Capitolo XXIV - Milla parte I

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Negli incubi che continuavano a ripetersi interminabili c'era sempre l'uomo con il volto da uccello. Spesso restava immobile a guardarla mentre lei era prigioniera sul fondo di un pozzo pieno di ratti che la mordevano implacabili, sempre più numerosi e famelici, oppure le faceva domande in una lingua incomprensibile mentre lunghi chiodi la trafiggevano e lei, pur sapendo che doveva rispondergli per far smettere quel supplizio, non ricordava più come si parlava. Ogni tanto, però, tornava fuori anche il mercante di spezie, con il suo sorriso beffardo e il lungo coltello lucente. Sbucava dal niente e ogni volta che allungava la mano per afferrarla, Milla si dava alla fuga, ma invariabilmente ogni volta lui riusciva a prenderla.

Era riuscito ad acciuffarla la prima volta che si erano incontrati, mentre lo urtava per sfilargli la scarsella. L'aveva presa per un polso e gliel'aveva torto dolorosamente mentre l'energumeno che viaggiava con lui le aveva sbarrato la strada. Stretta tra la parete del vicolo, il corpo del mercante e la mole del suo compare, gli aveva visto estrarre il lungo coltello.

«Non si ruba ai mostri, ragazzina» le aveva detto recuperando la scarsella dalla sua mano e controllandone il peso. «Adesso» aveva poi aggiunto, «potrei farti molte cose, tra cui ucciderti non sarebbe certo la peggiore» il tutto con un sorriso noncurante che l'aveva spaventata più del coltello e del brutto grugno del gigante che la fissava senza espressione. L'aveva terrorizzata perché non era una spacconata, la vita di strada le aveva insegnato a riconoscere il pericolo e tutti i suoi sensi in quel momento le gridavano di fuggire. Per fortuna era giunto il Capitano Iorio con i suoi uomini, e questo le aveva permesso di darsela a gambe. Era stata una delle poche volte in vita sua che era stata felice di veder arrivare le guardie.

Però era riuscito a prenderla anche la seconda volta. Ricordava bene quel giorno.

Ronno si era svegliato più tardi del solito dalla sbronza della notte precedente e, imprecando a gran voce, aveva buttato fuori a calci tutti i residenti del vecchio magazzino. I numerosi orfani erano sciamati saltando fuori da ogni apertura, come conigli in fuga dalla faina, i più sfortunati rotolando sul selciato, calciati dagli stivali di Ronno. Lei si era allontanata con il piccolo Ezechiele, o Zecca, come lo chiamavano tutti, sia per l'assonanza con il nome che per via del suo corpo tanto scheletrico da sembrare consunto dalle zecche.

Avevano tentato di sfilare qualche borsa agli sprovveduti tra le bancarelle del mercato, ma con tutta quella storia della guerra imminente c'erano fin troppe uniformi tra la folla. I soldati spuntavano da ogni angolo e non era possibile pensare di farla franca con tutti quegli occhi sospettosi a controllare il via vai.

Per questo, avevano optato per girovagare tra i vicoli della città bassa in cerca di fortuna. Dopotutto non era impossibile trovare qualcosa di ancora buono da mangiare tra i rifiuti dietro le osterie.

Ore più tardi, col sole prossimo a calare, affamati, infreddoliti e con poco e niente in saccoccia, si erano seduti su delle vecchie casse sul retro di una bottega di sartoria per riposare i piedi. Quasi sicuramente, Ronno li avrebbe malmenati per non essere riusciti a portargli qualche moneta da spendere in liquori e prostitute. Non avevano nessuna fretta di tornare indietro.

Il mercante di spezie era sbucato fuori dal nulla, silenzioso come un gatto. Milla l'aveva riconosciuto subito. L'uomo, invece, le si era rivolto senza mostrare di riconoscerla, e poche parole erano bastate a farle capire che era interessato a intrattenersi con lei. Se non fosse stato per il loro precedente incontro, lo avrebbe preso a male parole come faceva con tutti i ragazzi che avevano preso a importunarla dall'ultima estate, quando il suo corpo aveva iniziato a mostrare le prime forme di donna.

Milla non era una che si spaventava facilmente, ma il sorriso dell'uomo le dava i brividi più della vista del lungo coltello appeso alla cintura, e nella sua voce continuava a sentire le parole pronunciate con così tanta noncuranza durante il loro primo incontro: «Posso farti molte cose ragazzina».

Aveva provato a declinare, timorosa, temendo da un momento all'altro di vedere un lampo di riconoscimento negli occhi dell'uomo, ma non era successo. L'uomo aveva insistito nell'importunarla e Zecca si era mosso. Era balzato in piedi per scacciare l'uomo, per difenderla, forse un po' sorpreso dalla mancanza di energia nel suo negarsi, ma deciso a darle manforte. Aveva preso a male parole l'uomo e si era messo tra loro due. Un coniglio fuggito da una faina che ora affrontava un lupo. Milla aveva provato a richiamarlo, ma il mercante si era mosso prima. Un pugno allo stomaco aveva piegato in due Zecca, lasciandolo a terra nel vicolo. Milla era scattata come un molla e si era data alla fuga, lasciando l'amico a terra. La strada le aveva insegnato a prendersi cura di sé stessa prima che degli altri e presto anche Zecca lo avrebbe imparato. Questo si era detta lasciandolo solo, mentre il senso di colpa le pungeva il cuore e la paura le torceva lo stomaco. Il mercante di spezie però era riuscito a prenderla, l'aveva afferrata e, ignorando il suo dibattersi, l'aveva precipitata nell'oblio con un colpo alla nuca.

Al suo risveglio si era trovata legata e imbavagliata dentro un sacco, stesa su un pianale di legno sotto il peso del fieno, gli scossoni le avevano detto che si trovava su un carro in movimento, diretta chissà dove. Era stato spaventoso non sapere cosa la attendesse, realizzare di essere stata rapita, destinata a chissà quale orrore. Aveva sentito parecchie brutte storie su quello che poteva succedere a una ragazza, ma non avrebbe mai potuto nemmeno lontanamente immaginare quello che le stava per accadere.

Quando il mercante l'aveva tratta fuori dal sacco, non sorrideva più, sembrava nervoso. Anche il mulo che aveva trainato il carretto sembrava inquieto, scuoteva la testa e roteava gli occhi, scartando e arretrando; solo il fermo alla ruota gli impediva di andarsene. Erano nei pressi di un vecchio rudere, vicino al fiume; nel cielo, la luna calante si nascondeva dietro un velo di nuvole, lasciandoli in una gelida oscurità. Dopo il tepore della paglia, il freddo umido e tagliente e la paura la facevano tremare senza controllo. Senza una sola parola, il mercante l'aveva sollevata di peso e condotta all'interno dell'edificio diruto. Non si vedeva quasi niente all'interno, dal tetto sfondato, la luce notturna penetrava a fatica illuminando i resti di una vecchia macina.

«Benvenuta vasetto di miele» aveva sghignazzato improvvisa una voce agghiacciante facendo trasalire lei e voltare di scatto il mercante, ma nelle tenebre non era riuscita a vedere chi avesse parlato.

«Il Padrone sarà deliziato dalla tua bambina. Quello stupido di Gano gli ha procurato un maschietto un paio di giorni fa, ma non l'ha gradito affatto. Lasciala pure a me, penserò io a lei.»

Una mano liscia e umida l'aveva accarezzata facendola sussultare e ritrarre.

«No, gliela devo consegnare io. Lui è nel laboratorio?» aveva detto il mercante di spezie, anche se dal tono della voce si capiva che non vedeva l'ora di andarsene e, per quanto detestasse il suo rapitore, gli era stata grata per non averla lasciata all'uomo nelle tenebre.

«Che peccato» il tono deluso era stato reso ancora più sinistro da una risata querula, poi la voce era tornata seria. «Sì, il Padrone è di sotto e ti attende. Sapeva del tuo arrivo.»

Il mercante non aveva replicato ed erano scesi lungo una scala sconnessa. Alla fioca luce di numerose candele aveva visto uno scantinato occupato da tavoli macchiati, misteriosi strumenti e, per la prima volta, l'uomo che sarebbe divenuto il protagonista principale dei suoi incubi: il Padrone, il Maestro, l'uomo con la maschera dal lungo naso adunco, l'uomo col volto da uccello.

Quell'uomo l'aveva fatta legare su uno di quei tavoli degnandola a malapena di uno sguardo e, ignorando le sue proteste, le aveva premuto sul volto un panno intriso di un liquido dall'odore pungente. Mentre la coscienza si spegneva come una fiamma privata dell'aria, aveva sentito il mercante raccontare come l'avesse rapita, che era un'orfana trovata in strada e si era resa conto che non fingeva, l'aveva precipitata in quell'incubo e non l'aveva nemmeno riconosciuta. Malgrado il terrore fosse il sentimento dominante, si era sentita anche ferita: la vendetta del mercante di spezie per il tentato furto avrebbe almeno dato un senso al suo rapimento, qualcosa che sarebbe stato meno beffardo di una sfortunata casualità.

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