Capitolo XIX - Sebastiano

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng


Sebastiano guardò la stretta valle di Ripaforte aprirsi alla sua vista dalla cima del passo. O meglio, guardò la bianca massa di nubi che la riempiva, stringendosi nel mantello infreddolito, mentre ricordava come apparisse bella quella valle nella tarda primavera, quando il verde intenso e brillante dei pascoli faceva da contrasto alla pietra bianca del picco del Verno. Subito alle spalle dei bassi monti che poteva intuire stagliarsi a nord ovest c'era la valle di Seraia che li avrebbe riportati a nord fino al passo del Fiorile e quindi fino a casa. Ancora due settimane e sarebbero giunti a Roccacorva.

«Accetterò solo buone notizie» disse torva Irina, comparendo alle sue spalle.

«Il passo di Seraia sembra ancora libero Signora. E tra due giorni potremo attraversarlo.»

«Sembra? Sebastiano ho detto solo buone notizie. Non notizie che sembrano buone, ma di cui non sei certo.»

Dego li raggiunse,tirandosi dietro il cavallo su per l'erta salita che li aveva appena portati fuori dalla valle della Via dei tronchi.

«Irina non dovresti tormentare Sebastiano se l'inverno ci ostacola. Non è colpa sua né di nessun altro.»

Lo sguardo di Irina si fece gelido e Sebastiano fu felice di vederlo voltare verso Dego. «Chiedere informazioni non è tormentare, Pivello.»

«Credo che esigere certezze sullo stato di un passo a due giorni di viaggio possa considerarsi pretenzioso anche per una come te. E ti ho già detto cosa penso del fatto che mi chiami pivello.»

Sebastiano si allontanò rapidamente lasciandoli alla loro ennesima schermaglia. Andava avanti così dal viaggio a Tormera, compiuto per lasciare Claudia in un luogo sicuro. Supponeva fosse la conseguenza di quanto successo la notte nella foresteria del convento, ma forse l'inizio di tutto era stato proprio il salvataggio della ragazza da parte di Dego, l'atto di coraggio che aveva mostrato a Irina il suo valore.

Sebastiano si fermò a scrutare il sentiero che scendeva ripido, tenuto dalle radici di una macchia di pini mughi avvinghiate al versante della montagna. Era malmesso, ma percorribile senza troppi problemi.

Tornò a guardare Irina e Dego che ancora si affrontavano mentre il resto degli uomini e dei cavalli li aveva raggiunti e coglieva l'occasione per tirare fiato.

Sebastiano non ne era certo, ma iniziava a pensare che fosse il loro modo di stringere una qualche sorta di legame. Perché una cosa era evidente a tutti i componenti della squadra: Irina aveva smesso di ignorare l'esistenza del suo secondo e pur battibeccando per la maggior parte del tempo, i due avevano iniziato a parlarsi.

***

Erano giunti al convento di Tormera in un giorno a cavallo, come previsto, e la presenza di due Inquisitori aveva permesso loro di avere accesso al complesso monastico senza particolari problemi.

Erano entrati nell'ampio cortile circondato da alte mura, sotto una pioggia fine e persistente, attesi da una silenziosa delegazione di monache.

Allineate su tre file sotto un loggiato, nascoste parzialmente alla vista da lunghe trecce di cipolle appese alle travi della copertura, le monache erano rimaste immobili, guardandoli smontare. Irina si era presentata e, presa Claudia visibilmente intimidita sotto braccio, l'aveva indirizzata verso una suora anziana al centro. Sebastiano non aveva colto alcuna differenza con le altre, ma aveva immaginato dovesse trattarsi della Badessa. Era seguito uno scambio di parole sommesse tra Irina e la suora anziana poi erano state invitate a entrare nell'edificio del convento. Dego aveva affidato a lui i cavalli e le aveva seguite.

Sebastiano aveva sistemato le bestie nella stalla, aveva asciugato i manti lucidi dei cavalli, tolto le selle, controllato che il fieno nelle mangiatoie fosse secco. Era tornato fuori nel cortile per prendere l'acqua per i cavalli e aveva dato un'occhiata curiosa nelle varie porte che aveva trovato aperte. Era la prima volta in vita sua che entrava in un monastero.

Alla fine una suora era venuta per condurlo nella foresteria. Aveva atteso il ritorno dei suoi compagni di viaggio seduto su uno sgabello vicino al focolare, di fronte a un fuoco stentato e fumoso, dedicandosi alla riparazione della fibbia che chiudeva una delle sue bisacce. I due inquisitori avevano fatto il loro ingresso nella piccola sala di pietra al calare del sole, senza Claudia, e sebbene le facce fossero grigie, era solo la stanchezza per il viaggio. L'espressione serena degli occhi diceva che le cose erano andate bene.

Quando avevano deciso di compiere quel viaggio, nessuno aveva fatto menzione dell'eventualità che Claudia venisse respinta, ma la possibilità che la Badessa le rifiutasse asilo esisteva. Il Convento avrebbe potuto essere al completo oppure in ristrettezze oppure, più semplicemente, le suore potevano non volersi inimicare una persona potente come il Gabelliere della Signoria di Mulivia. Invece le cose erano andate per il meglio e questo ristabiliva, almeno agli occhi di Sebastiano, l'equilibrio delle cose. Claudia era stata accusata ingiustamente di stregoneria, ma poi era stata scagionata e accolta dal monastero dove avrebbe potuto vivere felice. Gran parte del merito era di Dego che l'aveva salvata e di Irina che l'aveva curata e accudita, ma anche lui si sentiva di aver fatto qualcosa, pur essendo stato, il suo, un piccolo contributo.

Probabilmente era stato proprio l'orgoglio di sentirsi parte di quell'impresa a dare a Sebastiano il coraggio di fare quello che aveva fatto poco dopo.

Nonostante il suo vecchio gli avesse sempre detto di ubbidire ai potenti tenendo bocca e occhi chiusi e nonostante i due Inquisitori fossero certamente nel novero dei potenti, quella sera le due persone che sedevano al suo stesso tavolo sembravano profondamente umane e ben poco diverse da lui. Erano tutti e tre stanchi, con le terga doloranti per la lunga cavalcata, ma tutti e tre soddisfatti del loro operato.

Una suora imponente e dall'aria arcigna servì loro la cena: una ciotola d'insipida zuppa di avena e un piccolo boccale di birra acida. Seduto nel suo angolo Sebastiano si dedicò al magro vitto lasciando che fossero i due inquisitori a discorrere del loro successo, ma dopo poche parole e un breve programma per il viaggio di ritorno la conversazione andò spegnendosi come il fuoco nel camino. L'alleanza creatasi per aiutare la ragazza, il legame creato da quell'atto grandioso non sembrava capace di attecchire e mettere radici. Guardandoli tornare ad arroccarsi ognuno nella propria solitaria fortezza Sebastiano provò un impeto di pena, soprattutto per Irina, che lui aveva visto poter essere molto diversa dalla rigida dama dagli occhi di ghiaccio che inizialmente aveva così tanto detestato.

Per loro fortuna conosceva un buon rimedio popolare per consentire a due persone di sciogliersi quel tanto che bastava da parlare liberamente e in barba ai consigli del suo vecchio a proposito di non impicciarsi con i potenti, decise di prendere l'iniziativa.

Si alzò dal tavolo e chiese alla suora una bottiglia del liquore distillato nel convento. Si fece dare tre bicchieri e tornò a sedere.

«Se mi è permesso, vorrei brindare all'impresa da voi compiuta» disse versando il liquido dorato nei tre bicchieri. Lo sguardo di sufficienza con cui Irina accolse la sua proposta avrebbe smorzato ogni iniziativa, ma Dego prese il bicchiere e lo sollevò prontamente, sorridendo a Sebastiano e poi sfidando con lo sguardo Irina a unirsi, sapendo che l'inquisitrice non era tipo da rifiutare una sfida. I bicchieri si levarono dal tavolo andando a urtare l'uno contro l'altro.

«Io vorrei brindare alla nostra guida, al buon Sebastiano» propose Dego riempiendo un secondo giro di bicchieri. «Senza il quale Claudia non avrebbe trovato la sua nuova casa.»

Di nuovo i bicchieri furono levati, stavolta in onore di Sebastiano, il cui evidente imbarazzo fece fiorire un accenno di sorriso sulle labbra di Irina. Un sorriso fugace e nascosto agli occhi di Dego dal bicchiere, così che ancora una volta lui fu l'unico a poter vedere quel fugace calore nella fredda figura dell'inquisitrice.

Dego riempì di nuovo i bicchieri e guardò Irina, in attesa che proponesse un brindisi. Lei prese il bicchiere e lo contemplò come se stesse cercando le parole sul fondo.

«Credo che dovremmo andare a dormire» disse invece svuotando il bicchiere in un unico sorso. «Non siamo qui per ubriacarci e domani ci attende un lungo viaggio. Nessuno di voi due dimentichi che la nostra missione è ben altra.»

«Io credo che dovremo festeggiare invece» disse Dego versandole altro liquore. «Il nostro incarico ci offre fin troppa morte per non celebrare una volta tanto la vita.»

Irina guardò il bicchiere poi Dego, dritto negli occhi trovandolo pronto a sostenere il suo sguardo. Nessuno dei due sembrò disposto a cedere per primo e Sebastiano iniziò a temere che il suo gesto pacificatore avesse invece scatenato nuova ostilità. Quasi gli parve di sentire la voce del suo vecchio che gli dava dello sciocco per non aver dato retta ai suoi insegnamenti.

«Brindo a te Pivello» disse Irina sollevando il bicchiere e spezzando con esso la loro sfida di sguardi. «Al tuo sconsiderato atto di coraggio che pur mettendo tutta la squadra in pericolo ha salvato una vita.»

«Sembra un insulto più che un brindisi» considerò Dego.

«È il massimo che avrai» stabilì Irina urtando il bicchiere contro il suo e poi più delicatamente contro quello di Sebastiano.

«Posso dire che essere chiamato Pivello non mi piace affatto?»

«Problema tuo, Pivello» disse Irina, ma adesso al tavolo c'era un'aria diversa, più calda. Sebastiano li lasciò per andare a mettere nuova legna nel camino. Smosse i tizzoni morenti per trovare la brace sottostante e poi scelse qualche ciocco tra i più asciutti per alimentare le fiamme. Alle sue spalle sentiva i due che continuavano a parlare. Con buona pace del suo vecchio sembrava che il suo espediente fosse riuscito.

***

Nicodemo sputò saliva mista a sangue e poi sorrise all'uomo che l'aveva colpito. Non riusciva a vederlo in volto, la luce filtrava dall'alto, da una feritoia all'altezza del soffitto, lasciando i tratti del suo interlocutore in ombra. Non che gli importasse vedere bene chi lo stava pestando, piuttosto era seccante non riuscire a vedere l'espressione congestionata dalla rabbia che faceva letteralmente ringhiare l'uomo mentre caricava un altro pugno.

«Bastardo!» sibilò l'uomo abbattendogli tutta la sua furia dritta sul viso. «Assassino bastardo! Te lo faccio sputare tutto sul pavimento il tuo sorriso! Bastardo!»

Nicodemo ottenne un altro pugno e un'altra accusa di essere un bastardo. Così poca fantasia negli insulti era deprecabile in un interrogatorio che si rispettasse. Inoltre per quanto non fosse il più rispettabile tra i cittadini, lui un padre l'aveva avuto e quindi l'insulto era anche poco attinente.

Il suo aguzzino lo sorprese con un pugno allo stomaco, facendolo boccheggiare e con il colpo successivo lo rovesciò a terra assieme alla sedia a cui era legato. Era il momento adatto per un calcio, ma ancora una volta il suo compagno di giochi si dimostrò privo di fantasia, fermandosi per dargli modo di riprendere fiato.

La massiccia porta della stanza si aprì riversando luce e un imprecisato numero di pesanti stivali sul lurido pavimento. Nicodemo si sentì afferrare e tirare su, gli ronzava un po' l'orecchio destro, ma riconobbe la voce alle sue spalle. Il sorriso tornò a fiorirgli sulle labbra quando la faccia del Capitano Iorio comparve a dominare il suo campo visivo.

«Non hai molto da sorridere, sai? Sei sospettato dell'assassinio della Badessa e di altre due suore.»

«Sì, il tuo uomo mi ha chiarito che sono un assassino e anche un bastardo a quanto pare. La cosa mi ha addolorato. Mia madre è una brava donna e non merita simili maldicenze.»

Iorio dimostrò di essere meno stupido del suo sottoposto e non si scompose.

«Ci sono testimoni che dicono di averti visto uscire dal tuo alloggio nottetempo, proprio quella notte. Dovrai dirmi dove sei andato.»

«Sono stato a fare visita a una signora e diciamo che ho trascorso con lei un po' di tempo. Siccome però il nostro incontro è avvenuto all'insaputa di altri, la metterei nei guai se vi dicessi il suo nome.»

«Un vero gentiluomo» stabilì sarcastico Iorio. «Come vuoi, torneremo dopo al tuo alibi, intanto mi dirai dove si trova il tuo compagno di viaggio. A quanto pare sembra scomparso nel nulla.»

«Non so che dirvi, è un mistero anche per me. Non lo vedo proprio da quella notte. Al mio rientro in stanza lui non c'era, ma ha lasciato lì buona parte dei suoi averi e sono certo che presto o tardi farà ritorno» Nicodemo fece una pausa per sorridere al Capitano. «Che storia assurda, vero? Anche io nei vostri panni faticherei a crederci.»

Iorio osservò impassibile il viso sorridente di Nicodemo.

«Assurda, sì. E senza il nome della tua signora, anche priva di ogni riscontro.»

«L'avete detto, sono un gentiluomo.»

«Portatelo via» ordinò Iorio uscendo dal suo campo visivo. Ci fu di nuovo suono di stivali alle sue spalle e la porta si richiuse.

«Lurido bastardo!» lo colpì ancora il suo carceriere senza variare troppo sul tema.

Con Lor Kon nascosto al sicuro e il piano di Ka Rhana che procedeva come previsto, doveva solo trascorrere qualche tempo chiuso in prigione. La bambola era stata abile a volgere l'imprevisto della Badessa a proprio favore. Era rimasto colpito quando lei gli aveva spiegato cosa avrebbe dovuto fare e aveva dovuto ammettere che quella testolina malata funzionava maledettamente bene.

Cercò di non ridere quando il carceriere gli disse che si sarebbe pentito di averlo fatto arrabbiare. Non aveva la più pallida idea di quanto fosse misera la sua minaccia, di quante volte si fosse dovuto pentire di cose ben peggiori in quegli ultimi anni, di quali raffinati tormenti potessero essere concepiti dalla verminosa mente del suo adorato Padrone.

Sì, stare in prigione gli avrebbe concesso qualche piacevole giorno di riposo. Meglio essere rinchiuso che essere costretto a dover rapire un'altra ragazzina per consegnarla ad Asmodeo. Quella prelevata qualche giorno prima era la terza nell'ultimo anno e non ci teneva a farlo di nuovo troppo presto.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro