi io ora mi metto a dormire e domani parliamo.»

«Non hai capito. Ho bisogno di risposte adesso. Potrai dormire dopo avermele date.»

La voce di Ka Rhana non aveva nessuna inflessione di intimidazione, anzi era assolutamente calma, ma nel suo sguardo Nicodemo colse qualcosa che lo fece rabbrividire.

Aveva assistito a molti orrori in vita sua, lui stesso era stato l'artefice di alcuni di essi, poteva definirsi un uomo avvezzo al lato peggiore della natura umana, ma c'era qualcosa in quegli occhi che gli fece rizzare i capelli sulla nuca. Aveva sentito parlare di cosa fosse capace Ka Rhana, ma non l'aveva mai considerata più pericolosa di un comune assassino. Adesso invece avvertiva in lei qualcosa di oscuro e minaccioso come quando si trovava al cospetto dell'altra bambola o di Lui, il Fabbricante.

«Come vuoi» finse noncuranza. «Fammi sciacquare la faccia e poi parliamo.»

Versò un po' d'acqua nel bacile e si spruzzò la faccia cercando di togliersi di dosso quella brutta sensazione. Quando tornò a guardarla lei si era seduta sul letto, in attesa. Ogni traccia di oscurità era scomparsa, adesso sembrava una ragazzina venuta a fare due chiacchiere. Una ragazzina capace di uccidere con la stessa noncuranza con cui respirava, gli venne da pensare, ma scacciò il pensiero.

«Allora, cosa ho sbagliato? Sono stata troppo diretta?» domandò lei impaziente.

«La verità è che non hai sbagliato niente, ma che il Capitano non ti trova così interessante. Comprarti per un soldo di rame non lo soddisfa. Egli fa parte di quei pochi stupidi che vedono nelle donne qualcosa di più oltre a un caldo conforto nelle notti solitarie. Stupidi che pensano che garantirsi l'affetto di una donna valga la seccatura di doverla sopportare anziché limitarsi a pagarla.

«Quindi che dovrei fare secondo te?»

Nicodemo si prese del tempo per guardarla, seduta in attesa che lui continuasse. Ignorava del tutto che il suo fosse solo sarcasmo, lo aveva preso sul serio. Scrollò le spalle e proseguì. «Questo tipo di uomo, per quanto agogni la stessa cosa di tutti gli altri, ovvero farti la festa, pensa sia suo dovere interessarsi a cosa ti passa per la testa, ascoltarti mentre blateri di fiori e vestiti o della tua invidia per la moglie del lattaio e il suo bel cappello nuovo, e solo dopo questo, dopo averti tenuto per mano e averti conosciuto a sufficienza, solo allora si sentirà in diritto di saltarti addosso.»

«Quindi dovrei parlargli di me? Tutto qui?»

«Sì, parlagli di come ti senti sola, indifesa, vulnerabile e poi fagli gli occhi dolci. Ridi per i suoi penosi tentativi di farti ridere e poi fatti baciare. E prima o poi riuscirai anche a fargli tirare fuori gli attributi.»

«Per piacere al Capitano dovrò fingermi debole e piagnucolante? Ne sei certo?»

«Sì, più o meno è così.»

«Capito. Vediamo se funziona» disse Ka Rhana, rialzandosi dal letto.

Nicodemo la guardò uscire dalla porta, scalza, le gambe nude fino quasi al ginocchio e la camicia da notte che le era scivolata giù lungo una spalla lasciandola pelle scoperta e desiderabile.

«Diamine, sei tanto bella quanto squilibrata bambolina» sospirò Nicodemo tornando a stendersi poi fece cenno a Lor Kon di chiudere e tornò al suo agognato sonno.



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