Capitolo XXVIII - Learco

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Il chiarore del nuovo giorno illuminò una Roccacorva immacolata sotto una morbida coperta candida. L'aria era tersa e fredda. Uscendo a spalare la neve dall'ingresso dell'osteria, Alice si strinse nella sua nuova sciarpa di un azzurro intenso: era il regalo che le aveva portato Sebastiano.

La sera prima era tornata da lui subito dopo aver servito la cena, avevano fatto di nuovo l'amore poi avevano parlato a lungo e si erano stretti sotto le coperte fino ad addormentarsi. Aveva fatto altri incubi, ma l'abbraccio di Sebastiano era riuscito ad allontanarli.

Si era nuovamente sognata bambina, di nuovo era stata Vania.

Il suono della campana del monastero le fece levare la testa. Alla luce del sole nascente la superficie dei tetti brillava come cosparsa di diamanti, uno stormo di corvi si era levato dagli spalti della rocca, disturbato dal suono dei rintocchi vibranti che si spandevano nell'aria. Più in basso, sotto la mole severa delle mura, sopra il tetto della vecchia caserma, sventolava il vessillo del Sacro Ufficio.

Iniziava la Caccia.

***

Affacciato alla finestra Learco storse la bocca. Quella bandiera che ondeggiava fiacca nell'aria quasi immobile era foriera di morte e gli riportava alla mente ricordi sgradevoli. Aveva di nuovo nelle orecchie l'eco delle urla dei torturati, sentiva nel naso l'odore sgradevole della sala interrogatori. Un misto di sudore, urina e sangue. Gli pareva ancora di sentire la voce dell'Inquisitore che gli consigliava di confessare.

«Che cosa ne pensate?» la voce di Iorio lo strappò al passato riportandolo al suo ufficio e ai suoi ospiti: il giovane Capitano e la fredda Inquisitrice.

«Lascia perdere cosa ne penso io, ragazzo. Alla qui presente Irina di Monvalto, inquisitrice dei sette chiodi, pupilla di Sua Eminenza Vittorio di Alamena, non interessa quel che pensa un vecchio come me. Lei vuole la verità, e non quella per tutti, quella dozzinale dispensata ai comuni esseri umani, ma quella forgiata e modellata nel fuoco del ventre del Sacro Ufficio.»

«Immaginavo che sarebbe stato difficile parlare con voi» disse Irina senza scomporsi.

Learco borbottò qualcosa di poco edificante, nascondendolo solo parzialmente con un accesso di tosse.

«Ho riferito all'Inquisitrice dei miei dubbi sul mandante dell'omicidio di Madre Lucrezia» prese la parola Iorio, cercando di evitare che l'offesa portasse Irina a perdere la calma che, per ora, sembrava riuscire a mantenere.

«E ovviamente ti è parso giusto coinvolgere anche me» considerò Learco, spostando il bersaglio del suo sarcasmo.

«Il Capitano si è limitato a riferire che in un primo momento anche voi eravate d'accordo con lui, salvo poi ricredervi e dare ragione alla versione ufficiale.»

«Ricredermi, un paio di accidenti!» mugugnò Learco masticando la pipa.

«Ho ascoltato il resoconto del Capitano e mi sono persuasa che la sua versione sia più convincente di quella resa ufficiale» continuò Irina come se Learco non avesse parlato. «Sulla base delle mie conoscenze come inquisitrice ho elaborato una mia versione e vorrei che voi mi confermaste alcune informazioni.»

«Conoscenze che non intendi condividere, immagino» la pungolò Learco, ma ancora Irina lo ignorò.

«Io credo...» fece una pausa per vedere se aveva l'attenzione dei due uomini. «Io credo che Madre Lucrezia sia stata uccisa perché, per sua sfortuna, è venuta a conoscenza di qualcosa che poteva smascherare il nostro vero nemico.»

«Intendi il malvagio necromante da cui Sua Eminenza ci ha messo in guardia? Quello che rapisce i bambini che non dicono le preghiere e fa inacidire il latte delle vacche?»

«Non era l'uomo nero che rapiva i bambini?» domandò faceta Irina, ottenendo in risposta il silenzio ostile di Learco.

L'esile filo di fumo che saliva dalla pipa componeva bianche volute che aleggiavano nell'ufficio sopra il vuoto tra i due. A Iorio venne naturale paragonarle a nuvole sopra un campo di battaglia con Irina e Learco che si misuravano dai lati opposti degli schieramenti.

Irina decise di cambiare approccio. Learco non avrebbe concesso niente se non avesse per prima dimostrato la volontà di condividere informazioni. Era certa che lui sapesse qualcosa e aveva bisogno di muoversi più veloce del suo nemico. Sicuramente Asmodeo stava già pianificando come ucciderla e non voleva concedergli troppo tempo per organizzarsi.

«Il Fabbricante, Asmodeo, uno dei quattro discepoli di Furiano di Settecase, il Macellaio Nero» disse Irina. «Lui è il nostro vero nemico.»

Non provò nessuna soddisfazione nel sentire Learco tossire per il fumo che gli andava di traverso. Nei suoi occhi appannati dagli anni lesse tutto lo sgomento per aver sentito pronunciare quel nome, lì in quell'ufficio, così tanti anni dopo il massacro di Fleia. Learco di Varona sapeva chi era il loro nemico e quanto fosse pericoloso.

«Sono convinta che Madre Lucrezia sia stata uccisa da una delle creazioni del Fabbricante e vorrei capire se ci sono elementi che possono provare la mia teoria.»

«Che cosa intendete con creazioni?» domandò Iorio, cercando di seguire la nuova piega degli eventi, ma Learco non diede tempo a Irina di rispondere.

«Ci sono eccome. Subito prima di morire Lucrezia mi ha lasciato un messaggio inequivocabile su chi l'avesse uccisa.» Con un'occhiata dissuase Iorio dal tentare altre domande e proseguì. Dopotutto, ciò che stava per dire avrebbe risposto anche agli interrogativi del ragazzo. «Non ne avevo ancora parlato con nessuno perché prima volevo essere certo di aver capito bene. Lucrezia nel suo rosario aveva tre grani speciali, uno rosso, uno bianco e uno nero, la rappresentazione dei tre stati alchemici della materia: Rubedo, AlbedoNigredo

«È un rosario degli appartenenti al Sacro Ufficio» disse sorpresa Irina.

«Non racconterò la storia di come una donna tanto in gamba avesse un oggetto del genere» chiosò Learco tagliente, prima di tornare a narrare.

«Nel suo letto di morte Lucrezia serrava il rosario nella mano e tra le dita teneva il grano nero del Nigredo, per la precisione tra medio e anulare, il dito che comunemente adorniamo con un anello che rappresenta un legame.»

«Qualcuno legato al Nigredo. Il processo della decomposizione e della morte» disse Irina.

«Qualcuno legato al necromante» disse incredulo Iorio.

«Non è esattamente questo il processo del Nigredo, ma ero giunto alla stessa conclusione» disse Learco e tornò ad accendersi la pipa.

«Immagino vi siate anche fatto un'idea sul motivo dell'assassinio della badessa.»

«Molte, a dire il vero, ma ora che ho la certezza di aver bene inteso il messaggio di Lucrezia, ne resta una sola.»

Learco si interruppe per brontolare contro la pipa che non si accendeva. Irina attese pazientemente che riuscisse a far bruciare il tabacco, lo guardò inspirare a fondo il fumo e poi esalarlo lentamente mentre si accomodava soddisfatto nella sedia, dopodiché lo vide concentrarsi sul togliere pagliuzze di tabacco annidate tra la barba e le pieghe della veste.

«Intendete raccontarlo anche a noi?» sbottò senza riuscire a trattenersi oltre. Learco le sorrise, intimamente soddisfatto di essere riuscito a farle perdere quell'apparenza di calma.

«Lucrezia è sempre stata una donna pia. Il suo fervore giovanile negli anni è divenuto salda fede. Addirittura qualcuno è arrivato a definirla una santa, ma è la solita esagerazione degli stupidi. Personalmente non l'ho mai vista compiere alcun miracolo e conosco alcuni suoi vizi che poco hanno a spartire con la santità. Non voglio essere frainteso, provavo un profondo affetto e grande stima per Lucrezia, ci conoscevamo da troppi anni e mi ha sopportato abbastanza a lungo perché non la considerassi una tra le mie più care amiche.»

Learco fece una pausa, lo sguardo perso nel passato.

«La cosa che però rendeva unica Lucrezia era il suo dono. Non dalla nascita o per grazia divina, anzi tutto il contrario, anche se fu proprio il fatto di averlo ricevuto che la convinse a prendere i voti. In gioventù Lucrezia era una studiosa, un'esperta di scienze e una fervente appassionata di medicina. Come me non si accontentava di prendere per buoni i precetti assodati della scienza accademica e della vecchia medicina: i salassi come panacea di ogni male. Ma fatemi il piacere! Lucrezia prese a studiare i principi per cui certi decotti e impiastri apportavano miglioramenti alle varie afflizioni meglio di altri. Così venne a conoscenza dei principi dell'alchimia, i processi di trasformazione della materia, e provò a studiare l'evolvere di una malattia come il processo di trasformazione di un corpo. Una teoria rivoluzionaria, a mio parere, ma fu così che ebbe un brutto incidente in laboratorio. Rimase cieca per quasi due mesi, ma quando la vista tornò scoprì che vedeva le cose in modo diverso. Fu così che ottenne il cosiddetto dono. Gli stupidi che la chiamavano santa lo avrebbero definito un potere soprannaturale, ma tra noi lo chiamavamo percezione o vista. Volendo farla semplice, Lucrezia non vedeva solo quello che vediamo tutti noi, ma riusciva a cogliere le ombre dei processi di trasformazione della materia che definiscono la natura delle cose e delle persone.»

Lo sguardo confuso di Iorio disse a Learco che la sua idea di semplice e quella del Capitano erano molto distanti.

«Per farla ancora più semplice, Lucrezia è riuscita a vedere il legame dell'assassino con il lato più oscuro dell'alchimia e ha riconosciuto una delle creazioni di Asmodeo, ma purtroppo al tempo stesso è stata scoperta dal nostro nemico e uccisa prima di poterlo rivelare a chicchessia.»

«Di nuovo parlate di creazioni di questo Asmodeo, ma cosa intendete esattamente?» domandò Iorio, cercando di comprendere qualcosa che per gli altri due interlocutori sembrava ovvio.

«Per creazioni si intendono umani alterati dall'alchimia. Asmodeo viene chiamato il Fabbricante di Bambole poiché modifica con l'alchimia i corpi degli sventurati oggetto dei suoi esperimenti tramutandoli in mostri ai suoi comandi. Mostri che però appaiono come normali uomini» spiegò Irina poi si rivolse a Learco. «Anche Asmodeo doveva conoscere il dono della vista di Madre Lucrezia, altrimenti non si spiega come possa essere stata scoperta. Chi, oltre a voi, sapeva del suo potere?»

Mentre Iorio cercava di venire a patti con l'orrore che Irina gli aveva appena rivelato, Learco valutò l'opportunità di chiudere lì la collaborazione con l'Inquisitrice. Aveva un pessimo ricordo dell'ultima volta che un inquisitore gli aveva fatto domande sul suo possibile coinvolgimento in un affare di stregoneria. Guardò la giovane donna seduta di fronte a lui. Gli occhi chiari, azzurri quasi cerulei, mostravano un forte coinvolgimento e nascondevano un doloroso tormento. Non era solo una Caccia per lei, ma una questione personale.

Anche lui aveva delle questioni in sospeso con Asmodeo, prima e più importante quella di vendicare la morte di Lucrezia. E al diavolo se la vendetta non avrebbe portato sollievo, se ne sarebbe fatto una ragione per gli anni che gli restavano da vivere.

Ma non poteva prendere Asmodeo senza l'aiuto dell'Inquisitrice. Era certo che lei sapesse altro sul conto del Fabbricante che non aveva ancora intenzione di condividere. Aveva bisogno di averla dalla sua parte e questo lo portò a prendere la decisione di parlare.

«Dopo aver ricevuto la vista e prima di prendere i voti, Lucrezia ha pensato che il suo dono dovesse avere un significato e servire una causa. Giunse a Varona pronta a entrare tra le schiere del Sacro Ufficio, un inquisitore che non aveva bisogno di trovare la magia nera poiché poteva vederla sarebbe stato un baluardo contro le forze del male, almeno così pensava, ma non fu accolta come si aspettava. Fu inquisita per stregoneria. Questo le valse aver proposto il suo dono come risorsa per il Sacro Ufficio, e le cose si sarebbero messe male se non fosse stato per l'influenza della sua famiglia. Fu prosciolta e, in quanto donna di fede, Lucrezia attribuì all'evento la prova che il Sacro Ufficio era nel giusto, dopotutto lei era innocente ed era stata scagionata. Il fatto che il suo rilascio fosse stato agevolato dal passaggio di mano di alcuni sacchi pieni di reali d'oro fu considerato del tutto irrilevante. Lucrezia ha sempre creduto nel Sacro Ufficio, anche dopo i fatti dell'Inverno Nero; anche dopo il fallimento più eclatante dell'ordine degli Inquisitori lei ha continuato a credere.»

Learco si fermò godendosi l'indignazione di Irina che cresceva per le non troppo velate offese all'ufficio che rappresentava, la bocca si era progressivamente stretta fino a divenire una linea esangue, le mani erano serrate sui braccioli, il corpo teso e rigido. Aspettava di vederla dirompere da un momento all'altro.

«Ora, per rispondere alla domanda su chi, oltre a me, possa conoscere il potere di Lucrezia: gli atti del suo interrogatorio sono negli archivi del Sacro Ufficio, in essi il suo potere è minuziosamente descritto da Lucrezia stessa. Siccome sono incartamenti coperti da segreto sono assolutamente certo che non ci saranno che poche decine di copie comprate per un pugno di ducati d'argento passati sottobanco agli archivisti. Per esperienza personale posso asserire che quando si tratta di corruzione il Sacro Ufficio non è più ieratico di qualsiasi altro ordine.»

Il pugno di Irina si abbatté sul bracciolo e Learco nascose un sorriso trionfale nella barba. Era riuscito a farle perdere le staffe e nonostante iniziasse a provare rispetto per l'acume della ragazza e forse anche un accenno di simpatia, la sua allergia per gli Inquisitori in genere lo spingeva a trovare irresistibile il dileggiarla.

La guardò fare uno sforzo per non dare seguito al gesto con la voce, scagliando le parole colme d'ira che poteva vedergli turbinare sul fondo degli occhi. Vide Iorio riscuotersi dall'annichilito silenzio in cui versava e tentare di intervenire per evitare lo scontro, ma Irina lo anticipò.

«Quindi dite che in molti potevano conoscere il suo potere» il tono di forzato disappunto avrebbe voluto camuffare il significato del pugno appena sferrato. Il sorriso di Learco si distese, i due si scambiarono un'occhiata che andava a riconoscere il valore dell'avversario.

«Esatto. Ci sono molti modi in cui Asmodeo o uno qualsiasi dei suoi burattini possano essersi procurati le informazioni sul dono di Lucrezia.»

«Quindi l'unica pista che ci rimane è il prigioniero» considerò assorta Irina. «Sono persuasa che la ricostruzione degli eventi del Capitano Iorio sia attendibile e che il prigioniero abbia avuto parte nell'omicidio della Badessa, magari anche solo come complice.»

«Sono d'accordo. Accantonerei subito l'ipotesi improbabile che dica la verità, che esista veramente una fiaba con un gigante Lorcon e passerei ad asserire che il nostro gigante fuggitivo è una creazione di Asmodeo con il nome di LorKon

«Significa dieci mani in lingua Yddan» disse Irina. «Un nome davvero inquietante.»

«Lingua Yddan?» domandò Iorio attento. Adesso comprendeva la curiosità del venerabile Learco sul nome del gigante durante il resoconto delle indagini.

«È la lingua dell'alchimia» disse Irina.

«Non è proprio corretto definire la lingua Yddan come lingua dell'alchimia, ma andiamo avanti » commentò Learco, incapace di trattenersi dal bacchettare l'Inquisitrice. «Il fatto che il prigioniero abbia rivelato quel nome indica due cose: la prima è che Nicodemo di Cafria conosce quel nome perché è un uomo del Fabbricante, probabilmente anch'egli una sua creatura; la seconda che il suo grado nella gerarchia tra le fila di Asmodeo deve essere basso poiché non ha compreso l'importanza dell'informazione che ci ha rivelato. Usare il vero nome del gigante conferma sia la sua vera natura che l'identità del suo Padrone.»

«Volete dire che l'uomo rinchiuso nelle prigioni è un mostro creato dal Necromante?!» domandò Iorio sconvolto, ma Irina non perse tempo a dargli una risposta ovvia.

«Questo ci porta in un altro vicolo cieco. Non ci dirà niente, neanche sotto tortura, teme il suo Padrone più del dolore e della morte.»

«Giusto» annuì Learco. «Interrogarlo sarà inutile, ma questo non significa che siamo in un vicolo cieco. Il fatto che il nostro uomo sia un soldato semplice ci dice che dovrà avere altri ordini prima o poi.»

Fece una pausa per premere altro tabacco nella sua pipa, notando compiaciuto il lampo di comprensione negli occhi dell'Inquisitrice, poi si rivolse a Iorio che sembrava ancora incapace di venire a patti con la quantità di orrore che gli era appena piovuta addosso.

«Ragazzo che ne dici di rilasciare il nostro prigioniero?»

Si aspettava proteste e incredulità, ma fu il suo turno di restare sorpreso.

«Ci condurrà dalla mente che ha ordito l'omicidio» disse lento Iorio, come se la sua mente stesse riemergendo da un pozzo profondo. «Lo farò seguire a debita distanza dai miei fino a quando non svelerà con le sue azioni chi sia il vero colpevole.»

Learco sorrise compiaciuto. Sapeva che il ragazzo non era uno stupido e ne aveva appena dato nuova dimostrazione.

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